In tutti i Paesi Europei le elezioni segnalano che l’elettorato è mobile e tende a radicalizzarsi. Sembra proprio che queste elezioni segnalino la fine (o comunque una pesante crisi) delle forze politiche del ‘900 (liberali/popolari/socialisti…).
Il tradizionale discrimine tra destra e sinistra deve dunque misurarsi con parole e idee nuove per aggregare le persone sulla base del discrimine (libertà, uguaglianza) che da due secoli segna la distinzione tra progressisti e conservatori.
Tutti abbiamo visto quant’è stata abile la destra nell’offerta di risposte alle grandi inquietudini che condizionano le vite delle persone in questi nostri tempi: alla paura per un futuro complicato offre l’illusione che ci si difenda meglio chiudendo le porte di casa. Così crea le condizioni per una nuova “alleanza” tra ceti popolari e ceti dominanti: ai primi indica come nemici quelli che stanno peggio, ai secondi assicura la difesa della propria condizione. Noi facciamo più fatica. Non basta dire che la solidarietà è meglio dell’egoismo e che l’equità crea migliori condizioni per il progresso. Dobbiamo riuscire a dimostrare che la solidarietà “rende” più dell’egoismo, e che l’equità fa stare “davvero” meglio. Non bastano più gli slogan che ci hanno mobilitato per decenni ma che non sono riusciti a impedire la situazione attuale. Abbiamo bisogno di proposte completamente nuove, radicalmente diverse dal passato ma non per questo meno credibili. Temo invece che restiamo ancora troppo nel solco di proposte che già non siamo riusciti a rendere efficaci in passato, e quindi non sono credibili per il futuro. Per questo è necessario favorire la massima partecipazione: abbiamo l’onere di fare nuove proposte, innovative e credibili, in sintonia con i valori che ci animano. Proposte che rispondano alle inquietudini più diffuse con le logiche della sinistra.
So di non avere le competenze necessarie, ma sento il bisogno di chiarire il mio pensiero con qualche esempio. Per alimentare una riflessione che non può che essere collettiva.
- Tutte le nostre proposte pongono un problema di risorse. Chi paga? I diritti costano e gli investimenti rendono dopo molto tempo. Io continuo a pensare che le risorse ci siano, bisogna però avere coraggio e lucidità per ridurre al minimo l’opposizione di chi le detiene. Le risorse sono nell’evasione fiscale e nell’enorme ricchezza concentrata in poche mani. Ma possiamo proporre una riforma fiscale che, nel corso della legislatura, assicuri: una drastica semplificazione del sistema fiscale, superando la gran parte degli adempimenti burocratici dei contribuenti; il passaggio generalizzato delle trattenute alla fonte (oggi riservate ai dipendenti e ai pensionati); un forte incremento delle transazioni elettroniche. In questo modo potremo ottenere una riduzione forte dell’evasione fiscale che potremo orientare anche in direzione di una maggiore equità. Non si tratta di una invenzione, mi pare la proposta avanzata dagli esperti riuniti in Nens lo scorso anno, che LeU ha appena sfiorato.
- A cosa devono servire queste risorse? Diritti, lavoro, territorio. E con questi alimentare uno sviluppo che riduca anche il peso del debito pubblico.
Sui diritti. Io partirei da una fortissima tutela/sostegno al diritto alla maternità e alla paternità. Perché non proporre un reddito di cittadinanza che effettivamente riconosca il valore sociale di questa scelta? Altro che la proposta dei 5 Stelle… Dobbiamo assicurare alle nuove madri e ai padri tranquillità per un periodo adeguato (due anni?), con un reddito equiparabile a quello di una attività lavorativa, e con la certezza che quando necessario si possa accedere gratuitamente a servizi adeguati per l’infanzia, e poi a una istruzione pubblica gratuita. Troppo? Molto meno di quanto proposto dai 5 Stelle, ma in sintonia con l’angoscia di intere generazioni che oggi subiscono il contrasto tra il diritto al lavoro e il diritto alla riproduzione.
Poi, certo, diritti nel lavoro, riportando al centro delle tutele non le attività economiche ma le persone. La base c’è già: la Carta dei diritti universali proposta dalla Cgil. Spetta al Parlamento discuterne, spetta alla sinistra essere meno timida e silenziosa. E contro il precariato vale la proposta che da tempo avanziamo: rendere il lavoro a tempo indeterminato più conveniente del lavoro precario e a termine. Per realizzare questo obiettivo non è però utile procedere ad una drastica riduzione della contribuzione sociale (con effetti deleteri sul sistema previdenziale), ma attribuire all’impresa i costi aggiuntivi a carico della collettività per la copertura dei periodi di non lavoro e per la protezione sociale.
E poi, i diritti nella vecchiaia. Anche qui la base c’è già, nella piattaforma rivendicativa dei sindacati confederali e dei pensionati, meno demagogica di quella della Lega e più completa, perché guarda anche al lavoro discontinuo e alla non autosufficienza. Una vecchiaia per la quale va recuperata anche la ricca elaborazione “di sinistra” sull’invecchiamento attivo, tema in auge negli anni in cui si è spinto per l’aumento dell’età di pensione, quando invece assai più produttiva è una elaborazione che guarda al contributo specifico che le generazioni più anziane possono portare alla qualità sociale nei territori ed al rapporto tra le generazioni.
Territorio, appunto. Il dibattito e la pressione sulla grandi infrastrutture, non tutte da demonizzare, va accompagnato con una attenzione maggiore per le piccole opere locali che fanno la differenza (in termini ambientali e di qualità della vita) e che assicurano lavoro. La proposta del “lavoro di cittadinanza” è sicuramente molto più efficace del “reddito di cittadinanza” ma ha bisogno di progettualità locale, di responsabilità e risorse negli enti locali, di una pubblica amministrazione efficiente e di una partecipazione popolare che aiuti a definire priorità e verificare risultati. Una partecipazione che può essere faticosa, ma costruisce consapevolezza diffusa e può alimentare cittadinanza attiva.
Sono quattro proposte per un progetto di legislatura. Mi sembrano più efficaci di altre sulle quali continuiamo a insistere, che non vanno abbandonate, ma che sono percepite come “vecchie” e inefficaci.