Il successo de Le interviste impossibili ideate da Alberto Arbasino continua a generare esperimenti interessanti. E ancor più il testo di Michael Frayn, Copenaghen, che ipotizzava una conversazione mai realmente pervenuta tra i fisici Niels Bohr e Werner Heisenberg incontratisi nel 1941 nella capitale danese, in pieno conflitto. Cosa si erano detti?
La stessa domanda se l’è posta Sergio Ariotti a proposito dell’incontro tra Cesare Lombroso e Lev Tolstoj, entrambi ultrasessantenni. Cosa si sono detti, quella volta, a Jàsnaja Poljàna, la tenuta di campagna di Tolstoj, dove Lombroso lo aveva raggiunto?
Il criminologo noto per le sue teorie deterministiche sulla morfologia cerebrale si trovava in trasferta a Mosca in occasione di un convegno di medicina e desiderava incontrare lo scrittore russo. Qual è stata la natura e la ragione di questo incontro? Quali gli argomenti?
Stando alla biografia di Lombroso ad opera della figlia Gina, l’incontro non fu memorabile, eppure come non esserne incuriositi? Ariotti ha costruito una drammaturgia di invenzione con il rigore che ogni invenzione pretende. Cioè prendendo le mosse da una solida conoscenza dei due, per carattere, idee, opere più significative.
Ne è nata una conversazione incalzante, divertente, anche brusca, dove i due si manifestano nei loro tratti meno prevedibili, almeno rispetto a quel che un lettore si potrebbe aspettare.
Il Tolstoj pacifista, di dieci anni successivo alla conversione morale di Confessione, è in realtà tutt’altro che pacifico, meno che mai pacificato, e tiene testa al criminologo con vis polemica e insofferenza. Mentre Lombroso, che il nostro immaginario più spicciolo ascrive a un orizzonte non molto dissimile da quello stesso dei pazienti studiati, appare più conciliante, ragionevole, e sembra partire in posizione di ‘svantaggio’: “Vi devo molta gratitudine”. Pare infatti che avesse rischiato di annegare nella Voronka e che Tolstoj lo avesse salvato. Un fatto realmente accaduto da cui Ariotti fa decollare la conversazione, che spiega anche il titolo del testo. L’Incontro. Quando Tolstoj salvò Lombroso da sicuro annegamento.
In un’ora o poco più i due si provocano, si difendono, chiariscono le rispettive posizioni sulla scrittura, il senso e la funzione della letteratura e dell’arte, i rapporti tra etica ed estetica, tra etica e scienza, tra psichiatria e letteratura, tra fede nella scienza e catechismo. Si sfiorano le questioni di genere (“Ci sono donne intelligenti, secondo voi? Dove le avete scovate?”) e pure l’aborto; si discetta su tutto: dall’influenza dell’inconscio nei processi creativi alla natura del socialismo e alle sue implicazioni, militarismo, orgoglio nazionale, pena di morte, trovandosi d’accordo sul rifiuto della guerra. Non già sulle predilezioni letterarie, che vedono Tolstoj – più provocatore che mai – ammettere di detestare Shakespeare e Cechov, autori immorali, e ancor più Dostoevskij, “uno che si indebita con il gioco d’azzardo” ma anche “uno che scrive romanzi straordinari e altri di furia, senza il minimo progetto”.
Ecco, quello che viene fuori da questo testo di Ariotti, è anche la ‘pancia’ di Tolstoj, tranchant nonostante la ‘testa’, lo spirito indomito dell’uomo-filosofo che ribolle dietro lo scrittore che conosciamo. Colui che di pancia accusa Lombroso di ‘celebrare la pancia’ perché è stato toccato dal Flaubert intestino di Madame Bovary, mentre lui, dell’intero repertorio letterario, non salverebbe che un solo episodio di un solo romanzo di Dickens. Un uomo burbero e fragile, Tolstoj, che finisce per cedere ammettendo che è stanco. Sfinito dalla sfida. Sfinito “come un Dio che non ha mai raggiunto la perfezione”.
Il testo fa quel che deve fare un testo destinato al teatro, cioè avvicinarci all’anima e alla psiche deim personaggi, a una verità emotiva più che teorica, che sarà onere dell’attore restituire. Senza giudizio, lasciandoci di volta in volta prendere parte.
Rappresentato per la prima volta a novembre 2019 in uno spazio non casuale come il Palazzo degli Istituti Anatomici di Torino, ha visto in scena Mauro Avogadro (tra l’altro già regista del sopracitato Copenaghen) e Martino D’Amico, rispettivamente Tolstoj e Lombroso. Speriamo solo in una ripresa, quando le cose si saranno sistemate a dovere.
Il libro è pubblicato da Robin Edizioni con l’introduzione di Silvano Montaldo ed è corredato da una nutrita galleria fotografica.
L’Incontro. Quando Tolstoj salvò Lombroso da sicuro annegamento
di Sergio Ariotti
Robin Edizioni