Quale altro cittadino, quale popolo subisce ogni giorno dai media nazionali un lavaggio del cervello che gli ripete sei disonesto, sei inaffidabile, sei trasgressore per natura? A chi gli intellettuali, i giornalisti, i conduttori televisivi si rivolgono da sempre scuotendo la testa, sorridendo paternalisticamente come se avessero davanti un pierino impenitente che, non c’è da illudersi, appena può ci casca di nuovo? L’italiano non cambia mai, l’italiano non conosce progresso, l’italiano ruba sempre, anzi su di lui sono state dette parole definitive già nel cinquecento, nel settecento, insomma prima ancora che il paese diventasse nazione.
Seguire i nostri media vuol dire assorbire questo mantra, proposto in dosi quotidiane a tutte le latitudini. Sì perché la vera peculiarità nazionale è che l’invito a non fidarsi nasce e viene legittimato proprio dalla sua classe dirigente. Tanto che, ribaltando la visione corrente, potremmo chiederci: ma in quale altro paese sono i personaggi di spicco a rivolgersi così al proprio uditorio? Come mai le penne più acuminate da destra a sinistra possono aver riguardo di tutto ma non del popolo italiano, al quale si può riservare uno schiaffone ogni volta che si vuole? Evidentemente non è prevista sanzione morale. Anzi, di più: sminuire gli italiani è la piccola quota di ammissione al club.
Il fatto è che siamo davanti a una postura ideologica della nostra classe dirigente, e da intendersi nel vero senso: sistema di valori che orienta un gruppo sociale. Del resto, presupporre cittadini che non meritano è il modo ideale per sgravare il proprio ruolo di ogni responsabilità. E il rintocco in comunicazione è evidente. Forse anche senza accorgersene, la vocazione servile del lavoratore intellettuale, studioso, opinionista o cronista che sia, si esprime proprio nell’adesione al pensiero del vertice, diffondendo, declinando all’infinito un’idea deteriore degli italiani che è una pura espressione d’élite.
Ma come avrà mai fatto questa miseria di popolo a esprimere quel gioiello di Costituzione? Da dove arrivano le sue glorie? Il martellamento lavora per ribaltare il senso dei meriti, li traduce in eroismi, in “eccellenze”, in solitudini virtuose, in genialità sregolate… tutto pur di non spendere una parola di elogio per il modo italiano, per le qualità della cittadinanza in quanto tale. È un atteggiamento antipopolare che insegue gli italiani in ogni loro espressione e non risparmia quelle della rappresentanza politica: il parlamento si può denigrare senza problemi, mentre i suoi rappresentanti vanno umiliati in tv e sono casta da sostituire con personalità di chiara fama, con ottimati da far scegliere non certo agli inaffidabili elettori. Negli anni si è posata sul paese una cappa giudicante, che ne mortifica e ne disconosce ogni scatto in avanti.
Poi è arrivata la pandemia. E a questo teorema ha tolto il velo, mostrandone il contenuto pregiudiziale. Per quanto possa sconcertare i disincantati, infatti, gli italiani sono stati all’altezza del momento al di là di ogni dubbio. Tutti. Chi è rimasto in casa ha applicato le regole, invece di fregarsene come vorrebbe il copione. Quelli in prima linea non si sono certo dati malati. E in tantissimi, nei modi più diversi, sono stati solidali, altro che menefreghisti. Se poi guardiamo allo scenario internazionale, l’Italia risalta come un paese sì fragile ma di grande dignità. Noi non abbiamo avuto governi che nascondono le cose (Cina), capi di stato che dicono che l’influenza è peggio (Trump) o consulenti sanitari che si fanno un baffo delle regole (Inghilterra). Tanti problemi, certo, ma anche grandezze che dal loggione degli opinionisti si faticano a scorgere.
Basta guardare la reazione notarile davanti alle onorificenze post-covid volute dal presidente Mattarella. Cinquantasette nuovi Cavalieri della Repubblica, che compongono un affresco sociale, una sorta di quarto stato costituzionale. Chi ricorda messaggi così potenti arrivare da un’istituzione? Professori, ricercatori, ma anche impiegati, infermieri, operai, addetti alle pulizie, cassiere, malati, il rider che compra le mascherine e le dona alla Croce Rossa. Nord, sud, scienziati e persone umili. Non si esagera nel dire che è stata scritta una pagina di storia nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Il messaggio è chiaro: questo paese è una forza della natura. E lo dimostra non, come si dice, “nelle emergenze”, ma semplicemente ogni volta che è nelle condizioni di esprimere il suo potenziale, senza tutori e repressioni.
Come si fa a non vedere che il messaggio dei Cavalieri è rivolto anche ai media, al mondo della comunicazione? Davvero è giunto il momento di superare la sua narrazione paternalista, costantemente volta a sottolineare le incapacità e le insufficienze civiche. L’Italia ce la fa, non ha per forza bisogno di qualcuno che arrivi a salvarla con governissimi e autorevolezze superpartes. Eppure non sembra che il messaggio sia stato recepito. Forse perché non erano in due, in tre, in dieci. Forse perché erano una piccola folla, rappresentanza di un popolo, e non si potevano trattare come singole perle, come “eccellenze”.
Poco male. Conta più che sia accaduto e che si stabilisca anche così un canone democratico del racconto della nazione, visto che l’altro lato del discredito è il patriottismo da baraccone, le mascherate della destra o dei talk show che tuonano contro l’Europa. L’Italia non ha bisogno di elogi: prendere le sue parti, argomentarne storia e significato sarebbe già sminuirne il valore universale. Altro è vedere il suo civismo, illuminare il progresso dove si manifesta, sentirsi parte di un paese che la democrazia l’ha costruita con le sue mani.