Per smentire gli altri, Renzi mente a se stesso. Punto per punto, ecco dove

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Il “J’accuse” al Pd di Matteo Renzi su Repubblica è un documento politico di considerevole importanza. Apre una discussione nel suo partito tutt’altro che banale, che avrà risvolti nei prossimi mesi persino nella dialettica interna al centrosinistra.
Bisogna interloquirci, perché l’ex presidente del consiglio nonché ex segretario del Pd non è un calciatore che sta per appendere le scarpe al chiodo. Combatte una battaglia politica per tornare sulla scena. E, dunque, va preso sul serio.
Impressiona ovviamente che non ci sia alcun rilievo critico sul triennio nel quale lui ha governato il paese, come se Letta e Gentiloni fossero dei tecnici passati lì per caso. Per questo, è giusto provare ad affrontare con rigore analitico la lettera di Renzi a Repubblica punto per punto, senza pregiudizi ma anche senza sconti, sapendo che per smentire gli altri – in questo caso i suoi vecchi e nuovi avversari interni – l’ex premier finisce talvolta per mentire a se stesso. Come quei bambini che a furia di dire bugie alla mamma, finiscono per credere alle proprie stesse bugie.

  • Non si lasciano affogare le persone in mare. Chi lo dice, fa schifo. Sottoscrivo questa dichiarazione di Renzi. Non ho mai dubitato che la pensasse così.
  • L’Italia è terra di migranti. Lo siamo stati in passato, abbiamo dato il nostro contributo nel mondo. Vero, verissimo. Benché sia una banalità, fa bene rinfrescare la memoria a Salvini.
  • Renzi non deve chiedere scusa sulle politiche migratorie, semplicemente deve dire tutta la verità. E ricostruire i passaggi storici fino in fondo. La Missione Mare Nostrum fu realizzata da Enrico Letta dopo la strage di Lampedusa dove morirono 368 persone: un’ecatombe. Durò fino al novembre del 2014, Governo Renzi in carica. Non fu rinnovata perché ritenuta troppo costosa dall’Italia e fu sostituita dalla missione europea Triton sotto la direzione di Frontex, con il concorso di una quindicina di paesi europei. La prima – guidata dalla Marina Militare italiana – costava 9 milioni di euro al mese, la seconda meno di 3. La prima aveva prevalentemente compiti di soccorso, la seconda prevedeva il controllo delle acque internazionali solamente fino a 30 miglia dalle coste italiane: scopo dichiarato era controllo della frontiera e non il soccorso. La differenza, come è ovvio, la fece il numero di vittime nel Mediterraneo, che dopo Mare Nostrum riprese ad aumentare. Su Dublino poi stendiamo un velo pietoso: il Parlamento europeo aveva approvato una riforma vantaggiosa per i paesi frontalieri, fu il Consiglio europeo a bloccarla. Ovvero i Governi, non solo Visegrad. Non ricordo che l’Italia guidata dal Pd abbia lasciato la sedia vuota in segno di protesta.
  • “Aiutiamoli a casa loro” non significa niente se non ci metti i soldi. Rischia di essere solo uno slogan allusivo alla destra. E la subalternità parte non solo dagli atti, ma anche e soprattutto dal vocabolario. Lo sbandierato incremento dei fondi alla cooperazione sotto il Governo Renzi ci porta comunque ben lontani dalla media degli obiettivi del millennio, ovvero lo 0,7 per cento del Pil entro il 2020. Siamo allo 0,26 (circa cinque miliardi). Di questi, durante quegli anni, la metà sono stati spesi per l’accoglienza e la permanenza nei centri per gli immigrati irregolari. Una voce che andava ovviamente finanziata, ma non c’entrava nulla con la cooperazione. Una partita di giro, insomma. Inoltre, il cosiddetto Fondo Africa, varato nella legge di Bilancio nel 2017, stanziava circa 200 milioni prevalentemente destinati al controllo delle frontiere in paesi come la Libia e il Niger. Quasi nulla per la cooperazione allo sviluppo. Dunque, nessuna svolta né ieri né oggi. Solo retorica a buon mercato. Che finisce per sdoganare la peggiore destra.
  • La minaccia alla democrazia non c’era, ha ragione Renzi. L’invasione dei migranti era farlocca. Sbagliò Minniti ad alimentare questa tesi. Il crollo dei sondaggi non credo tuttavia abbia origine solo da queste affermazioni. Forse anche la folle campagna referendaria ci ha messo del suo. E le scelte politiche su economia, lavoro e scuola pure. Una cosa è certa: lo Ius soli passa alla camera il 13 ottobre 2015, con il voto anche di Sel, che era all’opposizione, e l’astensione – udite udite – dei Cinque Stelle. Renzi lascia Palazzo Chigi nel dicembre 2016. C’era più di un anno per farlo andare avanti al Senato e votarlo. Addirittura l’opposizione di sinistra si era detta disponibile persino a votare una fiducia tecnica. Durante l’anno successivo, idem. Il Matteo Renzi che aveva imposto al governo di mettere la fiducia sul Rosatellum – già, perché non era un passante qualsiasi ma il segretario del Pd – perché non fece lo stesso sullo Ius Soli? La verità è che la continuità assoluta tra Renzi, Gentiloni e Minniti non era una balla giornalistica, ma la realtà dei fatti. Al massimo si distinguevano per qualche sfumatura caratteriale. Il resto è una versione in salsa renziana di una excusatio non petita.
  • L’immigrazione non è un’emergenza. Finalmente. E’ un dato strutturale e come tale va affrontato. Renzi indica alcune priorità: denatalità, legalità ed educazione. Sulla crisi demografica sottoscrivo. L’Italia invecchia anche perché non ci sono politiche che trattengano i nostri giovani in patria, perché qui il lavoro è precario e le diseguaglianze crescono. E la Svimez parla dell’inversione della curva demografica al Sud per la prima volta già nel 2015. Muoiono più persone di quelle che nascono. Ho la netta sensazione che su questo punto qualche spiegazione la debba anche chi ha governato nella scorsa legislatura, non solo gli eversori Gialloverdi che oggi stanno al Governo. Ma il problema allora erano i gufi e i rosiconi.
  • Salvini fa a cazzotti con il principio di legalità quando chiede che Carola sia arrestata attaccando la magistratura. Condivido il giudizio di Renzi. Aggiungo una precisazione: è grave, gravissimo che il Ministro dell’Interno metta in discussione il principio liberale della separazione dei poteri. Non si può accettare, troppo pericoloso. Va detto che, ahimé, queste cose accadono sempre più frequentemente, anche nell’altro campo, anche in chi si presenta al popolo come il cosiddetto “argine democratico”. Magari non attraverso una diretta Facebook, ma in cene e dopocene con magistrati e consiglieri del CSM per orientare le nomine delle procure. E vi partecipano anche parlamentari assai vicini all’ex premier. Ma su queste nemmeno una parola. Nemmeno un rigo. Che brutti scherzi fa la memoria.
  • Un paese più colto è anche un paese più democratico. Sottoscrivo. E investire in educazione è prioritario. Magari farlo insieme agli insegnanti e non contro di loro sarebbe stato quantomeno auspicabile. Magari evitando i bonus e facendo politiche strutturali, meglio ancora. Ma porsi la domanda sul perché tre quarti del mondo educativo ha voltato le spalle al centrosinistra – non solo perché le risorse non sono state sufficienti, ma perché non si governa con processi di riforma dall’alto e umiliando il personale – non sarebbe sbagliato. Tant’è che oggi ci troviamo al potere quelli che dell’ignoranza ne fa un manifesto politico. Forse un rigo in più nella lettera andava messo. Ma, si sa, si chiede l’autocritica agli altri, quando non si vuole fare la propria.
  • Il centrosinistra – tutto insieme, noi compresi – non ha perso per le fake news. Non raccontiamoci una balla. La disoccupazione giovanile ai massimi storici nel sud non era una fake news, gli 11 milioni di persone che rinunciavano a curarsi non erano una fake news, l’incazzatura dei risparmiatori per il fallimento delle banche popolari non era una fake news. Rabbrividisco quando i leghisti postano una foto taroccata sui parlamentari della Sea Watch. Credo che vadano denunciati e condannati per diffamazione. Ma, se pensiamo che l’emergenza di questo paese sia un po’ di Photoshop, il problema allora non sono loro, il problema siamo noi. E dobbiamo farci vedere da uno bravo.
  • Sulla globalizzazione il rottamatore rispolvera la terza via di Blair, morta e sepolta da venti anni. Ormai non la difende nemmeno più l’ex primo ministro inglese. L’apertura liberista dei mercati ha fatto riemergere alcune economie – soprattutto asiatiche – dal cono d’ombra del sottosviluppo, con prezzi altissimi sul piano ambientale e sociale, ha ulteriormente depresso continenti come l’Africa, ancora impigliati nel colonialismo vecchio e nuovo, ha aperto una stagione di insicurezza sociale nelle società europee e occidentali che ha ridotto il potere d’acquisto dei ceti medi, precarizzato il lavoro, spinto intere produzioni a delocalizzare, esasperato il cambiamento climatico. L’ossessione sono stati i costi, non i diritti. La destra ha soffiato sulla paura di perdere tutto dei ceti più deboli e si è ingrassata. Non basta dire: “Non aver paura”. Bisogna dire: “Io ti difendo se hai paura”. Ma qui non si può chiedere più di tanto a Renzi. La parola uguaglianza non è mai entrata nemmeno di striscio nel suo lessico. E quando si è trattato di dare un calcio ai diritti del lavoro, non si è mai tirato indietro. Se attacchi la destra sovranista con le ricette della destra economica stai lavorando per il re di Prussia. Cioè Salvini.

Tutto qui. Chi si è battuto perché queste cose non accadessero c’è stato. Era minoranza. E ha perso. Esattamente come Renzi che aveva tutto il potere nelle sue mani. Abbiamo sbagliato tante cose, ma c’è chi ha sbagliato sicuramente più forte. Ogni tanto, provare a ristabilire un punto di vista prossimo alla verità fa bene. Alla sinistra e al paese. Perché non tutte le responsabilità sono state identiche.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.