In Italia c’è una classe sociale sempre più ampia, ma sempre più invisibile e dimenticata, perché priva di alcuna rappresentanza: le piccole partite iva.
Si tratta di un immenso mondo di lavoratori composto dalle più eterogenee categorie professionali: artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, professionisti che fatturano “poco al di sopra della soglia di sopravvivenza”, devastati da un eccessivo peso fiscale e deluso da una classe politica che sembra disinteressata ad ascoltare le loro ragioni.
Si sente tanto parlare di cuneo fiscale, di lavoratori dipendenti, di pensionati. Tutto giusto e tutto condivisibile, ma tra le categorie più indifese, più colpite da un capitalismo sfrenato e da una competizione priva di regole, vanno considerate anche le piccole partite iva.
Non parliamo di grandi capitali, ma di quelle persone che hanno difficoltà anche ad arrivare a fine mese. Quelle persone che, a differenza di chi ha un contratto, fosse anche instabile e precario, non godono di alcuna tutela e né, in fase successiva, hanno strumenti per far valere le loro ragioni e i loro diritti.
Si tratta di migliaia di lavoratori che non possono usufruire di permessi, malattie, infortuni, ferie, festività, e che autonomamente devono provvedere al versamento dei propri contributi, mediante casse, fondi e assicurazioni private, gestioni separate dell’INPS.
I dati ISTAT, a partire dal 2015, sono chiari: I più colpiti dalla crisi economica sono stati i titolari di partite iva e le rispettive famiglie. Anche a causa del forte calo della domanda interna una partita Iva su 4 è finita sotto la soglia di povertà.
I dati dell’Ufficio studi della CGIA ci parlano di una vera e propria moria delle aziende artigiane: nei primi 6 mesi di quest’anno lo stock delle imprese artigiane è diminuito di 6.564 unità. Al 30 giugno scorso, il numero complessivo si è attestato a quota 1.299.549.
Ad eccezione del Trentino Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo del primo semestre è stato negativo. I risultati più preoccupanti si sono registrati in Emilia Romagna (-761), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629). A dirlo è Confartigianato. Una crisi, quella delle aziende artigiane, che dura ormai da 10 anni. Tra il 2009 e il 2018, infatti, il numero complessivo è sceso di quasi 165.600 unità.
“La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività.”
A fronte di questi dati stona e sembra in contraddizione il dato generale che registra un aumento delle partite iva nel 2019. Erroneamente si attribuisce il merito o demerito, a seconda della interpretazione che se ne dà, alla flat tax.
NON è così!
Innanzitutto, si deve sfatare un mito: le persone fisiche titolari di partite iva, al pari di tutti i lavoratori, sono soggette al pagamento dell’Irpef sia sui redditi prodotti nell’esercizio dell’attività che sugli altri redditi prodotti.
Non paga l’Irpef chi, nonostante sia titolare di partita iva, non ha prodotto redditi o non ha prodotto redditi soggetti a Irpef. In questa ultima rientrano i soggetti che hanno aderito al regime forfettario, che pagano un’imposta sostitutiva.
E qui opera la vera novità della flat tax, che alza la soglia per i contribuenti aderenti a tale regime.
Per vedere come ricade l’imposizione fiscale e contributiva facciamo un esempio elementare, senza considerare i vantaggi in detrazioni, tfr e costo gestione a beneficio dei lavoratori dipendenti:
Esempio 1.
A= Lavoratore autonomo
B= Lavoratore dipendente
Compensi percepiti // Stipendio = 13.000 euro
Calcolo lavoratore A:
Reddito imponibile lordo € 13.000*78% = € 10.140
Contributi previdenziali € 2.700
Reddito imponibile netto € 10.140 – € 2.700 = € 7.440
Imposta sostitutiva 15% à € 7.440 * 15% = € 1.116
TOTALE 9.184
Calcolo lavoratore B:
Reddito imponibile lordo € 13.000*23% = € 2.990,00
Contributi previdenziali € 1.194,7
Totale 8.815
Dai calcoli si evince chiaramente che a parità di reddito il lavoratore dipendente, che ha molti più diritti e tutele del lavoratore autonomo, non è più vessato del lavoratore autonomo.
Inoltre deve considerarsi che per l’accredito contributivo, per l’anno 2019, il minimale di reddito previsto dall’articolo 1, comma 3, della legge n. 233/1990 è pari a € 15.878,00. Sopra i quali le aliquote previste sono:
- 25,72% per i liberi professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
- 34,23% per i collaboratori e le figure assimilate non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie per i quali è prevista la contribuzione aggiuntiva Dis-Coll.
La ripartizione dell’onere contributivo tra collaboratore e committente è stabilita nella misura rispettivamente di un terzo (1/3) e due terzi (2/3) mentre per i professionisti l’onere contributivo è a carico degli stessi.[1]
L’indagine Istat, poi, si basa esclusivamente sul riportare i numeri emersi, senza considerare che se a un aumento notevole delle partite iva corrisponde un calo dei lavoratori subordinati è perché i datori di lavoro, per loro esclusivi vantaggi economici e fiscali, hanno sostituito il tipo di collaborazione. Almeno formalmente. Sono le false partite Iva. Qui dipendenti che non vengono più assunti come tali ma con regime di lavoratore autonomo. Dipendenti inquadrati come collaboratori, su cui ricadono gli stessi obblighi dei subordinati.
La sinistra dovrebbe capire che la nuova classe operaia, il nuovo proletariato, è formato anche dal mondo delle piccole partite iva. Non possiamo consentire che gli unici ad occuparsi di questo tema siano le forze di destra, che pur di cavalcare l’onda del malcontento di questa categoria, arrivano a prospettare soluzioni di “mal governo”, al solo fine di perpetuare la loro campagna elettorale.
Stare al fianco dei più deboli, significa avere coraggio e interpretare le necessità e le evoluzioni della società.
Si devono immaginare misure e politiche di sostegno per questa nuova categoria di poveri. Si potrebbe per esempio pensare per le partite iva più piccole (stabilendo una soglia di fatturazione annua), a una detassazione totale per i primi 10-12 mila euro di fatturato, considerando questa soglia una sorta di minimo vitale intangibile per le piccole attività al fine di favorire la sopravvivenza. Non dobbiamo aver paura delle nostre affermazioni, dobbiamo guardare con coraggio a un mondo che chiede di essere rappresentato e difeso.
[1] circolare INPS 6 febbraio 2019, n. 19