Pensi che sia l’ennesimo libro su Berlinguer, peggio: sulla morte di Berlinguer. E invece ti ritrovi dentro una sceneggiatura. “Eppure il vento soffia ancora – Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer” di Piero Ruzzante e Antonio Martini, è un susseguirsi di soggettive che, da vari punti di vista, tutti di primissima mano, tutti personali, convergono nel racconto di una tragedia che fu umana, familiare, politica e nazionale, e che nascono dal cuore del suo epicentro: Padova. Ognuno ha il suo ricordo di certi eventi: sa dov’era quando è successo, sa cosa ha sentito e cosa ha pensato. E le testimonianze di chi quei cinque giorni li ha vissuti più da vicino coinvolgono il lettore in una storia che lo riguarda. Un effetto drammaturgico formidabile.
Tutti pensiamo di sapere o di ricordare tutto, ma forse non sappiamo, per esempio, che se tutti hanno impresse con tanta forza quelle immagini di Berlinguer sul palco del suo ultimo comizio a Padova è perché accanto a quel palco c’era, probabilmente per la prima o la seconda volta in Italia, un maxischermo che restituì ogni particolare del dramma anche a chi era più lontano nella grande piazza affollata: un dettaglio (ancora) cinematografico, e anche la storia del recupero di quelle immagini, registrate quasi per caso e che finendo nelle mani sbagliate potevano causare ancora più dolore alla famiglia, è quasi un film.
Ma questa sceneggiatura non è tragica solo per il dolore e la perdita che la morte di Berlinguer provocarono: lo è perché sembra il compiersi di un destino. Berlinguer e Padova, Berlinguer e il Veneto: a leggere sembra quasi che potesse accadere solo lì.
Il Veneto dei fischi al congresso del Partito socialista a Verona.
Il Veneto delle basi americane e dei movimenti pacifisti.
Il Veneto di Marghera, dello sfruttamento del lavoro e dell’ambiente.
Il Veneto base del terrorismo nero e dell’estremismo violento dei “rossi”.
Il Veneto di Lalla Trupia, al vertice dell’organizzazione delle donne comuniste.
Ognuno di questi “Veneti” ci dice qualcosa su Enrico Berlinguer. La sceneggiatura di Antonio Martini (se interpreto bene) si addentra qua e là nelle riflessioni politiche sul pensiero del segretario del Pci, frutto del lavoro di una vita, di Piero Ruzzante. Con una tesi di fondo: che cioè non sia vero, come dicono diversi storici e analisti, che dopo la fine della solidarietà nazionale e con la morte di Moro la politica di Berlinguer fosse entrata in una fase priva di slancio e di sbocchi, e che avesse perso la forza e la capacità di tracciare, pur ancora dentro i confini del Pci, il profilo di una sinistra più moderna. L’idea di Ruzzante è che no, il pensiero di Berlinguer in quegli ultimi anni è ancora vitale e incisivo, e che continua ad avere una forza espansiva che fa crescere la sinistra e il partito.
La sua speciale connessione sentimentale con le donne ad esempio, ben fotografata nel racconto della Festa nazionale delle donne comuniste di Venezia del 1981, che lo porta ad aprire spazi per il loro protagonismo fino all’idea un po’ visionaria, e respinta dalle compagne stesse, di considerarle così autonome da potersi candidare come “indipendenti” nelle liste del Pci, e magari costituire un gruppo in parlamento.
Il tema dell’ambiente e della tutela del suolo, con cui Berlinguer spiazzava l’uditorio in certi discorsi al Petrolchimico o in certe invettive sulle tragedie del Vajont o del Polesine, o sul fenomeno sempre più ricorrente dell’acqua alta, diversi anni prima che nascessero i partiti ecologisti.
E i cattolici, che proprio sul tema della pace trovavano nei discorsi di Berlinguer la corrispondenza più precisa con i documenti del Magistero in quegli anni post conciliari, che erano molto fermi nella condanna delle guerre. Su quel terreno il filo con i movimenti e le associazioni cattoliche non si era mai interrotto, come dimostra la scelta di chiedere a Domenico Rosati, presidente delle Acli, di parlare in piazza San Giovanni al funerale.
Il funerale: un film nel film. Perché ci fu davvero un film su quella giornata, e per girarlo si mobilitarono praticamente tutti i registi più importanti del cinema italiano, intervistando la gente e le autorità, gli iscritti di Ponte Milvio e gli amici del segretario: migliaia di voci, un racconto corale che allarga i ricordi padovani del libro fino ai confini di tutta l’Italia.
Ci sarebbe molto ancora da dire, su Craxi che entra nell’ospedale nel silenzio più assoluto della folla, perché il partito non vuole che si risponda a quei fischi di Verona. Sulla compostezza e la dignità della famiglia Berlinguer. Sulla tenerezza di certi compagni che ti immagini grossi e baffuti, pronti a fare da autisti a mezzo partito come a comprare camicie a chi è partito in fretta ed è rimasto senza, a cancellare scritte fasciste come ad asciugare lacrime. Su Pertini che non è vero, come pensiamo tutti di ricordare, che “andò a prenderlo” con l’aereo presidenziale per portare la salma a Roma; Pertini era già lì, dal primo giorno e per tutti quei cinque giorni, è con la famiglia, è in ospedale, è ovunque, va e torna, ed è solo rispondendo alla domanda di un giornalista “Presidente, lo porta con sé? Come un figlio?” che trova quelle parole indimenticabili come un’epigrafe: “Lo porto con me come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”. Sul racconto, sul film, del fiume di bandiere rosse e di operai usciti dalle fabbriche che accompagna spontaneamente, senza convocazioni e senza avvisi, il corteo funebre da Padova all’aeroporto di Venezia, sotto una pioggia da romanzo. Colpisce leggendo tanti dettagli, tanti ricordi e tante storie tristi, ma spesso anche teneri, anche chi non faceva parte di quel partito e non ha per ragioni anagrafiche che un ricordo vago di quegli anni, sentire quanto Enrico Berlinguer non solo sia amato, ma quanto fosse amato già da prima di quella fine così prematura e così tragicamente spettacolare, del compiersi di quel destino che riguardò un popolo intero. Il mondo è pieno di persone che diventano un mito dopo la loro morte, ma lui lo era già da prima: “Berlinguer ti voglio bene” era il titolo di un film già da prima, Benigni che lo prende in braccio era una foto simbolo già da prima. Non capita spesso a un politico, non solo in Italia.
Eppure il vento soffia ancora – Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer. Di Piero Ruzzante con Antonio Martini. Ed. Utet, 16 euro.