Il 16 ottobre saremo in piazza a Roma con Cgil, Cisl e Uil per manifestare contro tutti i fascismi.
Può apparire persino scontato, ma quello è il nostro posto. E lo sarà sempre.
Vogliamo ribadire ancora una volta che la situazione non è calma e tranquilla, che l’assalto alla sede del più grande sindacato italiano è purtroppo la cronaca di un disastro annunciato.
Per troppi anni si è considerato il neofascismo qualcosa di più di una semplice escrescenza folcloristica, un vezzo onanistico di quattro nostalgici tutto sommato innocui e marginali.
Non è mai stato così: negli ultimi venti anni sono cresciuti i loro luoghi di reclutamento della militanza, i loro centri di elaborazione politica e culturale, i loro circuiti di finanziamento legali e soprattutto illegali.
Molto spesso in alleanza – tacita o dichiarata urbi et orbi – con la destra istituzionale, Lega e Fratelli d’Italia innanzitutto.
Chi si sorprende davanti a questi episodi dunque o è ingenuo o complice.
Era scritto che avrebbero provato ad assaltare le sedi della democrazia.
E i luoghi dove si organizza il lavoro rappresentano il cuore pulsante di un sistema democratico.
Si colpisce la Cgil perché il messaggio è semplice: possiamo fare qualsiasi cosa, possiamo arrivare indisturbati e impuniti dappertutto, dovete avere paura di noi.
Non basta rispondergli: noi siamo molto di più di diecimila fanatici no green pass eterodiretti da Casa Pound e Forza Nuova.
Non basta pensare: li hanno arrestati – finalmente, era ora! – e dunque adesso tutto ritorna a posto.
Non è così: serve la legge, ma serve anche la politica.
Si deve ricominciare dalle scuole, dove nel corso degli ultimi anni si è radicato di più il processo revisionistico.
Tra pigrizia e approssimazione, tra spoliticizzazione e complicità.
Questo fenomeno di rimozione collettiva non passa soltanto per la banalizzazione della Resistenza – ridotta a poco più di un rigo nell’insegnamento della storia contemporanea -, ma anche e soprattutto dal riduzionismo dell’ideologia fascista a pura parentesi nel mare magnum dei cosiddetti totalitarismi del 900.
Tutti sono uguali, tutti dunque sono sostanzialmente sullo stesso banco degli imputati.
E i fascisti che hanno scatenato la seconda guerra mondiale, firmato le leggi razziali, costruito i campi dì concentramento, attentato alla sovranità di paesi indipendenti, ridotti a una specie di virus tra gli altri.
Non siamo guariti invece ancora da quel virus, perché le varianti spuntano a ogni tornante difficile della storia del paese.
Va archiviato dunque questo ventennio della sottovalutazione se vogliamo cancellare definitivamente la nostalgia per il ventennio fascista, quando nella disastrosa semplificazione del “né di destra né di sinistra” a restare in piedi sono stati proprio i fautori dell’odio verso i diversi, gli imprenditori della paura, i seminatori di pregiudizi ancestrali.
L’Europa ci dice che lo squadrismo sta prendendo piede anche in paesi che non hanno vissuto da vicino il fascismo.
La crisi del ceto medio, la frammentazione e precarizzazione del mondo del lavoro, la prevalenza dell’austerità sulla redistribuzione hanno moltiplicato la manifestazione di questi fenomeni morbosi, finendo per legittimarli.
Abbiamo visto questi ragazzotti con la testa rasata, il bomber e le scarpe chiodate fare il corpo a corpo nelle periferie con le organizzazioni classiche della solidarietà laica e cattolica, distribuire pacchi alimentari – come ci rivela Fanpage spesso a sbafo del contribuente -, lanciare petizioni sulla sicurezza, accentuata la guerra dei penultimi contro gli ultimi.
Talvolta conseguendo anche risultati.
Perché i vuoti in politica si riempiono sempre.
E questo ha intimidito anche chi doveva applicare la legge.
Parlo di una magistratura che non dovrebbe archiviare quasi sempre tutto quello che le passa sotto il naso, comprese migliaia di denunce di episodi singoli di violenza squadrista che passano in cavalleria.
Dietro quelle che appaiono scartoffie ci sono le storie di tanti giovani picchiati, aggrediti, bullizzati da aspiranti gerarchi in camicia nera che infestano le scuole, le università, i locali, i bar, le piazze di ritrovo della socialità.
E quando le giovani generazioni incrociano quasi esclusivamente il fanatismo squadrista e non la partecipazione democratica – e questo dovrebbe interrogare tutte le forze politiche antifasciste – prevale solo l’istinto di sopravvivenza, la voglia di farsi i fatti propri, di girarsi dall’altra parte.
Siamo stati sconfitti perché non li abbiamo difesi quando era necessario.
Semplicemente perché non c’eravamo.
Per questo bisogna manifestare e rialzare le bandiere: non possiamo più limitarci a chiedere lo scioglimento delle formazioni neofasciste, bisogna farlo.
E sarà un bel giorno quando insieme al voto delle forze democratiche e progressiste ci sarà anche quello della destra istituzionale contro i movimenti neofascisti.
Che dovrà pronunciarsi solennemente su questo, già in Parlamento nei prossimi giorni, quando si discuterà la mozione per chiudere Forza Nuova e ribadire che il 25 aprile non è solo la festa di qualcuno, ma di tutti.
La festa della liberazione della patria dall’invasore, quella più importante, quella da cui nessuno può sfuggire, quella su cui si costruisce il discrimine tra chi è democratico e chi non lo è.
Non possiamo più lasciarci scivolare addosso dichiarazioni ambigue.
Da questa porta passa anche la prova di maturità e di serietà che chiediamo a Salvini e Meloni.
Devono dire chiaramente da che lato della barricata si collocano. Ed essere finalmente conseguenti.
L’assalto alla sede della Cgil è uno spartiacque per tutti, soprattutto per loro.