Al di là delle querelle tra gli alleati di governo tutte tese all’appuntamento del 26 maggio è inevitabile porsi delle domande e trovare delle risposte possibili sulla questione delle province e delle città metropolitane. Una cosa è certa: a seguito della “riforma” Delrio, gli enti provinciali sono stati svuotati, prima che delle competenze, dei fondi ad essi destinati; con il risultato che è sotto gli occhi di tutti soprattutto per quanto riguarda la manutenzione e la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare adibito a sedi scolastiche, sia per quanto riguarda la manutenzione e la messa in sicurezza delle strade con particolare evidente necessità per quanto riguarda ponti e viadotti.
La questione relativa agli organi di decentramento dello Stato non è questione che si possa gestire a suon di slogan: è una questione seria e profonda che tocca le basi della capacità dello Stato di assicurare i migliori servizi possibili ai propri cittadini e tocca un tema molto delicato che è quello della possibilità da parte della cittadinanza di scegliere chi governa e amministra i territori. È una questione legata allo scippo del suffragio universale che la riforma delle province ha determinato, e non è questione da poco essendo profondamente una questione di democrazia e partecipazione.
Le elezioni di secondo livello per i Consigli Provinciali e Metropolitani hanno determinato una situazione per cui a seguito delle elezioni comunali vi è stato l’avvicendarsi, dovuto a dimissioni di diversi consiglieri ai quali in nome di un contenimento delle spese viene chiesto di fare di fatto i “dopolavoristi” del tutto gratuitamente, pur ricoprendo un ruolo che certo non può essere considerato di secondo piano.
Che sia necessario mettere mano alla riforma è fuori di dubbio, rispondendo una volte per tutte alla domanda se si ritiene necessario che esistano enti intermedi tra le regioni, in tendenza sempre più accentratrici di potere, competenze e di conseguenza fondi, e i comuni e la risposta a questa domanda non può essere estranea alla necessaria battaglia da condurre contro l’autonomia differenziata delle Regioni, un disegno che tende non solo a spaccare il Paese colpendo le aree più disagiate e con meno ricchezze, ma tende anche ad accentrare pericolosamente nelle mani delle Regioni un potere che si fa distante dai cittadini e che facilita la crescita di lobbies e centri di potere.
La necessità di un ridisegno armonico del decentramento dello Stato è all’ordine del giorno e non può che partire dal rivedere lo spropositato numero di Città Metropolitane, dalla spinta affinché si costruiscano le unioni dei piccoli Comuni, dal rivedere le regole e le logiche delle Comunità Montane, dal porsi seriamente la questione delle Province e delle Città Metropolitane, dalla abolizione per ogni ente dell’elezione di secondo livello con il ripristino del suffragio universale.
La questione oggi non è se si è dalla parte della Lega o dalla parte del M5S, la questione è se si vuole costruire uno scenario armonico che permetta al Paese di andare avanti, di crescere, di investire, creando occupazione, suoi suoi territori; è una questione di salvaguardia e di messa in sicurezza del territorio e del patrimonio pubblico ed è in fondo una grande questione di democrazia; queste sono le domande e le risposte che si debbono cercare e che devono essere pratica e progettazione concreta di un nuovo centrosinistra.