Non mescoliamo ciò che la Costituzione vuole si tenga separato

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Dubito che Draghi parli mai a caso. E dunque va preso sul serio ogni volta che apre bocca. La conferenza stampa di fine anno, conclusasi con applausi quanto meno irrituali – e forse persino un po’ inquietanti – da parte dei giornalisti che vi assistevano, non è un semplice incidente di percorso. Dunque, se avete un po’ di pazienza, proverò a dire la mia, quasi fosse uno “spiegone”.

🔴 Draghi non si è candidato al Quirinale come molti oggi scrivono. Non ci si candida alla Presidenza della Repubblica, questo fa parte di un alfabeto istituzionale che anche l’attuale Presidente del Consiglio conosce e gliene va dato atto. Si è limitato a dire che il suo compito è praticamente finito, perché, dalla vaccinazione al Pnrr, ha messo tutte le carte a posto. Chi arriverà dopo deve comunque stare in quel solco senza troppi sbandamenti. Insomma, il pilota automatico è in azione, dunque posso tornare da dove vengo o fare anche qualcos’altro. Deciderà il Parlamento.

🔴 Draghi ha detto tuttavia qualcosa di più. Ovvero che c’è un automatismo tra maggioranza parlamentare che sostiene il governo e maggioranza parlamentare che dovrà votare il Presidente della Repubblica a gennaio. Per il Presidente del Consiglio dunque i due destini sono inevitabilmente intrecciati. Simul stabunt, simul cadent.

🔴 Questa affermazione è quanto meno discutibile, sia sul piano politico quanto sul piano costituzionale. Lo capiscono anche i bambini che sarebbe un paradosso eleggere un PdR con una maggioranza più stretta di quella che regna a Palazzo Chigi. E’ sempre accaduto casomai il contrario. Tante volte il Pci ha contribuito a eleggere il PdR pur restando all’opposizione per decenni. Detto questo, nessuno vieta che questa volta accada l’opposto. Ma non spetta a chi dirige un governo senza formula politica indicare la strada per il colle. Tanto più se è legittimamente un potenziale “quirinabile”.

🔴 Separare i destini di Palazzo Chigi e Quirinale è un fatto di igiene politica. Mai i due destini sono stati intrecciati e questo ha messo in sicurezza e al riparo da strumentalizzazioni politiche l’Istituzione presidenziale. Non è un caso che a fronte di una politica purtroppo molto in basso nelle classifiche di gradimento degli italiani, il Quirinale non ne risenta, al contrario rappresenta un bene rifugio quando la situazione si mette male nonché un punto di riferimento per milioni di persone. Sarei per tenermi stretta questa tendenza, può tornare sempre utile come è accaduto in altri passaggi della vita democratica italiana, persino quando non li ho condivisi del tutto.

🔴 D’altra parte, se non fosse stato così, con un Mattarella autorevole e rispettato da tutti sia a livello internazionale che interno, difficilmente sarebbe nato il Governo Draghi. Solo un Presidente sopra le parti poteva costruire uno sbocco ad una crisi che aveva come uno degli esiti naturali quello delle elezioni. Cosa che, almeno a me, non avrebbe nemmeno scandalizzato troppo. Ma tant’è. Mettere, dunque, il Quirinale nell’agone politico, al centro di una delicata operazione di spostamento di caselle per fare posto a qualcun altro, persino se quel qualcuno fosse il “Nonno d’Italia”, rischia di farci rimbalzare fuori dallo spirito della Costituzione. Non è consigliabile, il tatto talvolta e sostanza.

🔴 Il Quirinale dura sette anni, una legislatura cinque. Non è un caso che i costituenti scelsero questo sfalsamento che non è solo temporale, ma politico. Se non fosse stato così, in Italia avremmo avuto un semipresidenzialismo di fatto, insomma un altro sistema istituzionale molto diverso dal regime parlamentare in cui viviamo. Sarò un conservatore, ma preferisco seguire la bussola dei costituenti piuttosto che le elucubrazioni di apprendisti stregoni che considerano la Carta una cosa adattabile al mutare delle singole e talvolta deprimenti stagioni politiche.

🔴 Penso che abbiano fatto bene Speranza, Letta e Conte a vedersi e a stabilire un patto di consultazione sul Quirinale. Le coalizioni hanno senso se fanno queste cose nei tornanti difficili. Credo anche che non dobbiamo rassegnarci all’idea che la destra debba dare le carte per prima, come propone Matteo Renzi in procinto di effettuare il suo personale cambio di campo politico. Se i progressisti avanzano un nome, lo dice Nico Stumpo oggi sul Mattino, almeno per misurarsi ed eventualmente andare poi a un accordo unitario anche con la destra che ci sta, contribuiscono a fare chiarezza e a sventare operazioni pasticciate o avventurismi possibili. Perché è vero che ci sono i nonni che scalpitano, ma anche i bisnonni non scherzano.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.