Bologna, 6/7 aprile, Assemblea congressuale di Articolo Uno. Ormai ci si conosce un po’ tutti, ci si rivede con piacere. Un po’ complici, un po’ amici. Di qualcuno non sai nemmeno il nome, altri li saluti con affetto, dai un volto a qualcuno con cui hai solo parlato al telefono o hai scambiato qualche mail. Un po’ di senso di comunità non guasta; e non guasta nemmeno l’ufficialità di inno nazionale e inno europeo. A seguire parte l’Internazionale. I social e qualche giornale si scatenano: nostalgici! comunisti! Quasi che l’assemblea, il dibattito, cinquecento persone venute da tutta Italia, tutto il resto non contasse nulla. La superficialità in questo paese sta raggiungendo limiti preoccupanti.
“NOI x ricostruire”. È lo slogan dell’assemblea e il primo intervento è di Fabio Ranieri, coordinatore abruzzese, a dieci anni dal terremoto de L’Aquila: “ricostruire” detto da lui assume un significato più profondo, quasi commovente. Commozione che poco dopo stringerà la gola a Virginio Merola, sindaco di Bologna: l’obiettivo del sociale, la crescita sostenibile, la sovranità condivisa, le scelte fatte insieme, la pari dignità dei punti di vista. Unire intorno a un progetto comune, condividere. Gli farà eco l’indomani Bonaccini, il presidente della Regione: “Se una scelta non l’hai condivisa, faticherai a difenderla”. Quanto è distante la mia città!
Roberto Speranza è persona seria e onesta, con franchezza non nasconde i problemi “non posso dire che il mandato che mi è stato affidato sia andato a buon fine”. No, non è andata bene, non si farà alcuna lista unitaria dei progressisti, non ci sarà alcun accordo tra noi, il PSI e il PD. Con Zingaretti le distanze si sono accorciate ma non azzerate, le differenze restano. E pesano.
Che si fa allora? Siamo tutti d’accordo, lo ripetiamo da tempo, occorre ridefinire il pensiero politico, la visione della società; la revisione deve essere profonda; nella società ci sono tante energie da riconnettere; e poi c’è una destra sempre più aggressiva da fermare. Ricostruire, appunto. Basta tergiversare, costituiamo il partito. Siamo qui per questo. Sì, vabbè, ma tra un mese e mezzo ci sono le elezioni. Costituiamo il partito ma non ci presentiamo alle elezioni? Speranza fa la proposta: nessuna nuova e ulteriore lista, ma dare un’ indicazione di voto per la lista che si richiama al PSE, verificando la possibilità di individuare candidature su cui esprimere il nostro diretto sostegno e rivendicando comunque la nostra piena autonomia e indipendenza sia di progetto politico che di programma. Un atto unilaterale, responsabile e generoso, per non dividere la famiglia socialista, per non produrre ulteriori frammentazioni.
È un passaggio difficile, non privo di ambiguità. Nella sala si rincorrono voci, commenti, giudizi. Latente schizofrenia? resa? sconfitta? presa d’atto? suicidio? atto coraggioso? via obbligata? flebile tentativo di sopravvivenza? Oppure un realistico, pragmatico e lungimirante passaggio?
Intorno a questi interrogativi si sviluppa il tormentato dibattito. L’impressione è di essere in un cul de sac. La realtà è questa, prendiamone atto, vediamo di affrontarla. Molto esplicito Epifani; tre possibili strade: stare fermi, organizzare una lista in fretta e furia, accogliere la proposta di Speranza. Proposta forte, con l’obiettivo di rafforzare il PSE, evitando di rinchiuderci, sfidando il PD sulle proposte di rinnovamento; ma che pone un problema, tutto questo andrà detto e spiegato alla nostra gente. Indispensabile che all’interno delle liste si trovino candidati che rappresentino la nostra storia.
Concetti ripresi poco più tardi da D’Alema che ritiene fondamentale fare del PSE una forza condizionante, all’interno di un campo progressista in cui cresca la consapevolezza della profonda e radicale trasformazione di cui ha bisogno l’Europa. Il fragile gesto unilaterale assuma dunque il significato di una battaglia politica possibile, un momento di passaggio di un processo ampio, di lungo periodo, nel quale ricostruire radicamento, rappresentanza, una profonda revisione culturale. Con un obiettivo chiaro: costruire una sinistra di governo che torni a vincere e a governare. Anche attraverso una forza come la nostra, piccola ma non di testimonianza. Insomma, non confondiamo generosità con subalternità. Vanno individuati candidati significativi, riconoscibili; e sia visibile l’apertura a sinistra, indispensabile per riguadagnare credibilità. Una sinistra che, in una società sempre più radicalizzata, sappia uscire dal vecchio paradigma di cercare consensi al centro e sappia invece collegarsi alle spinte più radicali; come già succede nel mondo: il portoghese Costa che governa con i comunisti, Sanchez che si è rafforzato quando ha aperto a Podemos, gli stessi democratici americani che hanno ripreso forza grazie a personalità nuove e radicali. E qui parte la frecciata: ma se oggi è possibile pronunciare il termine “socialista” in USA si potrà anche in Italia senza che Calenda si indispettisca!
Quasi immediato il post su Facebook del deputato PD della mia città: D’Alema oggi vuole giocarsela con Potere al Popolo. Confermo: l’uso di Facebook nuoce gravemente alla salute.
Il dibattito prosegue, toni accesi e appassionati, punti di vista diversi, tesi interessanti, tormenti, anche personali. La conclusione è una scelta unanime: oggi nasce il partito di Articolo Uno, con le sue regole, i suoi organismi, la sua identità e autonomia; la troppo lunga transizione finisce qui. Chiara la richiesta con cui Bersani conclude il suo intervento: non chiamateci né fuoriusciti né transfughi, noi siamo Articolo Uno.
Più sofferta la scelta del percorso per le elezioni europee: un’indicazione di voto, l’individuazione di qualche candidatura da sostenere. Nella speranza di non indebolire il PSE, con l’obiettivo di far crescere la consapevolezza che in Europa occorra una profonda e radicale trasformazione.
Il congresso si chiude. Lasciamo Bologna, le torri, i tortellini. I tormenti rimangono. Forse chi più di ogni altro ha nel suo intervento congressuale mostrato evidente amarezza è stato Antonio Panzeri. Per lui, deputato europeo di lunga esperienza, le elezioni europee rappresentano un passaggio importante, che delinea le politiche del futuro, non possono essere considerate un incidente di percorso. E a quell’appuntamento ci arriviamo incerti, privi di prospettive, nella condizione di “non saper che pesci pigliare”. Il percorso scelto è oggi probabilmente obbligato, il solo possibile. Ma come ci siamo arrivati? Perché siamo a questo punto?
Dopo il 4 marzo, archiviata l’esperienza di LeU, avremmo dovuto preparare adeguatamente gli appuntamenti politici ed elettorali, invece abbiamo perso tempo. Perché? La critica è forte, penetrante. Per alcuni di noi la spinta propulsiva del progetto che avevamo messo in campo si era esaurita. In pochi ci avevano seguito. Spiazzati, fuori gioco, occorreva aspettare l’occasione per rimettersi in carreggiata insieme al soggetto più grande, il PD. Ma nessuna interlocuzione è stata e sarà possibile, non vi è stato alcun riconoscimento politico di un’alleanza con noi. E oggi la nostra gente è confusa, se ne sta andando, non partecipa più, non ci percepisce come punto di riferimento. Non è casuale che tanti di noi abbiano votato alle primarie del PD. Oggi siamo di fronte ad una scelta divisiva, dalle ignote conseguenze: che succederà dopo il 27 maggio? Chi ci seguirà ancora? Chi se ne andrà? Sapremo ricondurre tutti all’unità? Avremo ancora le forze per ricostruire il nuovo soggetto politico? Domande in attesa di risposta, preoccupazione che la ricostruzione, il progetto, il soggetto politico, non rimangano che un sogno. Tormenti. Amarezza. Non mi stupisce dunque la sua rinuncia, pochi giorni dopo, alla candidatura offertagli, “ritengo non sussistano oggi le condizioni politiche necessarie per tale candidatura”. Un atto di coerenza che ho apprezzato.
Atto condiviso da un’altra parlamentare europea, non di Articolo Uno, ma con la quale abbiamo fatto un po’ di strada insieme: Elly Schlein. Avevo avuto con lei un breve scambio di idee alla manifestazione del 2 marzo, ne avevo colto l’amarezza per le scarse possibilità di successo del suo ostinato tentativo unitario. A leggere i giornali non le mancavano certo le proposte, anche da parte del PD. Niente, un’altra rinuncia.
Alla fine comunque i nostri candidati riconoscibili ci sono: Massimo Paolucci, che conosco poco ma gode di buona fama e Cecilia Guerra che conosco un po’ meglio e apprezzo molto. Ho un sobbalzo quando in un articolo di Repubblica, fortunatamente smentito l’indomani, la vedo indicata come “candidata PD dopo una parentesi politica in MDP”. Questi dunque i candidati che rappresentano la nostra storia; nella circoscrizione Nord Orientale, in quella Meridionale. Ci vorrà un po’ di impegno a votare nel Nord Ovest. Tutto è maledettamente complicato, il passaggio davvero stretto. Ci sarà bisogno di tanto impegno, tanto lavoro perché si possa finalmente aprire una stagione di ricostruzione della Sinistra in Italia. Facendo i conti con la realtà, affrontando con realismo e concretezza fatti e situazioni. C’è un vuoto che va riempito, uno spazio che va creato.
Lo diceva giusto qualche giorno fa Emanuele Macaluso, novantacinque anni: “[…] mi manca la sinistra. Di quella abbiamo bisogno. Quella va ripensata”. Non è il momento di abbandonare il campo. Non è tempo di resa. E poi le code di rondine già le so fare.