È assolutamente legittimo ragionare e discutere in merito alle misure prese dal Governo con l’ultimo Dpcm dell’undici marzo, a patto che si parta dalla consapevolezza e dalla contezza di tre grandi questioni, quelle che sono al centro dell’attuale contingenza: la salute pubblica, la tenuta economica e quella democratica.
L’azione del Governo non può non tenere conto di questi tre aspetti cruciali che si intersecano e che hanno un notevole peso in questo presente fatto di emergenza, di azione costruita passo dopo passo, gradino dopo gradino come l’ha bene definita il presidente Conte nella sua comunicazione dell’altra sera.
Le misure adottate, come è naturale che sia, sono anche frutto di tentativi e quindi di continue correzioni sulla base dei risultati del monitoraggio dell’andamento e della progressione del virus.
Certo è che il Governo deve saper coniugare tra loro le tre questioni perché, pur mettendo la salute al primo posto, non può permettersi di tralasciare gli altri aspetti, di lasciare allo sbando la struttura economica e produttiva già duramente colpita, di trovarsi di fronte a situazioni di grave turbamento dell’ordine pubblico.
Il Presidente del Veneto Zaia, quello che una settimana prima invocava la continuazione della vita come se niente fosse, quello dei topi vivi mangiati dai cinesi, da qualche giorno invoca invece assieme al suo collega Fontana la chiusura totale di ogni attività, della fornitura dei negozi, del mantenimento delle filiere di produzione e distribuzione dei generi di prima necessità, alla ricerca di un “tanto peggio tanto meglio” dettato dall’esigenza esclusiva di una speculazione politica che denota, se ancora ce ne fosse bisogno, l’assenza totale di un minimo di cultura di governo e di responsabilizzazione.
La popolazione, le donne e gli uomini del Paese, nella loro stragrande maggioranza si stanno comportando bene, si attengono alle misure indicate e in nome del bene comune oltre che personale si adeguano cambiando le proprie abitudini, interrompendo consuetudini e sospendendo i contatti con i propri affetti. Poi, certo, esiste una minoranza che non concepisce l’esigenza di seguire le regole e che costituisce un focolaio di pericolo innegabile e c’è una parte, purtroppo, anche degli organi di informazione che in parte comunque divulgano un’informazione corretta che gioca sugli stereotipi che dipingono gli italiani come eterni furbi, che continuano a straparlare di caos e di insicurezza sulle misure prese dal Governo, sul non “sapere” cosa fare e cosa non fare; è curioso che si giochi sui luoghi comuni che se dipinti da “fuori confine” fanno saltare la mosca al naso e che invece in nome di uno “scherziamoci su” del tutto irresponsabile per come è sviluppato e coniugato aggiunge danno al danno.
Non è vero che le regole dettate dal Dpcm non siano chiare, e stupisce che alcuni giornalisti di carta stampata e televisivi e radiofonici non si siano presa la briga di consultare il vademecum dei comportamenti, in particolare sugli spostamenti, sul sito del Ministero degli interni e di diffondere quindi una corretta informazione andando al di là della “macchietta italiana”.
Da aggiungere che senza dubbio sacrosanta è la richiesta e la mobilitazione delle organizzazioni sindacali affinché davvero sia garantita la sicurezza nei posti di lavoro che continuano ad essere operativi, così come è assolutamente necessario che si affronti prontamente e senza indugi la situazione delle carceri con misure concrete che in primis alleggeriscano il loro essere inevitabilmente luoghi ad alto rischio di contagio ed evitando di infliggere ai detenuti una “quarantena nella quarantena”.
È proprio in queste circostanze che si misura la consapevolezza, e la capacità di governare situazioni di emergenza ed è in questi frangenti che si misura il livello di civiltà, vera, che siamo riusciti a raggiungere; lavoriamo tutti e tutte perché resti alto.