Relazione all’Assemblea nazionale di Articolo Uno. Napoli, 10 giugno 2023
Benvenuti a Napoli. Grazie a Francesco Dinacci, Alessandro Tartaglione e a tutta la squadra napoletana e campana per l’organizzazione di questi due giorni di assemblea. Abbiamo scelto Napoli, la capitale del Mezzogiorno, e domani saremo alla Whirpool per dire che la questione sociale e il lavoro per noi vengono prima di tutto. Sono la nostra bandiera e ci batteremo sempre per il riscatto di chi è rimasto indietro e di chi lotta per difendere la propria dignità. Un saluto speciale ai nostri dirigenti, amministratori e sindaci e a tutti i cittadini della Romagna che sono nei nostri pensieri e che ci stanno mostrando la forza della loro capacità di reagire e di cooperare per la ricostruzione.
Oggi è il novantanovesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti il cui sacrificio va ricordato per sempre. Perché quei tempi non tornino mai più.
Questo non è un giorno come gli altri per tutti noi. E credo che sia bello e giusto esprimere fino in fondo quello che abbiamo dentro.
C’è la politica. Sicuramente. E ci verrò nel corso di questa relazione che apre l’ultima assemblea nazionale di Articolo Uno come partito politico.
Ma c’è prima ancora la vita. Naturalmente. Le esistenze che si intrecciano e le storie di ciascuno di noi, di una comunità di donne e uomini che in questi anni hanno creduto nella possibilità di costruire una sinistra nuova nel nostro Paese.
Siamo cresciuti insieme. Ovviamente in sei anni siamo evoluti e cambiati, forse invecchiati (io qualche capello bianco l’ho fatto) ma senza mai smarrire la bussola dei valori e delle idee che ci hanno guidato. Oggi arriviamo ad un punto di svolta. Uso la parola svolta per tenere insieme quello che è al tempo stesso un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza. Ed è naturale che in un momento così si possa fare un bilancio onesto di quello che siamo stati e di quello che abbiamo fatto. Delle nostre intuizioni e dei nostri limiti. Tutto questo non serve tanto per parlare di noi stessi e della storia che prima o poi qualcuno si farà carico di scrivere, ma soprattutto per guardare al futuro. Alle sfide che verranno e alla grande battaglia per costruire al più presto l’alternativa alla destra nel nostro Paese. Oggi non possiamo non guardare a questi sei anni insieme. Ma il nostro sguardo deve essere rivolto con coraggio al futuro. E il bagaglio di esperienze e conoscenze che abbiamo accumulato deve essere messo al servizio del duplice obiettivo di dare forza al nuovo Partito Democratico e alla costruzione di un’alleanza per il cambiamento del Paese.
Partiamo dal principio. Credo che abbiamo visto prima degli altri la rottura che si stava consumando tra sinistra e popolo. Abbiamo capito che in una lettura tutta ottimista della globalizzazione e dei suoi effetti stavamo smarrendo la capacità di interpretare le ansie e le speranze di una parte rilevante della società, proprio quella che tradizionalmente aveva affidato alla sinistra la propria domanda di riscatto, di cambiamento e di protezione. Abbiamo segnalato che senza un radicale aggiustamento di rotta che rimettesse al centro il lavoro, la questione sociale e quella ambientale, la lotta alle diseguaglianze e la difesa di beni e servizi pubblici fondamentali la sinistra avrebbe perso la sua anima e il suo radicamento rimanendo confinata sempre più in un ambito sociale ristretto fatto di ben istruiti e benestanti.
Alla fine del 2016 poi con il referendum costituzionale si è consumato un altro strappo tra il principale partito del centrosinistra italiano e una parte rilevante del suo elettorato sul terreno altrettanto sensibile dell’assetto istituzionale e democratico del Paese.
Articolo Uno nasce nel 2017 dentro questa fase politica. Con un obiettivo che è sin dall’inizio molto chiaro. Basta leggere il nostro Statuto e i documenti scritti sin dalla fase fondativa. Rigenerare la sinistra italiana, costruire un nuovo campo di forze progressiste e di centrosinistra capaci di fermare quell’avanzata delle destre che stavamo vedendo prima e meglio di altri (la famosa mucca nel corridoio). L’idea di fondo che ci ha guidato e che per me resta un punto di riferimento essenziale è quella espressa più volte da Alfredo Reichlin. Una sinistra plurale e larga, capace di rappresentare e difendere gli interessi dell’Italia. L’idea che una sinistra all’altezza dei suoi compiti coincida con l’interesse del Paese. Non abbiamo mai coltivato l’idea di un partitino autoreferenziale fine a se stesso, ma abbiamo sempre avuto l’ambizione di ridare fiato alla sinistra di governo nel nostro Paese. Mai abbiamo pensato che il nostro fine fosse solo fare testimonianza. Il nostro fine è sempre stato incidere nei rapporti reali di forza e provare a cambiare le condizioni di vita delle persone nel segno della giustizia sociale, dell’equità e delle libertà.
Ci siamo riusciti? Siamo stati all’altezza di questo compito? La nostra missione è compiuta? Ci vorrà tempo per rispondere compiutamente a tutte queste domande che non hanno ovviamente una risposta scontata. Io penso che, pur tra mille limiti e difficoltà che non vanno nascosti e di cui mi assumo personalmente ogni responsabilità, dalla prima all’ultima, non abbiamo mai tradito le nostre aspirazioni. Abbiamo offerto uno spazio a tanti che si sentivano traditi e abbandonati dal Pd di allora che è oggettivamente molto diverso da quello di oggi e dalle altre forze di sinistra più radicale. Abbiamo tenuta accesa una fiammella di sinistra di governo in un tempo in cui dominava il buio e la strada sembrava smarrita.
E poi ancora abbiamo coltivato più di altri l’idea di un campo di forze più largo e di un dialogo tra chi può essere parte dell’alternativa alla destra. L’esperienza del governo giallorosso in cui abbiamo creduto ed investito più di altri e di cui noi siamo stati parte essenziale testimonia esattamente questo sforzo e questo indirizzo politico che abbiamo provato a far vivere a Roma e sui territori dove il lavoro fatto dalla nostra comunità resta patrimonio della sinistra e del Paese.
Sin dai primi passi siamo stati consapevoli che serviva uno scatto vero nel nostro campo per recuperare il terreno perduto. Abbiamo detto mille volte che non consideravamo le nostre esperienze di Articolo Uno e di Leu come autosufficienti e che non bastava certo quel Pd che appariva chiuso in se stesso. Abbiamo chiesto da soli e controvento una fase costituente per rigenerare nel profondo la nostra proposta politica. Per anni abbiamo predicato nel deserto contro tutto e tutti. Il Pd, salvo rare eccezioni, è apparso a lungo un muro invalicabile che si indeboliva nel rapporto con il Paese e che nonostante ciò continuava a coltivare la sua autosufficienza. Solo nell’ultima fase si sono create condizioni nuove. E naturalmente noi ci siamo stati. Prima l’idea della lista unitaria dei democratici e progressisti. Per la verità lanciata efficacemente, ma poi amaramente smarrita nel corso della campagna elettorale. E poi ancora, dopo la sonora sconfitta di settembre, causata prima di tutto dalla folle rottura del campo democratico dinanzi ad una legge elettorale che premia nei collegi uninominali le coalizioni, si è aperta la porta della fase costituente. Ne abbiamo a lungo discusso negli ultimi mesi, più volte nella nostra direzione come nelle assemblee nazionali di dicembre e febbraio in cui abbiamo deliberato a larghissima maggioranza di partecipare al percorso. Numerosi momenti di confronto naturalmente ci sono stati anche a livello territoriale.
La fase costituente ha avuto senza dubbio i suoi limiti, ma ha conseguito almeno due risultati concreti molto rilevanti. Il primo è stato l’approvazione del manifesto del nuovo Pd nell’assemblea costituente nazionale del 21 gennaio di cui anche noi siamo stati parte. Ho già detto che con quell’atto, figlio di un lungo processo di confronto anche con la partecipazione di numerose personalità esterne, è cambiata la costituzione formale del Partito. Il nuovo manifesto rappresenta un avanzamento molto rilevante su temi decisivi su cui era indispensabile un aggiustamento di rotta rispetto al passato più recente. Penso, per semplificare, alla centralità della lotta alle diseguaglianze e della questione ambientale e al grande tema del rapporto stato mercato declinato oggi in termini molto più attuali rispetto alla stagione dell’ubriacatura neoliberista. In quei giorni, esprimendo soddisfazione per il lavoro fatto, abbiamo detto che un nuovo manifesto era la premessa indispensabile per aprire una fase nuova, ma che certo non sarebbe stato sufficiente un documento a cambiare il volto del Pd e la sua percezione nella società. Il secondo risultato concreto della fase costituente è stato il cambio delle regole congressuali che ha consentito ad una personalità esterna al partito come Elly Schlein di poter concorrere alla carica di segretario nazionale. Fatemelo dire: senza la spinta di Articolo Uno ad aprire e promuovere una fase costituente non so se questa sarebbe arrivata e non so sinceramene se le regole sarebbero cambiate. Non dobbiamo dimenticarlo.
E se il 21 gennaio è stata cambiata la Costituzione formale è del tutto evidente che l’elezione di Elly alla guida del Pd avvenuta con le primarie del 26 febbraio ne abbia cambiato la costituzione materiale. Per la prima volta una giovane donna guida il principale partito progressista del nostro Paese. È un fatto molto rilevante. Come non si può non riconoscere che sia un fatto altrettanto rilevante che migliaia di persone abbiano scelto di votare alle primarie per cambiare il Pd. Elly non era evidentemente la favorita ed era arrivata seconda nel confronto tra gli iscritti. Il suo successo alle primarie è l’espressione di quella domanda di superare l’esistente, di andare oltre quello che già c’è. Di costruire davvero quel nuovo partito che noi stessi abbiamo indicato come necessità per aprire una fase davvero diversa. Il combinato del 21 gennaio e del 26 febbraio pone finalmente le condizioni per costruire quel partito che a lungo abbiamo indicato come nostra prospettiva politica.
Per questo, care compagne e cari compagni, oggi è il momento. Nessun indugio è più ammissibile. Questo è il momento di stare con due piedi dentro questa sfida. Nel nuovo Pd, di cui siamo cofondatori, al fianco di Elly per costruire il perno della coalizione progressista che poi dovrà sfidare la destra e vincere le prossime elezioni politiche.
Missione compiuta allora? Vediamo. Forse conviene essere cauti con le parole. Nessun trionfalismo. Ma è chiaro che abbiamo conseguito un risultato straordinario, difficilissimo da prevedere soltanto pochi mesi fa, che oggi ci mette nelle condizioni di provare dopo anni a realizzare l’obiettivo di una nuova sinistra nel nostro Paese.
C’è ancora tanto lavoro da fare. Il percorso non è compiuto. Io credo che la costituente, intesa come processo di rigenerazione della sinistra italiana, debba essere mantenuta aperta e abbia ancora bisogno di arricchirsi di tante energie che ci sono nella società. Ma non si può non vedere e riconoscere che siamo in una fase nuova. Lo abbiamo toccato con mano nelle piazze di questi mesi. Il 25 Aprile a Milano, il primo maggio, nei cortei sindacali si percepisce una nuova fiducia nei confronti del partito e della sua giovane leadership. È un’apertura di credito che dobbiamo mettere a valore rilanciando costantemente il profilo di apertura che è oggettivamente emerso durante le primarie. È un patrimonio nuovo che non dobbiamo permettere venga consumato da polemiche interne senza senso. La nostra presenza dentro il nuovo Pd deve avere anche questo senso: continuare quel percorso di apertura e coinvolgimento che ha attraversato le primarie ma che va portato in profondità, nella società e soprattutto sui territori dove permangono sacche di resistenza e contraddizioni da sciogliere al più presto. A Elly noi non abbiamo chiesto altro se non questo: continuare la fase costituente e costruire un partito vero. Valorizzare la spinta al cambiamento che lei ha rappresentato e rilanciarla con coraggio senza paura di rompere schemi e resistenze che hanno allontanato il partito da larghe fasce della società. Fare questo significa costruire davvero il partito nuovo di cui c’è bisogno. Dobbiamo restituire senso alla stessa parola partito, riconosciuta dalla Costituzione all’articolo 49. La crisi dei partiti è una parte della crisi della nostra democrazia. Troppi anni di antipolitica hanno trasformato la parola “partito” in una parolaccia e i risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti. Il nuovo vero partito andrà costruito a Roma e con ancora più forza sui territori. Questa è la sfida di Elly e del suo gruppo dirigente. Ma questa dobbiamo sentirla come la sfida di tutti noi. La nostra vera missione, in piena continuità con le ragioni di fondo che ci hanno animato in questi anni di Articolo Uno. Costruire il nuovo partito sarà naturalmente il primo passo. Poi sarà altrettanto indispensabile costruire una proposta di governo che superi rotture e muri invalicabili che ci hanno fatto andare divisi alle ultime elezioni politiche. Lo dico anche da qui con tutta la forza possibile: mai più le divisioni che abbiamo visto alle elezioni politiche! Non dobbiamo mai perdere di vista che il nostro obiettivo è battere questa destra che oggi governa il Paese.
Alzando lo sguardo è facile vedere come sono andate le ultime elezioni con la destra che avanza. Una destra i cui connotati sono giorno dopo giorno più evidenti dinanzi ai nostri occhi. Non è un fenomeno solo italiano. Certo le ultime amministrative sono andate molto al di sotto delle aspettative anche se ci sembra surreale caricarne la responsabilità al nuovo ciclo del Pd. Ma abbiamo visto i risultati delle ultime elezioni in Svezia, in Finlandia e in Grecia o al voto locale in Spagna che ha prodotto un vero e proprio terremoto portando Pedro Sanchez alle dimissioni e alla indizione delle elezioni politiche per il prossimo mese di Luglio. È un voto che mi preoccupa molto anche per il cambio di equilibri che può portare in sede di consiglio europeo. Abbiamo guardato con interesse al governo spagnolo che ci è sembrato negli ultimi anni il più netto sul piano delle scelte sociali, ambientali e dei diritti. Il risultato della destra in Spagna andrà letto in profondità perché va al di là del giudizio sul governo che ha prodotto risultati incoraggianti anche sul piano della crescita economica, ma tocca il tema dell’identità e delle paure in questo tempo di crisi, di cambiamento e di guerra. La destra è apparsa più capace ancora di interpretare la domanda di protezione di questa fase così difficile. E tra un anno avremo le elezioni europee che saranno una prova non facile per le forze democratiche e socialiste e le elezioni americane che non saranno una passeggiata per i democratici.
Intanto il governo Meloni è all’opera (oggi leggiamo dati drammatici sul crollo della produzione industriale) e ne vediamo sempre più chiaramente il profilo. Una destra identitaria che ogni giorno prova ad alzare una bandierina su un tema che parli ad un pezzetto di elettorato. E questo sembra essere il tratto prevalente rispetto ad una visione più generale del Paese che invece pare sinceramente ancora molto confusa. Dico a Giorgia: smetti di fare propaganda e inizia ad affrontare i problemi concreti. Lo hai visto sull’immigrazione dove la vuota retorica del blocco navale è evaporata come se nulla fosse.
È emblematica la vicenda del Pnrr. Il più grande finanziamento europeo che si ricordi vissuto come un fastidio, un problema da risolvere e non come una grandissima opportunità di crescita per tutta l’Italia e soprattutto per le aree in maggiore ritardo di sviluppo. Mentre si accumulano ritardi su ritardi non si capisce cosa si vuol fare, quali modifiche apportare. Si inseguono quasi quotidianamente interviste di segno opposto tra i membri del governo e della maggioranza cui poi segue quasi sempre una rettifica o una smentita. Il caos domina e nonostante la norma “silenzia Corte dei conti” nel frattempo il rischio che cresce, giorno dopo giorno, è quello di non utilizzare le risorse che sono a nostra disposizione conquistate dal governo giallorosso. Meglio parlar chiaro. Su questa partita strategica il governo sta dimostrando di essere palesemente inadeguato.
Il progetto che mi preoccupa di più è quello di riforma istituzionale. Il disegno dell’autonomia differenziata è scellerato. Può produrre danni incalcolabili su temi decisivi che hanno a che fare con le corde più sensibili della vita reale delle persone. Dobbiamo stare dentro la mobilitazione che sta montando a livello nazionale. Non è una questione del sud ma del Paese come ha spiegato molto efficacemente Vasco Errani. Dobbiamo farlo senza lasciare spazio ad alcuna ambiguità e con la massima nettezza. Io continuo a pensare che ci sia uno scambio inaccettabile in corso. Autonomia differenziata per la lega, presidenzialismo o comunque forte accentramento dei poteri al capo dell’esecutivo per fratelli d’Italia. È un vero e proprio scambio incestuoso sulla pelle del Paese. Dietro c’è una idea di risposta alla crisi democratica in cui siamo. Più poteri al capo che sta Roma e in cambio più autonomia ai capi che stanno nelle regioni. Non solo non è una risposta giusta. Ma direi che è una risposta pericolosa contro cui dobbiamo batterci con tutte le forze che abbiamo. In Parlamento, ma soprattutto nel Paese.
L’altro tema fondamentale su cui la destra rischia di far danni profondi è quello fiscale. Consiglio a tutti di leggere il bel volumetto scritto da Vincenzo Visco che ha poi animato un appello molto efficace, con numerose altre personalità, su questi temi. Le parole della Meloni sul “pizzo di stato” sono semplicemente eversive. Ci ho pensato non riesco a trovare parola più appropriata. Così si accarezza il pelo ad un sentimento diffuso antistatale che considera le tasse un furto e chi le paga un idiota. Non ci si rende conto che così si taglia il ramo su cui tutti siamo seduti. Un fisco giusto, equo e progressivo è indispensabile se vogliamo conservare l’impianto universalista del nostro sistema di welfare. Dobbiamo avere tutti più coraggio nel dirlo a voce alta senza paura di andare controcorrente. Negli anni la destra ha fatto egemonia sulla parola fisco. La dizione “pressione fiscale” da di per sé l’idea di un peso. Di qualcosa di negativo da alleggerire sempre e comunque. Senza mai considerare che quelle risorse sono essenziali per la tenuta del sistema pubblico e per la difesa dell’universalità di beni e servizi pubblici fondamentali a partire dal nostro Servizi Sanitario Nazionale. Senza un sistema fiscale equo e progressivo e senza lotta all’evasione fiscale l’universalità e lo stesso Servizio Sanitario Nazionale andrà presto a farsi benedire. Deve essere chiaro che non si può al tempo stesso chiedere più risorse per la sanità (dopo i tre anni in cui siamo riusciti a tenere la spesa sanitaria sopra il 7 per cento siamo tornati ampiamente sotto, parteciperemo anche per questo alla manifestazione nazionale del 24 con la Cgil) più soldi per la scuola e la ricerca, un welfare più robusto e poi contemporaneamente dire che le tasse siano “pizzo di stato”. Perché quelle risorse vengono esattamente dal contributo che ogni cittadino dà. Questa deve essere una grande battaglia culturale che dobbiamo fare insieme contro questa destra.
Anche sul lavoro e sulle politiche sociali pare sempre più chiaro che ci si muove in direzione opposta a quella che noi auspichiamo. Sul salario minimo Cecilia Guerra sta lavorando ad una proposta unitaria delle forze di opposizione, ma è evidente che il governo non ha alcuna intenzione di fare aperture sul tema, immaginando così di strizzare l’occhio a quel pezzo di sistema imprenditoriale che pensa che la competitività possa essere ancora conquistata sul terreno del costo del personale. La precarietà non è più un problema e i voucher la soluzione più semplice per flessibilizzare il più possibile il mercato del lavoro. Così non si va lontano e il prezzo più alto come sempre lo pagheranno i lavoratori più fragili a partire da donne e giovani. Lo stesso smantellamento del reddito di cittadinanza promosso dal governo allargherà le fasce del disagio e della povertà. Per non parlare della completa rimozione della sfida della transizione ecologica e della crisi climatica su cui l’atteggiamento del governo è semplicemente negazionista.
Insomma c’è un terreno enorme su cui far sentire la voce dell’opposizione. Dobbiamo fare naturalmente la nostra parte in Parlamento, ma ho già detto che i numeri sono schiaccianti a causa di questa terribile legge elettorale che trasforma una minoranza nel Paese in una grande maggioranza in Parlamento. Fatemi ricordare solo per un istante che oggi parlano tutti male della legge elettorale ma contro di essa siamo stati noi tra i pochi a fare una vera battaglia politica che ricordo come una delle più belle di questi anni. Proprio la sproporzione dei numeri in aula mi fa essere ancora più convinto dell’idea che dovremo sempre unire al lavoro parlamentare quello nel Paese, con i soggetti sociali e con i movimenti che si organizzano. Elly si sta muovendo nella direzione giusta. È stato significativo vedere giovani studenti universitari mobilitarsi per il diritto allo studio e contro il caro affitti. Hanno il nostro sostegno. È un tema vero da affrontare con politiche pubbliche coraggiose. Come hanno ragione le associazioni che difendono i diritti civili in ogni angolo del Paese contro una destra che sembra volerci far tornare indietro con le sue posizioni arretrate e spesso ideologiche. In autunno poi saranno crescenti le mobilitazioni sindacali. Anche li dovremo esserci.
Voglio toccare ora un altro tema. Ci arrivo abbastanza in fondo ma non perché non lo ritenga cruciale. Oggi, proprio per la straordinarietà di questo nostro appuntamento, per la prima volta in questi anni la mia relazione è partita da noi e non dai mutamenti internazionali nei quali siamo immersi. Voglio ribadire tutto il nostro impegno per la Pace. Si, la Pace. La sinistra questa parola deve pronunciarla a voce alta. Ci stiamo abituando, direi assuefacendo, al conflitto e arrendendo all’impossibilità di trovare una via d’uscita pacifica. Sembra rimasto solo Papa Francesco a crederci davvero. Il grande assente è purtroppo l’Europa che non può limitare la propria funzione ad arsenale dell’Ucraina aggredita dall’intollerabile azione di Putin. Voglio essere chiaro. È sacrosanto sostenere la nazione aggredita. Nessun dubbio su questo. Ma manca sempre un pezzo. Quello diplomatico. Il lavoro vero per riconquistare orizzonti di pace. Nel nostro Paese c’è una grande sensibilità su questo tema che attraversa in modo trasversale anche culture politiche diverse. Credo che la sinistra debba saperla interpretare e rappresentare soprattutto dinanzi al rischio, che si palesa ancora in questi giorni, di un’escalation che può portare anche al disastro del conflitto nucleare. La Pace è un valore irrinunciabile che dobbiamo riaffermare con forza dentro un mondo che cambia alla velocità della luce. Alfredo D’Attorre ha scritto un bel libro su come è mutata la globalizzazione negli ultimi anni. Sulla fine del sogno o forse dell’illusione di una globalizzazione che avrebbe portato Pace, diritti, benessere e democrazia in ogni angolo del mondo e del rischio di un forte riflusso nazionalista. Alzando lo sguardo sarà questo il tema del futuro a livello globale: come trovare un nuovo equilibrio tra il sogno di un governo politico del mondo, con cui è cresciuta la mia generazione, ma che oggi appare pressoché irrealizzabile, e le spinte neonazionaliste che rischiano di portarci ad un passato che non avremmo mai più voluto vedere. Qui c’è un ruolo chiave dell’Europa che può e deve essere giocato, ma che fatica ancora purtroppo ad emergere. Anche questo sarà un tema delle prossime elezioni europee.
Come vedete compagni le sfide che abbiamo davanti sono enormi. Oggi è un passaggio importante per la nostra comunità. La scelta che ci apprestiamo a compiere non deve farci paura. Sono stati sei anni molto intensi. Io voglio ringraziarvi uno per uno. È grazie all’impegno di ciascuno di voi che abbiamo tenuta accesa la fiammella e che oggi possiamo portare tutta la nostra passione e le nostre energie dentro la fase nuova che si apre. Articolo Uno oggi smette di essere un partito politico. Dobbiamo guardare con fiducia al futuro. E il nostro investimento sarà tutto rivolto a dare forza al nuovo Pd. Proprio stamattina un gruppo autorevole di compagne e compagni che hanno vissuto l’esperienza di Articolo Uno ha dato vita ad una nuova associazione che erediterà il nostro piccolo patrimonio e i rapporti contrattuali con il nostro personale. Sarà un luogo aperto a tutti, indipendentemente dalle scelte individuali che ciascuno farà sul piano partitico, volto a rafforzare la cultura politica della sinistra democratica del nostro Paese. Questa comunità che ha fatto un tratto di strada insieme non si disperde e trova anche attraverso l’associazione uno spazio per continuare a stare insieme. Voglio essere chiaro, nessuno ha in testa una corrente di Articolo Uno. Sarebbe un grave errore e contraddirebbe lo spirito che ci ha accompagnato fin qui. Il nuovo Pd di tutto ha bisogno tranne che di nuove correnti. L’associazione sarà un luogo di studio, di elaborazione e formazione politica. E Dio sa quanto bisogno abbiamo di tutto questo. L’investimento politico però voglio essere chiarissimo sarà tutto sul nuovo Pd, senza ambiguità.
Sei anni non sono pochi. Sono un pezzo della nostra vita. E credo che ciascuno di noi porterà Articolo Uno per sempre nel cuore. Vorrei nominarvi uno per uno. Ricordare gli sguardi che ho incontrato in questi anni in ogni angolo del Paese. I nostri instancabili segretari regionali e provinciali, i membri dell’assemblea e della direzione nazionale, le compagne e i compagni che hanno fatto i volontari alle nostre feste. Quelli che non ci sono più ma che ci hanno dato tanto e rimarranno sempre nei nostri cuori, Ernesto, Lele, Gigi e naturalmente Guglielmo di cui il 7 giugno abbiamo ricordato insieme il secondo anniversario dalla scomparsa.
Tutta questa storia non sarebbe stata possibile senza la nostra squadra a Roma Elettra, Laura, Chiara, Piero e naturalmente per me Federica, e Nicola. Arturo che non si è mai risparmiato una riunione e me ne ha sempre chiesta un’altra ancora, ha dato l’anima per noi con una generosità che non ha eguali. Nico che ha fatto sempre quadrare il cerchio, anche quando sembrava impossibile, e ultimamente anche i conti continuando il lavoro avviato da Carlo. Mario che c’è sempre e che credo abbia superato il milione di telefonate negli ultimi tempi. Federico e Cecilia che in epoche diverse sono stati nostri capigruppo e hanno portato rigore e serietà sabauda ed emiliana in una squadra un po’ disordinata e meridionale. Alfredo che ci ha spiegato sempre come stavano le cose. Maurizio Migliavacca e Massimo Paolucci che hanno sempre il consiglio giusto. Roberta che ci ha fatto testardamente innamorare della questione di genere. Michele che ci ha dato l’esempio più bello. Poi naturalmente Massimo che oggi più che mai deve sentire il nostro affetto e la nostra vicinanza. E Pierluigi che non ha bisogno di parole e a cui voglio solo dire grazie. Grazie a tutti davvero.
È stato un privilegio lavorare con voi. È stato un onore fare il segretario di Articolo Uno. Io ce l’ho messa tutta per essere all’altezza del compito che mi avete affidato. Mi scuso se non sempre ce l’ho fatta.
Sono stati anni non facili. Ho dato l’anima nella funzione molto delicata di ministro della salute a cui sono stato chiamato prima da Giuseppe Conte e poi da Mario Draghi. Sono orgoglioso del lavoro fatto al governo. Ho servito il mio Paese con disciplina ed onore, come chiede la nostra Costituzione, mettendo sempre davanti ad ogni cosa la difesa del diritto alla salute.
Oggi vorrei che il nuovo Pd diventasse sempre più la prima forza politica a difesa del nostro Servizio Sanitario Nazionale.
Ho sempre sentito forte il vostro sostegno e il vostro affetto sincero che mi ha aiutato anche nei momenti più difficili, durante la pandemia, ma anche in questi ultimi mesi terribili.
Sono stati anni che porterò per sempre con me. Esperienze che mi hanno segnato e cambiato come politico, ma come uomo prima di tutto. Per questo grazie.
Grazie dal profondo del cuore.
Sulla tessera di Articolo Uno avevamo riportato una bellissima frase di Enrico Berlinguer di cui domani 11 giugno ricorre il \trentanovesimo anniversario dalla morte: “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”. Per noi la sua lezione resterà valida per sempre.
Evviva la comunità di Articolo Uno. Avanti insieme.