Si comincia ad intravedere la luce sui fondi del PNRR da destinare all’infrastrutturazione in banda ultralarga nelle aree in digital divide e mentre a fine luglio il Comitato interministeriale per la transizione digitale aveva approvato il Piano di intervento “Italia a 1 Giga”, ad agosto è iniziata nel silenzio generale la relativa consultazione pubblica che terminerà il 15 settembre. Il Governo punta a fornire connettività ad almeno 1 Gbit/s in download e 200 Mbit/s in upload alle unità immobiliari, coprendo tutti gli italiani con una velocità internet a «prova di futuro», entro il 2026 con circa 3,8 miliardi di euro in fondi pubblici.
Sulle ceneri del precedente piano “banda ultra larga”, il quale voleva garantire a tutti una connettività a 100 Mbit entro il 2020, il nuovo piano adotta soluzioni e approcci decisamente innovativi (mai adottati prima in Europa). Tra i ritardi degli operatori, che non hanno mantenuto le promesse di copertura, e la lentezza dei cantieri aperti con i fondi pubblici del precedente piano, i dati dell’Agcom del 2020 attestano che solo una famiglia su tre era coperta.
Dopo il fallimento del modello a concessione, in cui il concessionario realizza l’infrastruttura di proprietà statale, si va dunque verso quello ad incentivo, in cui la proprietà della rete resta in capo agli operatori garantendo l’accesso wholesale a tutti i concorrenti. I progetti saranno co-finanziati dallo Stato per circa il 70% nelle aree dove la velocità di download è al di sotto della soglia identificata di 300 Mbit/s, limite fissato per garantire di evolvere rapidamente verso gli obiettivi digitali per il 2030 fissati dalla Commissione Europea.
Sul fronte tecnologico un’altra novità del piano rispetto al suo predecessore è la logica della neutralità, quindi la possibilità di utilizzare oltre alla fibra, la FWA (connettività radio a prestazioni elevate) e tecnologie miste per accelerare e garantire il raggiungimento degli obiettivi da raggiungere entro il 2026.
Un altro aspetto rilevante è relativo alla mappatura a cui sta lavorando Infratel Italia: per la prima volta, il governo chiede agli operatori di identificare gli indirizzi civici raggiunti dalle loro reti da oggi ai prossimi 5 anni, in modo da poter rendere oggetto del piano con fondi pubblici tutti gli altri non serviti. In particolare con le tecnologie fisso-wireless, solo una piccola percentuale dei civici coperti sulla carta sarà concretamente servibile entro il 2026, in quanto alcuni di questi presentano nelle vicinanze ostacoli fisici che non gli permettono di avere visibilità con un’antenna e anche perché il modello di business degli operatori prevede che solo una piccola parte di utenti coperti possa ottenere effettivamente la velocità di connessione pubblicizzata. Far aggiungere antenne forse non sarà una strada percorribile dal punto di vista economico dall’intervento pubblico. Il problema è analogo nelle “aree grigie”, ovvero quelle coperte da banda ultra larga da un operatore che però non riesce a raggiungere le velocità di connessione previste dal piano.
L’aspetto delicato pare essere che l’operazione deve essere giustificata in ambito europeo, perché non si può configurare come aiuto di stato che altera le regole del mercato. Oltretutto in questo percorso regna lo spettro del progetto di rete unica Tim-Open Fiber, che il nuovo governo non ha incluso nel piano, mentre gli analisti di Equita Sim fanno notare che qualche giorno fa l’antitrust europeo ha messo la lente d’ingrandimento sulla cessione di quote di Open Fiber da Enel (in uscita) verso Cassa depositi e prestiti che ne deterrà presto il 60%.
Come dipartimento Innovazione, democrazia digitale e nuove tecnologie di Articolo Uno abbiamo elaborato una serie di proposte politico-programmatiche nel 2020, ma attuali più di prima. Una di queste prevede che il governo italiano definisca (e sia il primo dei 27 a farlo) l’accesso alla rete come diritto umano. Facciamoci portavoce di questa proposta, che con i fondi europei del PNRR l’Italia sia cablata e sia prevista anche la fornitura del servizio di connettività di base gratuita a partire dai redditi bassi e senza reddito, a salire progressivamente fino alle fasce di reddito più alte. L’accesso ad internet e ai dispositivi elettronici, mai come oggi sono diventati questioni di classe sociale e profonda disuguaglianza tra chi può e non può avere buoni computer e connessioni in fibra. Non perdiamo questa grande occasione, non sprechiamola.