Al Tae Kwon Do Stadium di Atene, nel pieno del villaggio olimpico e a pochi chilometri dal porto del Pireo, è andato in scena il gran ritorno di Alexis Tsipras sulla scena europea. Per la verità non se ne era mai andato, guidando la grande traversata nel deserto dopo la sconfitta del 2019, all’indomani dei quattro anni più lunghi della storia della Grecia, quelli della faticosa e dolorosa uscita dal memorandum della troika. Altri si sarebbero squagliati, lui no. Ha riorganizzato il partito dopo la stagione di governo, cambiandone simbolo e nome introducendo la dizione “progressive Alliance”, ha ricostruito un’opposizione sociale e democratica, ha continuato a coltivare relazioni internazionali solidissime, partecipando a tutti i vertici dei leader socialisti e progressisti europei.
E giovedì 14 aprile, con la relazione di apertura al terzo congresso nazionale di Syriza-Alleanza Progressista, ha lanciato il guanto della sfida alla destra di Mitzotakis, l’attuale premier greco, proponendo cinque punti programmatici a tutte le forze democratiche e progressiste, compreso l’ex Pasok – oggi Kinal -, il partito socialista fondato da Papandreou, di cui ha progressivamente eroso l’elettorato negli anni dell’austerity e degli scandali di corruzione e che oggi per la prima volta sembra disposto ad accettare un confronto nuovo a sinistra.
Il terzo congresso di Syriza ha un titolo molto evocativo: νέα αρχή, un nuovo inizio. Un messaggio innanzitutto interno: apertura democratica del partito, il leader eletto dalla base e non più dal comitato centrale, innovazione nei processi di partecipazione attraverso le nuove piattaforme tecnologiche. Diciassettemila persone – Syriza ha circa 60.000 iscritti, ma resta un partito prevalentemente di opinione – hanno affollato gli spalti delle quattro giornate di lavori congressuali, molte donne e giovani, esponenti del mondo della cultura, rappresentanti delle organizzazioni sindacali, amministratori, ospiti stranieri da tutto il mondo, dall’America Latina all’Europa, da Medio Oriente all’Africa.
L’apertura del Congresso d’altra parte segnala chiaramente la volontà di costruire un asse euromediterraneo della sinistra democratica in Ue, con i saluti in video del premier portoghese Costa e di quello spagnolo Sanchez, di Yolanda Diaz, vicepremier della Spagna e leader di Podemos, e di Enrico Letta segretario del Pd. Un filo necessario per costruire la coalizione progressista in grado di governare domani il paese e collocarlo in un sistema di alleanze internazionali solidali e coese, che puntano ad un’Europa che superi le rigidità del patto di stabilità e crescita e che rilancia – come già ha iniziato a fare con il Next Generation Eu – la sfida degli Eurobond.
L’analisi di Tsipras sulle tre crisi – climatica, pandemica e militare – parla alle contraddizioni del mondo di oggi, al rischio di deterioramento delle democrazie occidentali, che in Grecia si trasforma nella formazione della polizia universitaria che controlla gli studenti, nella riduzione del diritto di asilo ai migranti, nei tagli lineari allo stato sociale, nella militarizzazione dei grandi media a favore del Governo. Mai come oggi, spiega Tsipras, la pandemia ha messo a nudo i limiti del neoliberismo e pone a tutti il tema di una difesa degli istituti universali di protezione sociale, che vanno finanziati perché senza essi la crisi delle classi medie porterà a una crescita delle destre estreme e dei nazionalismi, come dimostra anche l’esempio francese e ungherese.
Di qui i cinque “compromessi” offerti alla società greca e alle forze progressiste con cui costruire l’alleanza (la legge elettorale in Grecia è proporzionale con uno sbarramento al tre per cento; la destra l’ha cambiata in senso più maggioritario ma la riforma andrà in vigore solo dopo le prossime elezioni):
– Interventi per la riduzione immediata del 50% degli aumenti delle bollette e nuovo modello produttivo per guidare la transizione ecologica e l’indipendenza energetica.
– Piattaforma laburista a partire da aumento del salario minimo a 800 euro, riduzione dell’orario di lavoro (il governo della destra l’ha riportato a 10 ore giornaliere) e ripristino dei diritti dei lavoratori a partire dalle libertà sindacali.
– Centralità alle piccole e medie imprese e agricoltori a partire dall’estinzione graduale del debito da pandemia e il rilancio del microcredito
– Protezione sociale: un nuovo SSN, introduzione del medico di base e raddoppio delle case della salute, ripristino della tredicesima per i pensionati.
– Sostegno alle nuove generazioni: alloggi a prezzi accessibili per le giovani coppie fino ai 40 anni e accesso semplificato all’istruzione superiore per i giovani.
Un programma definito da Tsipras “realista e radicale”, capace di rilanciare il cammino interrotto dopo la sconfitta più che onorevole – il 32 per cento – del 2019, quando la destra ritornò al governo del paese. La parte finale del discorso è tutta dedicata alla rivendicazione orgogliosa della funzione nazionale di Syriza, che si è caricata sulle spalle il compito di far uscire la Grecia dal memorandum, ripartendo i sacrifici in maniera equa e senza mai rinunciare alla partecipazione democratica, all’ascolto del popolo e all’appartenenza europea.
Europa che anche alla luce della guerra in Ucraina deve svoltare radicalmente con il rafforzamento della politica estera e di sicurezza, con l’introduzione di un esercito europeo in autonomia dalla Nato.
I prossimi mesi saranno dunque decisivi per la Grecia: la sensazione che emerge è quella di un partito in profonda evoluzione, ormai in via di collocazione con originalità e autonomia nel solco delle famiglie socialiste e progressiste europee, capace di parlare ai ceti medi in crisi ma con radici nel mondo del lavoro solidissime. Un partito che discute anche animatamente sul destino della sua forma organizzativa, che è l’incrocio di diverse culture vecchie e nuove della sinistra greca (partiti, movimenti, associazioni, collettivi femministi e giovanili), ma che mantiene egemone quel profilo di lotta e di governo figlio della scelta “eurocomunista” che lo caratterizzò ( allora ovviamente non si chiamava Syriza ) sin dalla fine degli anni settanta, quando Enrico Berlinguer terremotò i vecchi legami con l’Unione Sovietica aprendo contraddizioni in tutti i partiti fratelli presenti in Europa, Grecia compresa.
Fu in quel frangente che gli antenati politici di Tsipras ruppero con l’ortodossia stalinista del KKE, autonomizzandosi. Rottura mai più sanata. Può sembrare “preistoria” il richiamo al berlinguerismo, eppure le radici – in una società ancora molto politicizzata come quella greca – qui contano ancora tanto. E chi le recide, anziché rinnovarle, alla fine finisce sempre per perdersi e non rialzarsi più. Non è un caso che il quotidiano di Syriza lo scorso anno abbia pubblicato un inserto di 200 pagine sul centenario del Pci. Per questo bisogna continuare a guardare con attenzione e curiosità all’esperienza di Syriza, che ancora una volta può parlare a tutta l’Europa.