Sono sostanzialmente due le ragion d’essere di Mussolini: io mi difendo!, il testo scritto da Corrado Augias ed Emilio Gentile che ha debuttato per la regia di Francesco Frisari a Spoleto per la 61 edizione del Festival dei Due Mondi, con Massimo Popolizio nel ruolo del duce redivivo che, chiamato a rendere conto di alcuni momenti cruciali del ventennio, si difende a oltranza di fronte a una giuria popolare rappresentata dal pubblico.
Una ragione è la presenza di materiale autografo, le carte che Mussolini aveva preparato per la propria difesa davanti a un tribunale americano davanti al quale sperava di potersi consegnare; l’altra è l’agghiacciante attualità di certe esternazioni che paiono quelle odierne. Non è una novità, è vero, ed è proprio del giorno del debutto, guarda caso, la considerazione di Andrea Camilleri che in un’intervista a Repubblica dice che “intorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini”.
Ma quello che sorprende di più di questo lavoro – che si concentra sul periodo che va dal 1919 con la fondazione dei Fasci di Combattimento al 25 luglio ’43 con la riunione del Gran Consiglio, passando per il delitto Matteotti, le leggi razziali e l’entrata in guerra -, arriva attraverso le parole, le dichiarazioni, le situazioni, che sembrano traslate tali e quali, e concentrate in un’ora e mezzo di spettacolo fanno una certa impressione.
“Chi si è macchiato di un qualche reato non dovrebbe salire al Quirinale a parlare con il re”, per esempio, è quanto arriva dalla voce di Emilio Gentile in veste di accusatore, poco prima che Augias, in quella di moderatore, domandi che cosa bisogna fare quando “anche con il voto si instaura una dittatura della maggioranza”.
Dal canto suo Mussolini (discorso alla camera del 10 febbraio ’23) promette di durare in carica trent’anni e il pubblico incassa e incrocia le dita. Ride, anche, ma incrocia le dita.
Il pubblico è sano, viva il teatro, e dal suo voto per alzata di mano Mussolini esce smaccatamente colpevole (dalla platea arriverà infatti un solo voto contrario).
Sì ma gli altri, quelli là fuori, i figli e i nipoti delle madri che portavano al duce “i bambini da baciare neanche fossi il papa”? I figli di chi ha voluto la guerra per fermare i bolscevichi perché ci deve sempre essere un nemico da combattere?
Eccolo, il capro espiatorio, il mostro lì pronto a portata di mano, il mostro che si allunga fino a noi e da un gommone ci provoca, minaccioso e invadente.
Allora tocca difendersi, tocca erigere le nostre roccaforti sicure, incontaminate e obese, dal Piemonte alla Sicilia, ora come allora, “la parola d’ordine è vincere” e noi vinceremo. Grazie a voi vinceremo.
Perché “le parole che oggi voi deridete, allora entusiasmarono molti italiani”.
D’altra parte, “se la democrazia diventa imbelle, spazzarla via è l’unica soluzione” e il regime, incalza il duce sempre più tronfio, non è solo totalitario ma necessario”.
Eppure da quella riunione a palazzo Venezia Mussolini uscì definitivamente sconfitto.
Ma adesso è tornato a rivendicare maggioranza e consenso, è tornato a ricordarci che anche il proletariato, bisognoso di case salubri e terre fertili, lo aveva idolatrato.
Idolatrato. Il popolo è emotivo, anche oggi è emotivo – si insinua Augias il moderatore – sedurlo è facile, sempre più facile, “può riuscirci persino un comico”.
Insomma, sono un po’ questi gli umori che corrono in questo lavoro, con qualche battuta estemporanea che trova pertinenza fino a fare impressione e il tentativo di scongiurare nuovi tiranni e accentratori.
“I problemi di un popolo non si risolvono affidandosi a un uomo solo”.
Popolizio, sempre grande, cavalca da par suo l’ironia che il copione gli offre.
E’ il suo secondo Mussolini, redivivo due volte, dopo Sono tornato, il film diretto da Luca Miniero per cui ha ricevuto il premio Flaiano e la candidatura ai Nastri d’Argento, anche se adesso “basta con il duce”, dice prima di un’estate di recital, che non si fa (e non ci fa) mancare mai.
Il 26 luglio sarà al Sacro Monte (Varese) con La parola rivoluzionaria, un viaggio nei versi di Michelangelo, Eugenio Montale, Alda Merini, Dino Campana, Mario Luzi, Roberto Mussapi fino a Fabrizio De André e Lucio Dalla.
Mentre il 28 agosto, per il Todi Festival, debutta in prima con Sulle vie di Borges, un recital diretto da Teresa Pedroni da Il libro di sabbia di Jorge Luis Borges, con musiche dal vivo di Javier Girotto (sax e altri fiati).