Un’altra tappa del nostro viaggio tra i militanti di Articolo 1.
La veneziana Margherita Lachin è stata una delle ultime ad arrendersi. Nonostante la giovane età, infatti, stiamo parlando di una ragazza solida e con valori potremmo dire “antichi”, primi fra tutti l’attaccamento alla comunità d’appartenenza e il rispetto per il prossimo e per la maggioranza pro tempore del proprio partito. Quando Renzi ha imposto il Rosatellum per interposto Gentiloni, tuttavia, Margherita non ce l’ha fatta più, sfogando con un doloroso addio una rabbia, un senso di frustrazione e una tensione interiore che sicuramente covavano da tempo. Domenica, Margherita sarà uno dei delegati presenti all’assemblea di Articolo Uno in via Alibert. L’abbiamo contattata alla vigilia dell’iniziativa per avere un suo parere su alcune delle questioni più importanti di questa delicata fase politica.
Siamo partiti dal recente referendum per l’autonomia indetto, lo scorso 23 ottobre, dai governatori leghisti Maroni e Zaia e Margherita ci ha spiegato che “ha vinto ‘senza se e senza ma’ Luca Zaia”, in quanto “i veneti, con una maggioranza assoluta, hanno espresso la volontà di una maggiore autonomia dallo Stato Centrale. Era difficile pensare a un altro risultato, data la genericità del quesito referendario, tuttavia bisognerà analizzare come mai vi siano state percentuali così diverse tra Veneto e Lombardia. Ribadisco che Zaia, ma anche Galan prima di lui, avrebbero potuto iniziare il procedimento previsto dall’art. 116 della Costituzione (come sta facendo per esempio l’Emilia Romagna) senza far spendere 14 milioni di euro ai veneti. Risorse che potevano essere investite magari nel piano socio-sanitario o nell’istruzione”.
Entrando ancor più nel merito, ha aggiunto: “Se parliamo di autonomia in Veneto non possiamo non parlare di federalismo; o meglio, per poter valorizzare maggiormente gli enti locali e le Regioni, responsabilizzarli, concedendo loro forme più ampie di autonomia. Dobbiamo, inoltre, attuare una riforma dello Stato in senso federale. È una grande discussione pubblica dalla quale la sinistra e tutto il campo democratico avrebbero il dovere di non sottrarsi. Un federalismo democratico e solidale, infatti, in Italia si può e si deve fare”.
Dopodiché siamo passati ad analizzare la realtà in cui Margherita fa politica: a Marcon, dove è stata eletta consigliera comunale e dove la sinistra non se la passa granché bene: “Purtroppo a Marcon veniamo dalla sconfitta dello scorso giugno: dopo 25 anni di governo del centrosinistra, ci troviamo oggi con il Comune in mano alla Lega e alla destra. In questi pochi mesi della nuova amministrazione si può registrare solo la chiusura, da parte del sindaco, del Centro Multifunzionale, per il quale nella precedente consiliatura avevamo stanziato 70 mila euro per i lavori di ammodernamento che l’attuale sindaco non vuol fare, non si sa per quali ragioni.
Molti sono i progetti che ho in mente per Marcon: partendo dall’edilizia scolastica, con la costruzione di una nuova scuola media dotata di palestra e teatro, così da creare nuovi spazi anche per le numerose associazioni presenti in città; senza dimenticare la valorizzazione del nostro territorio, in particolare dell’Oasi Cave di Gaggio, un piccolo scrigno di biodiversità, e la creazione del Parco Urbano Diffuso, che collegherebbe i vari parchi ed aree verdi del nostro Comune. Infine Marcon da piccola realtà è diventata una città, e se io penso alla Marcon nei prossimi anni la penso in grande, anche al di fuori di quelli che sono gli attuali confini del nostro Comune, e in questo senso credo che la Città Metropolitana di Venezia sia una grandissima opportunità di crescita e di sviluppo. Da questa idea dovremo ripartire per ricostruire il centrosinistra a Marcon”.
Venendo ai temi nazionali, eccoci alle ragioni che l’hanno indotta ad abbandonare il PD e ad aderire ad Articolo Uno: “Uscire dal PD è stata una scelta molto difficile, è stato il mio primo partito, quello per il quale a 18 anni decisi di tesserarmi e mettermi a servizio di quel gran progetto che era all’epoca: un partito di centrosinistra che rappresentasse e tenesse insieme varie anime e
sensibilità di quel mondo. Purtroppo negli ultimi anni la linea politica è drasticamente
cambiata e le scelte del governo Renzi prima e Gentiloni poi lo confermano. Si è puntato su un cavallo zoppo: più flessibilità nel lavoro, contrazione espansiva con meno tasse e spese, bonus e sussidi per rilanciare i consumi. Questo racconto ha gonfiato speranze che la vita di troppi ha spesso disatteso.
La legge dei numeri smentisce l’impianto di politica economica seguita fin qui. Serviva correggere la rotta perché dopo la grande recessione vanno ripensati sviluppo, investimenti, diritti. Partendo dal vero dramma che ha il nome di questione sociale: 4 milioni e mezzo di poveri, milioni di persone che non si curano bene o non si curano proprio, disoccupazione.
Ecco perché credo che serva una svolta, una rottura di messaggi e priorità per ritrovare sintonia con la nostra parte. Questo si fa con un vero e proprio tagliando, per un governo che ha imbarcato Verdini fischiettando e mostra in ambiti vari una fragilità di profilo. Svolta vuol dire questo: correggere impianto, cultura, classi dirigenti.
L’affossamento della legge sullo Ius soli, legge e battaglia di civiltà, poi è scandaloso: non si è avuto il coraggio di continuare quel percorso intrapreso nell’ottobre 2015 di dare cittadinanza a 800 mila ragazzi nati italiani ma che la legge, oggi, riconosce come stranieri o, in alcuni casi, senza cittadinanza alcuna.
La revoca dell’operazione Mare Nostrum, con la motivazione che costava troppo e con la limitazione del raggio d’azione della nostra Marina Militare; la mancata abrogazione del reato di immigrazione clandestina, per ragioni di opportunità politica; la soppressione, solo per i richiedenti asilo, del diritto a ricorrere in appello contro un giudizio sfavorevole; infine, la promulgazione di questa inedita oscena fattispecie che è il ‘reato umanitario’ mirato contro le organizzazioni non governative: una persona di sinistra, quale io sono da sempre, non può accettare tutto questo.
E infine la legge elettorale. Approvarla con forzatura dei tempi e col voto di fiducia ha dalla sua inquietanti precedenti: fu posta nel 1923 sulla Legge Acerbo, nel 1953 sulla Legge truffa e 2015 sull’Italicum, dichiarato incostituzionale lo scorso inverno dalla Consulta. Mettere la fiducia per costringere il parlamento a votare la legge elettorale è un atto di eccezionale gravità oltre che di debolezza ed arroganza politica. Una legge che porterà nuovamente il Parlamento ad essere costituito da centinai di nominati, che difficilmente sarà in grado di favorire la nascita di una maggioranza omogenea e che porta alla formazione di coalizioni ‘farlocche’: ciascun partito può andare con il proprio simbolo, candidato e programma. Un’indecenza”.
Siamo passati, poi, ad analizzare, la condizione giovanile: la drammatica realtà di una generazione umiliata e senza prospettive che ha indotto molti ragazzi a dire addio al nostro Paese. Margherita ci ha fornito il suo punto di vista: “Ho amici che hanno trovato lavoro tra Inghilterra, Danimarca e Germania. Dispiace ovviamente vedere come sempre più persone decidano di investire la propria vita via dall’Italia. D’altronde, è ciò che accade quando si smette di investire nella ricerca e nello sviluppo, nel lavoro e nella sua gratificazione. Mi sarebbe piaciuto fare una esperienza universitaria all’estero, per qualche mese o al massimo un anno, ma sempre con l’idea di tornare a casa. Amo l’Italia, nonostante tutto”.
Fra pochi mesi, infine, si vota e queste sono le richieste e i propositi di Margherita, secondo cui bisogna “creare una proposta di governo che tenga insieme forze politiche e civiche della sinistra
e del centrosinistra. Dallo scoppio della crisi economica, infatti, le persone che dovremmo rappresentare troppo spesso non hanno associato la sinistra, e in generale il più ampio campo progressista, al cambiamento che vorrebbero. Abbiamo un compito enorme: convincere tutti coloro che sono rimasti a casa alle ultime elezioni e che fanno parte del nostro mondo a tornare alle urne e a darci fiducia. Perché ciò accada, bisogna tornare a mettere al centro della nostra azione politica alcuni temi: disoccupazione, welfare, sanità, istruzione, questione ambientale ed etica pubblica. Dobbiamo offrire la speranza di un futuro più prospero ed equo.
Credo che se ripartiamo da qui riusciremo ad arginare quelle derive nazionalistiche che stanno investendo non solo l’Europa e il mondo ma anche il nostro Paese. Da parte mia, come sempre, ci sarà il massimo impegno nella costruzione di questo nuovo percorso e di questo nuovo soggetto in vista delle elezioni, ma soprattutto ci sarà la voglia di costruire una vera alternativa di sinistra in questo Paese. Ripartire con il porta a porta, riaprire i gazebo in piazza, organizzare assemblee e riunioni di confronto. In poche parole: tornare a fare la sinistra!”. Domenica, a Roma, ci sarà di sicuro una ragazza con le idee chiare. Per fortuna, non sarà la sola.