Andrebbe indagato il perché un giovane dirigente della sinistra italiana decide di scrivere una biografia di una personalità politica così complessa come Lucio Magri. Forse perché questo tempo ci consegna l’urgenza di tornare a scavare nelle fondamenta di un pensiero critico che ha costruito la democrazia di questo paese. Ci impone il bisogno di coltivare la memoria e di trovare da lì le chiavi di lettura utili per l’oggi. E questo vale innanzitutto per le giovani generazioni a sinistra.
Parliamo di un uomo che ha attraversato tutti i tornanti del secondo Novecento, dalla furia creatrice del secondo Novecento alla crisi della prima repubblica, ivi compreso lo scioglimento lungo e doloroso del Pci. Magri è un neocomunista – come scrive Simone Oggionni nel libro edito da Efesto, Lucio Magri non post-comunista, ma neo-comunista – con tutto il bagaglio di discese ardite e di risalite repentine che il più grande movimento reale di liberazione dell’uomo ha comportato.
Lucio inizia la sua militanza nella democrazia cristiana bergamasca, proprio in quella città dove Palmiro Togliatti pronuncerà il memorabile discorso sul destino dell’uomo, il punto massimo di fronte al rischio di escalation nucleare dell’incontro tra comunisti e cattolici. Incontra il Pci – insieme a una figura troppo presto dimenticata come Beppe Chiarante – e lo attraversa liberamente nella costruzione del partito nuovo, prima in Lombardia successivamente a Botteghe Oscure nella commissione lavoro di massa.
Magri è una delle menti più globali del Pci di allora, basta guardare le frequentazioni culturali da Sartre – nel libro viene pubblicata una lettera inedita del pensatore francese diretta a Lucio – a Jacques Maritain, passando per i nuovi economisti come Galbraith. Dentro la sua riflessione c’è il cuore di una critica aperta agli sviluppi del neocapitalismo – anticipatoria di un modello di sviluppo che già mostrava le prime crepe nella distribuzione del lavoro, nella volatilità dei centri di comando, nelle ricadute sociali e ambientali – che lo porteranno insieme a Ingrao ad aprire una battaglia culturale e politica che sfocerà con la prima rottura del centralismo democratico nel 66. Dopo ci sarà la nuova avventura de Il Manifesto, il Pdup, l’incontro con il 68 e la critica profonda alle degenerazioni dell’autonomia del 77.
Fuori dal Pci ma mai minoritario, sempre con l’occhio attento alla dimensione unitaria della politica del movimento operaio, facendo leva su una centralità che incontrava le novità dei movimenti studenteschi, come l’irruzione del femminismo sulla scena della storia. Magri anticipa prima di tutti una riflessione avanzata sulla necessità di accelerare il processo di costruzione europea, come strumento di autonomia tra i blocchi, come traiettoria naturale di un comunismo diverso, dove l’irriducibilità delle libertà individuali doveva coniugarsi con la battaglia per il socialismo come strada per l’emancipazione delle classi subalterne e di una politica della pace, della distensione, della fine dell’equilibrio del terrore.
Comiso diventa il luogo – nella battaglia contro gli euromissili – in cui reincontra la Fgci prima, il Pci dopo: si riapre un processo di confluenza nella casa madre, dopo la radiazione del 69, facilitata da Enrico Berlinguer con cui il dialogo torna profondo, attorno al tema dell’alternativa democratica, all’emergere di una nuova e grande questione ambientale, all’emergenza morale che incombe sulle classi dirigenti italiane dentro una democrazia bloccata da troppo tempo.
Magri dirà no alla svolta di Occhetto: nel testo di Oggionni viene riportato un bel confronto – forse l’ultimo – del dirigente comunista a Marzabotto con i giovani comunisti in cui racconta il senso del Sarto di Ulm, il suo capolavoro, e restituisce alla sua idea di comunismo una prospettiva di lungo periodo.
Il capitalismo ha impiegato cinque secoli prima di diventare un sistema dominante, con le sue regole, con il suo compromesso con il liberalismo, con i suoi vincoli sociali e culturali, non è la sconfitta del socialismo reale che chiuderà l’insopprimibile necessità degli uomini di lottare contro le diseguaglianze. E non è “un cercar farfalle”, ma la convinzione profonda che uno sviluppo infinito in un mondo finito non può che generare una curvatura della storia che porti inevitabilmente a un cambiamento radicale.
Da questo punto di vista sono estremamente interessanti le suggestioni che Oggionni propone nel parallelo tra alcuni discorsi e scritti di Magri con l’enciclica Laudato Si’ di Papa Bergoglio, perché l’intreccio tra la novità di un mondo cattolico in movimento e qualche attrezzo tutt’altro che arrugginito nel solaio della sinistra italiana e occidentale possano davvero riprodurre equilibri più avanzati. Un bel libro, uno scrigno di ricordi e di intuizioni che merita di essere aperto.