Nel susseguirsi un po’ stucchevole e un po’ consolatorio di “Bravo!”, “Grazie!” con cui il Pd accompagna in queste ore il proprio addio ai ruoli di governo e l’assunzione dei doveri dell’opposizione, particolare entusiasmo ha suscitato ieri l’intervento al senato dell’ex segretario dimissionario. Non si può dire in effetti che a Matteo Renzi manchino grinta ed efficacia oratoria; e, nel caso specifico, nemmeno argomenti. Al di là di alcune affermazioni assai opinabili, come la rivendicazione di una differenza di stile, in particolare sui social, di cui da tempo il Pd non dà grandi prove, colpisce però nell’intervento dell’ex premier un punto politico sul quale con grande lucidità si è soffermato già ieri sera Filippo Penati su facebook.
Il fatto è che lanciando la narrazione dell’#altracosa, Renzi non fa che confermare la linea tenuta fin dal 5 marzo: quella non solo di considerare – opinabilmente, date le ambiguità del Rosatellum – Lega e 5Stelle come “i due vincitori” delle elezioni; ma anche di spingerli a governare insieme, e – novità di ieri – addirittura a farlo stabilmente, superando la logica contrattuale che ha dato vita al governo Conte. “Voi non siete il bipolarismo di domani, voi siete la coalizione di domani”, ha scandito Renzi dai banchi dell’opposizione, dando al No alla fiducia dei democratici una vera e principale motivazione politica, (“in tempi di antipolitica voglio togliermi una soddisfazione”).
Con onestà va detto che nessuno oggi può sapere se questa analisi sia giusta o sbagliata; e bisogna anzi aggiungere subito che anche dentro Articolo 1 e dentro LeU si è discusso e si discute di questo, anche con accenti non sempre concordi. È probabile che nemmeno i protagonisti abbiano certezze su cosa sarà del loro “contratto” nel medio periodo, e di sicuro non dipenderà dall’opposizione che le cose vadano in un modo o nell’altro. E tuttavia, come scrive Penati, adottare questa analisi ha delle conseguenze. Farne una strategia, poi, ne ha ancora di più.
Se infatti il governo gialloverde è uno dei poli della coalizione del futuro, allora c’è poco da discutere: bisogna costruire l’altro. Con chi? Ma con chi sta, oggi, all’opposizione, ovvio. Con tutti quelli che sono #altracosa. Se il governo Conte è “la destra”, come ha detto alla camera anche Maurizio Martina, allora per combatterlo ci vuole il fronte repubblicano, compreso ovviamente Berlusconi. Perché questa sarà la sfida: da una parte i populisti, dall’altra i nazareni.
Come scrive Penati, questa strategia non è scontata, oggi, per tutto il Pd, e come dicevo, nel suo piccolo, non lo è nemmeno dentro LeU. Senza contare che è molto dubbio che sia una strategia vincente, per quanto magari possa restituire centralità all’appannata leadership dell’ex segretario: si sa che fine fanno di solito i “fronti”, e la storia degli ultimi anni – dagli Usa all’Inghilterra – non fa che insegnarci come finiscono le sfide tra i populisti e il resto del mondo, nonché – in Italia – i referendum sui leader contro le “accozzaglie”.
Quello che però mi pare più interessante da dire, ad oggi, tra gli applausi degli uni e lo smarrimento degli altri, è che questa strategia, soprattutto, non è l’unica possibile. Non è affatto detto che il bipolarismo tra populisti e nazareni si consolidi. Che non si possa lavorare sulle contraddizioni del “contratto”. Che non ci sia uno spazio per la politica, per affermare, anche dall’opposizione e anche in piena inevitabile luna di miele del governo Conte, che alcune scelte sono di destra e altre sono di sinistra. Che non si possa cominciare a chiedere, ad esempio, agli elettori grillini se sono d’accordo con Salvini che è giusto che chi è più ricco paghi meno tasse.
Percorso impervio, per chi in questi anni ha smantellato ogni riferimento identitario e tagliato quasi tutti i ponti con la propria storia. E tuttavia, visti i risultati, percorso forse necessario. Di sicuro è per scelte come queste che, nei partiti veri, si fanno i congressi. Ed è anche per cambiare una strategia sbagliata che i leader si dimettono, e si va all’opposizione. Di sicuro è una scelta che prima o poi andrà fatta e che non riguarderà solo il Pd, ma tutta la sinistra e la politica italiana.