La tristezza ha avvolto la Palestina. Sono giorni di pianto per il popolo palestinese per aver perso una figlia, la giornalista, reporter di Al Jazeera Shireen Abu Akleh. Tre giorni di lutto in tutta la Palestina, un funerale lungo 150 chilometri, tanta è la distanza da Jenin a Gerusalemme, durato tre giorni.
È a Jenin, mentre svolgeva il suo lavoro, che Shireen ha perso la vita. A Ramallah, il presidente Abu Mazen, ha ricevuto, insieme a tutto il governo, ai religiosi, ai giornalisti e a migliaia di persone, la bara di Shireen, avvolta nella bandiera palestinese, con una cerimonia funebre di stato, credo che dopo il funerale di Arafat questa è la prima volta che accade.
Durante il passaggio del corteo funebre, la gente lungo i bordi della strada l’aspettava con un fiore e lanciava petali di rose. In tutte le città della Palestina, la gente è scesa nelle strade, nelle piazza, con la foto di Shireen, per ricordarla, come se tutta la Palestina fosse la sua famiglia.
Anche oltre i nostri confini, in Europa, in America, in Sud America, sono scesi nelle strade, perché Shireen era conosciuta in tutto il mondo di lingua araba.
Persino i detenuti palestinesi, in segno di solidarietà, hanno digiunato. Dopo avere attraversato molte città della Palestina, la salma di Shireen è arrivata a Gerusalemme, e qui ad attenderla una folla oceanica, mai si era vista cosi’ tanta gente, per darle l’ultimo saluto e accompagnarla sino al cimitero.
Purtroppo, qui a Gerusalemme, il corteo funebre non ha potuto svolgersi come era desiderio di molti cristiani di portare il feretro in spalla sino in Chiesa, perché è stato bloccato pesantemente dalla polizia israeliana, facendo barcollare la bara di Shireen, che ha rischiato di cadere a terra più volte e proibendo l’uso della bandiera palestinese.
Questi violenti episodi ci hanno rattristato ancora di più, perché sono stati violati i diritti dei cristiani di mantenere le loro tradizioni nelle celebrazioni, e non c’è stato nessun rispetto dinnanzi al lutto di un popolo.
Tutto il mondo ha visto, in diretta televisiva, quanto è accaduto, e per Shireen, questo è stato il suo ultimo reportage, l’ultimo messaggio che ha voluto lanciare per la Palestina.
Shireen era la voce della Palestina, che entrava nelle nostre case, è stata fermata da un proiettile, che ha fatto cessare di battere un cuore puro, un cuore che ha dedicato la sua vita, con passione e dedizione, per portare la notizia di ciò che accadeva in Palestina in villaggi lontani, che nemmeno i palestinesi stessi hanno mai visto o conosciuto.
In una sua intervista aveva detto che: “Ho scelto il giornalismo per essere vicina alle persone, potrebbe non essere facile cambiare la realtà, ma almeno posso far sentire la mia voce nel mondo”.
Siamo tristi e sconvolti, perché il suo volto era a tutti noi familiare, i suoi reportage tra la gente, nelle strade raccontandoci i fatti, di ciò che stava accadendo, nella cruda realtà, era come un amica di famiglia che ci teneva informati costantemente. Era sempre pronta e puntuale con la notizia, richiamandoci con le sue semplici parole, dentro la notizia stessa.
Ma purtroppo oggi la notizia che non avremmo mai voluto sentire, questa volta lo scoop è stata Shireen stessa, con la sua vita. Una intera generazione di giovani sono cresciuti ascoltando attraverso i suoi reportage le storie di chi rivendica il diritto di vivere nella proprio terra, il diritto di avere una casa, il diritto di vivere in libertà.
Shireen ci raccontava anche il volto bello della Palestina, dalla bellezza della terra e i suoi luoghi santi, dei successi di giovani palestinesi nella ricerca, nell’arte, nella musica, diventando così un modo d’incoraggiare i giovani palestinesi a non lasciare la terra, ma di continuare a viverci nella difficoltà, costruendo una via di dialogo.
La forza di Shireen era questa sua libertà intellettuale, la passione di stare tra la gente e di trasmettere la notizia in tempo reale, e con la sua voce lasciava trapelare l’amore e l’appartenenza alla propria terra, ci aiutava a comprendere e ad entrare nella notizia, perché entravamo nella realtà del fatto di cui parlava.
Moltissime donne, in questi ultimi giorni, hanno raccontato di quanto siano state aiutate da Shireen, recitando delle poesie che venivano dal loro cuore. Una donna che ha messo il suo servizio per altre donne in difficoltà. Una figlia della Palestina, una donna, che è stata un simbolo per molte ragazze di intraprendere il giornalismo, in un tempo e in una situazione medio orientale non certo semplice per una donna, Shireen è diventata una icona del giornalismo.
Incontrai Shireen, la prima volta venticinque anni fa, quando decidemmo di trasmettere da Betlemme la messa di Natale. Da allora si è instaurata un’amicizia e una collaborazione, fatta di interviste e di confronto sulla Chiesa locale di Terra Santa. Esattamente venti anni fa durante l’Assedio della Basilica della Natività, Shireen raccontò i trentanove giorni dell’assedio e dell’occupazione di Betlemme, una pagina triste che non si può dimenticare.
Oggi tutta la Palestina piange Shireen, la gente è scesa nelle piazze, nelle strade, con la sua foto tra le mani, in silenzio, musulmani, cristiani, politici di ogni estrazione, di destra, di sinistra: ecco oggi si è avverato il sogno di Shireen, di vedere una Palestina, unita e compatta, senza divisioni.
Senza spade e fucili, Shireen, ha combattuto la sua battaglia, ha raccontato la vita di un popolo e la storia di una terra, giorno dopo giorno, conservando la sua fede, e l’abbraccio del popolo palestinese le rende giustizia. Shireen ora vive tra le braccia di Dio Padre, ma il suo spirito, la sua testimonianza, rimarranno sempre vivi in mezzo a noi, perché la sua voce è stata la nostra voce per raccontare al mondo la Palestina.