L’Ulivo ha rappresentato una speranza di innovazione della politica, non contro, con la sinistra di governo. Un caso analogo e diverso, nella storia del paese, quello dell’azionismo, lievito confluito poi in diversi partiti, tutti laici: dal Pri al Psi al Pci. Sicché l’ispirazione ulivista non è esclusiva di nessuno e si può ritrovare in diverse sensibilità: perché, tra le sue ragioni, è il pluralismo. Proprio chi ha vissuto quella stagione sa che non bisogna coltivare nostalgie o limitarsi a brandire dei simboli. La retorica del partito unico, dell’unico partito, dell’ultimo partito, non ha corrisposto a questa eredità, che è bene rimanga un patrimonio comune. La proposta per le elezioni politiche del 24-24 febbraio 2013, Italia Bene Comune, si fondava sul valore della coalizione. Poi, a pochi mesi di distanza, l’8 dicembre dello stesso anno, dalle primarie è emersa un’idea di vocazione maggioritaria portata alle sue estreme conseguenze, in una forma di presidenzialismo di fatto, alla ricerca di una legittimazione di diritto. La ratio della riforma costituzionale, nel combinato disposto con l’Italicum, ritenuta incostituzionale dalla Consulta, come in precedenza il Porcellum, si fondava su questo.
Solo che la reductio ad unum non ha funzionato. Né rispetto al pluralismo della politica. Né rispetto alla poliarchia istituzionale. Né rispetto al policentrismo del Paese. In particolare al sud, nelle periferie, tra i giovani, nell’area del disagio, nei corpi intermedi, nelle tante forme di autogoverno e di sussidiarietà sociale. L’esito del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 è stato chiarificatore. Il successivo governo, quello attuale, un’evidente smentita del presupposto, fissato per statuto, di un’identificazione tra segretario e candidato alla presidenza del consiglio dei ministri.
Ci sono tanti aspetti programmatici che, nel corso della legislatura, hanno evidenziato una distinzione tra il Pd e la sinistra (e non solo). Ma vi è anche una questione squisitamente politica, di visione del Paese, della sua vita democratica e sociale. Non è un caso che, in esito a questa legislatura, assumano un rilievo politico le cariche apicali del Parlamento, non solo quella del Senato, in particolare quella del Senato, bersaglio principale della riforma costituzionale respinta dal referendum. Non è un caso che, intorno alla figura del presidente del Senato, si configuri, ora, la condizione per una lista unitaria della sinistra, condizione necessaria, non sufficiente, per un nuovo soggetto politico.
La terzietà è un bene per tutti; ma se entrambi i due presidenti delle Camere stanno assumendo un profilo politico è perché la politica, in questa legislatura, ha lasciato dietro di sé un vuoto. D’altra parte sono stati eletti dal Parlamento scaturito dal voto del 24-25 febbraio 2013, che ha garantito il governo del Paese, ed essi ne sono tuttora espressione. Sinistra; ma non solo sinistra; ovvero una sinistra capace di andare oltre i propri limiti, con un forte accento istituzionale. Come sappiamo, la democrazia si fonda sulla bilancia dei poteri; ma deperisce quando si indebolisce la relazione con la partecipazione popolare. Tra non voto e disaffezione, è chiaro che da tempo qualcosa non va. Velleitaria l’idea di cambiare la domanda politica. Corretto innovare l’offerta politica. Evitando di chiudersi in un recinto; tenendo aperto lo sguardo su un orizzonte più vasto.
La cosiddetta prima Repubblica è stata una democrazia dei partiti, come reazione alla dittatura del fascismo. Poi, da un quarto di secolo, il Paese è incamminato verso qualcosa di ulteriore, in un progressivo trasferimento di sovranità, oltre il sovranismo di partito, a favore di una democrazia dei cittadini. Le culture politiche si sono mescolate. Dal pluralismo dei partiti siamo passati al pluralismo nei partiti.
Occorre credere di più nel legame tra cittadini, partiti e istituzioni. Perché il tessuto democratico si regge su questo. I soggetti politici, specie se nuovi, ne portano il segno. Ci sono più cose tra politica e cittadinanza di quante ne abbia potuto sognare la situazione politica che è alle nostre spalle. Un voto non solo utile, indispensabile, in primo luogo, per la democrazia italiana. Coloro che hanno smesso di votare Pd senza Liberi e uguali non sarebbero neppure sollecitati ad una riflessione.
Nessun risentimento verso nessuno. Semmai, ricerca di una rinnovata connessione sentimentale con quel pezzo di Paese che chiede di cambiare registro, con un popolo, esigente, che attende risposte all’altezza delle domande, non solo sui diritti civili, anche su quelli sociali, a partire dalle questioni del lavoro, della scuola, della sanità. Contro le diseguaglianze.
Ancora una volta, non importa il chi. Importa il come e, insieme, il cosa. Non i gruppi dirigenti. I problemi. Non i politici. Le politiche. Si può, si deve ragionare, smettendo di parlare di persone, ricominciando a parlare alle persone e con le persone.