Bruxelles, fine novembre. Ci arriviamo dopo qualche giorno a Parigi. L’affascinante Ville Lumière si sta caricando di tensione: i gilets jaunes occupano tutti i notiziari, bloccano strade e autostrade. Parigi è grande, avvertiamo la tensione crescente ma non vediamo quasi nulla, qualche strada chiusa al traffico, una massiccia presenza di forze dell’ordine davanti ai palazzi del governo… i sabati di guerriglia arriveranno quando già siamo partiti.
Il treno della sera ci porta in Belgio in un amen. Non conoscevo Bruxelles. La Grande Place con le luci della sera è incredibile ma altri scorci non sono da meno. Mi stupisce qualche salita; ero rimasto al “Plat Pays” di Jacques Brel Avec des Cathédrales pour uniques montagnes.
Non siamo in gita turistica, grazie a Pier Antonio Panzeri e agli europarlamentari di Articolo Uno ci è offerta l’occasione di una visita al Parlamento Europeo. Ci arriviamo al mattino con la cravatta d’ordinanza (non è richiesta, ma l’occasione lo merita) e con un briciolo di emozione. Emozione che aumenta quando varchi la soglia sotto la scritta ALTIERO SPINELLI. È al precursore di quel sogno chiamato Europa che è intitolato il palazzo.
Un preparatissimo funzionario ci introduce al funzionamento del Parlamento Europeo. Ventotto Stati membri, una torre di babele di ventiquattro lingue che un esercito di un migliaio di persone si occupa di tradurre, complessi meccanismi a regolare i rapporti tra le diverse istituzioni: Parlamento, Consiglio, Consiglio dell’Unione, Commissione. Una macchina così complessa ha bisogno di regole ferree, rigoroso rispetto di procedure e tempi, precisione e attenta preparazione. L’impressione, anche dei più scettici, è che qui si lavora sul serio, sempre che non si faccia come un Salvini qualunque che da queste parti, quando era Parlamentare europeo, si è visto pochissimo.
A questo proposito va spesa una parola a favore degli assistenti dei Parlamentari. Un
lavoro talvolta oscuro, che spazia dal tenere l’agenda degli appuntamenti alla preparazione dei dossier, dall’organizzare gli innumerevoli spostamenti al curare i rapporti con l’immenso collegio elettorale, dall’attenzione alle notizie di cronaca alla cura dei rapporti politici… decisamente riduttivo e un po’ offensivo il termine portaborse.
L’organizzazione è straordinariamente complessa, per molti versi incomprensibile. Le principali sedi istituzionali divise tra Belgio, Francia e Lussemburgo, la BCE in Germania, la recente contesa tra Milano e Amsterdam per l’assegnazione della sede dell’Agenzia del farmaco, dodici sessioni plenarie obbligatorie a Strasburgo. Una volta al mese, per una settimana, i 751 parlamentari con relativi assistenti, funzionari, tecnici, impiegati, documenti si trasferiscono armi e bagagli a Strasburgo. Sinceramente pare una follia, per di più parecchio costosa, ma ogni scelta è frutto di un compromesso, e l’accordo unanime è sempre complicatissimo.
Pare quasi impossibile che in simili condizioni le cose possano funzionare. Eppure, nonostante i problemi, la complessità, la delicatezza, le tensioni, da ultimo le intemperanze e i crescenti sentimenti nazionalisti, il sogno di Altiero Spinelli, di Ernesto Rossi, di Eugenio Colorni, quel sogno sognato a Ventotene durante il fascismo, ha prodotto alcuni innegabili successi: mezzo secolo di pace, la libera circolazione di persone e merci, la moneta unica…
Il sogno è però a metà, oggi più cha mai fragile, contestato. Qualcuno davvero può pensare di tornare indietro? Qualcuno può realisticamente credere che gli Stati nazionali possano avere ancora un senso? Possano competere con i colossi mondiali? Una battuta nella didascalica introduzione ricorda che negli USA puoi alzarti a New York, attraversare l’intero paese, trovando orario e clima differenti ma la stessa lingua, gli stessi giornali, gli stessi programmi tv, la stessa banca… così non è da noi. Di lì l’amara considerazione che prossimamente ai vari G20, G7, G8, semplicemente non ci saremo.
Il punto non è tanto quello di poterci essere per contare, per spartirsi la torta delle ricchezze mondiali ma per poter affermare la peculiarità dell’esperienza europea: i diritti. Sì, perché l’Unione Europea, nata dall’esperienza terribile di due guerre devastanti, di feroci dittature, si fonda sui principi fondamentali di dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani. Chi altri può affermarsi come “esportatore di diritti”?
Un’espressione che mi è molto piaciuta, emersa nel corso dell’incontro promosso dai deputati di MDP Articolo Uno dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo (S&D), Pier Antonio Panzeri, Massimo Paolucci e Flavio Zanonato.
Interessante e intenso dibattito in una bella sala intitolata ad Aldo Moro. Relatori internazionali, tempi europei, interventi rapidi e incisivi, traduzioni impeccabili. Colpiscono la franchezza e il realismo, nessuno si nasconde che le prossime elezioni saranno particolarmente complicate, che l’Europa è debole, in crisi, che forti sono le resistenze degli Stati.
Introduce Paolucci entrando subito nel vivo: occorre rimanere saldamente in Europa per
modificarla; per farlo occorre ragionare sui motivi della crisi, su quale piattaforma costruire per le elezioni, come riorganizzare il nostro campo. Le prime risposte arrivano da Kathleen Van Brempt, eurodeputata belga, vicepresidente di S&D, che indica nell’economia verde la via per il cambiamento della nostra economia. Un cambiamento
radicale, basato su criteri di sostenibilità. Una transizione che coinvolga tutti. Un’indicazione anche per la piattaforma organizzativa: il futuro gruppo va creato non sulla base dei partiti esistenti ma su un manifesto che contenga i principi fondamentali.
Nicolas Schmit, ministro del lavoro del Lussemburgo, ricorda che la fase che stiamo vivendo, caratterizzata dalle trasformazioni tecnologiche, dalla globalizzazione, dalla critica questione ambientale e climatica, rappresenta la grande sfida che abbiamo davanti, alla quale dobbiamo rispondere con scelte concrete: lavorare su nuovi progetti, organizzare la globalizzazione, combinare le politiche ambientali a difesa di un ambiente che il sistema capitalista sta distruggendo.
Michela Marzano, della quale leggo spesso gli articoli su Repubblica, torna al problema di fondo: abbiamo perso di vista cosa sia la sinistra, non sappiamo dove andare. Dobbiamo recuperare il senso delle differenze, saper distinguere. Il valore fondante dell’uguaglianza va declinato con uguali diritti, redistribuzione sulla base delle differenze.
L’intervento di Panzeri, forse il più politico, prende avvio dalle risposte inadeguate che ha dato l’Unione Europea, che va profondamente ripensata, non con un generico europeismo ma in un dibattito aperto, pubblico, che porti alla costruzione di un punto critico per affrontare la destra. Con il coraggio di utilizzare di nuovo quelle parole che sono state cancellate dal nostro vocabolario: uguaglianza, socialismo. Appassionata Maria Arena, europarlamentare di S&D, belga a dispetto del nome. Impertinente
come, dice, bisogna essere in politica: non possiamo più difendere l’indifendibile, affrontando battaglie anche dove è più difficile, all’interno della propria famiglia. Al proposito ricorda le sue battaglie contro regole per il commercio che difendono il più forte. Occorre “uscire dai salotti e tornare nelle strade”. Sostenere l’Europa. Dire che è finita vuol dire fare il gioco delle destre.
A Roberto Speranza sono affidate le conclusioni. Nel suo intervento sottolinea i punti che da tempo ascolto e condivido: il fatto di essere dentro una ricerca, un mondo nuovo nel quale definire spazi e caratteristiche della sinistra. La destra, trasformatasi da destra della libertà a destra della protezione, schierata a difesa dei deboli, è diventata un concorrente diretto. Lo prova il voto dei ceti popolari che la premia. Siamo alla ricerca di un pensiero nuovo dopo essere stati per troppo tempo subalterni al liberismo, imbrigliati in una visione troppo ottimistica del capitalismo. Al via la nuova stagione eco-socialista.
Un’ultima nota è dedicata al prevedibile appello all’unità. Certamente necessaria ma solo se le premesse e il progetto sono il cambiamento; in caso contrario sarebbe solo una sommatoria di sigle e dirigenti sconfitti. Si torna a casa in auto, google Maps segnala rallentamenti e blocchi stradali ad opera dei gilets jaunes, percorriamo un tratto di strada in Germania per evitarli. Belgio, Francia, Lussemburgo, di nuovo Francia, Germania, Svizzera, Italia. Confini formali, inesistenti, inutili. Il sogno che poco a poco a si realizza.
Ero indeciso sul titolo. In un primo momento pensavo a un sogno interrotto, finito, deluso, tradito, fallito, irrealizzato … ho preferito “a metà”, ovvero incompleto, da portare avanti, da realizzare. Facciamolo. Io metto la bandiera europea alla finestra.