Il suo nome appartiene (almeno per me) alla lontana stagione dell’infanzia. Alle estati trascorse sull’Appennino. A Granaglione, culturalmente orbitante intorno a Porretta Terme. Gian Paolo Testa era, allora, un nome tonante. Evocava un’aura di motivato prestigio.
Non so come sia stato, ma, ad un certo punto, verso la metà degli anni Novanta, la sua figura ha cominciato a divenirmi familiare. Gli incontri si sono intensificati. E con essi gli scambi di opinioni, i consigli, la collaborazione. In un attimo, la distanza, anche generazionale, è stata colmata da una relazione improntata ad un senso di rispetto.
Un bel giorno, al termine di un colloquio, Testa, con la sua tipica, disarmante ruvidezza, mi mise in mano un libro, dicendo, con tono più supplichevole che imperativo: “Leggilo! Capirai qualcosa di me”. Ne fui incuriosito. Cominciai la lettura la sera stessa. Era un libro di Luca Canali (latinista e scrittore): Autobiografia di un baro (edito da Bompiani nel 1983). Successivamente lessi anche Ci chiamavano teppisti rossi (Marsilio, 1996), e, più di recente, Reds. Racconti comunisti (Bompiani, 2003). Giunto a metà del libro, compresi che esso conteneva un piccolo, inconfessato segreto: la vita di Gian Paolo (in Reds, Vittorio).
Come in un baudelairiano “cuore messo a nudo”, Canali raccontava la storia di Gian Paolo sotto lo pseudonimo di Giampiero. Sin da quando era poco più che un ragazzo. Sin dai suoi vent’anni: “grande testa bionda, occhi sottili, corporatura robusta ma asciutta, piccole mani”. Era lui, era proprio lui. Leggendo, la scoperta di una vicenda nutrita di scelte radicali. Dalla Decima Mas al Partito Comunista. Gli “implumi fascisti di sinistra”, i “fascisti rossi”. Una storia tragica, caratterizzata da tensioni estreme. Il padre di Giampiero-Giampaolo, legionario fiumano, collaboratore di Mussolini, a cui il mondo era crollato addosso alla fine della guerra. Morto suicida. Tra i “pochi onesti che si spararono”. Il padre, che lo aveva consegnato mascotte al reggimento di bersaglieri in Croazia. Poi, un cambio repentino di condizione. Il patrimonio di famiglia bloccato. Lo stabilimento termale, con gli alberghi, le case e i conti in banca, requisiti. Una vita da ricostruire. Canali racconta come Giampiero-Giampaolo si sia rimboccato le maniche. Impiegato in un’azienda di tessuti di Biella, girovago per la penisola. Su scalcinate auto, agente di commercio. Quindi, il matrimonio, con la dolcissima Maria Grazia Benagli. Gli otto figli (di cui due scomparsi prematuramente). Ed il Partito.
Segretario della cellula Pci di via Margutta, nella Roma della ricostruzione, con i compagni-artisti Sibilla Aleramo, Guttuso, Vespignani. Solo più tardi poté tornare in possesso delle sue Terme, a Porretta: “rosso e potente proprietario”. Diviso tra l’Azienda e l’Impegno. I Consigli comunali di Granaglione e di Porretta. Il Consiglio provinciale. L’Ept. L’Ente Cinema. L’Enit. Il Touring. Il Palazzo dei Congressi. Il “Bologna Festival”. La Mostra Internazionale dei Cinema Libero, di cui è stato a lungo presidente.
Canali coglie bene la “sua assoluta disponibilità all’amicizia” e “un eccesso di attivismo” che rischiava “continuamente la dispersione”. Un uomo senza soggezioni ma anche non privo di sottili fragilità. Curato nell’aspetto per l’intensa attività sportiva. Gran nuotatore, specie nel periodo estivo. L’amico-scrittore Canali lo immagina come un uomo che aveva il “dono simultaneo della volatilità e della concretezza”. Nonostante tutto, a suo modo, un “vincitore della vita”.
Forgiato in un tempo aspro e difficile, Gian Paolo ha avuto una visione “eroica” della vita e delle relazioni. Detestava il mondo delle piccole cose, degli accomodamenti; così come le pavidità, pubbliche e private. Non rifuggiva il contrasto. Era intimamente quello che si dice un esprit fort: schiena dritta, sguardo fiero. In età già matura, la crisi delle Terme lo sottopose ad un altro drastico cambio di fronte. E tuttavia dalle “sconfitte” ricevette sempre lo slancio per nuove rinascite.
Affrontava la realtà con un atteggiamento agonistico. Animato dall’etica della convinzione, era sferzante e insofferente verso un tempo divenuto arido di idealità. Aveva un carattere ruvido che lo ha indotto a decisioni controcorrente. Come amava ripetere: “Confesso di aver vissuto” (ne Il compagno e la Camicia nera. Istanti di storia italiana, libro autobiografico di Giampaolo Testa supportato nella certosina ricerca da Igor Taruffi, Editrice Compositori). Ricorderò sempre i suoi occhi liberi, inquieti, di ghiaccio. Credo che lascerà un senso di vuoto in coloro che lo hanno conosciuto, nelle diverse tappe della sua vita; e specie in chi è disposto a riconoscerne, oggi che è venuto a mancarci, il suo personalissimo timbro di partecipata e spavalda umanità.