Non c’è solo il coronavirus a minacciare il mondo: c’è un altro virus con altissima carica infettiva che sta dilagando da tanti mesi nel mondo occidentale: è il virus che mina le democrazie, e ha sferrato un attacco fuori dal comune proprio nel giorno dell’Epifania, quasi fosse una sorta di scelta “mistica” manifestarsi proprio in quel giorno con tanta violenza, nel distretto di Washington, nella sede della democrazia statunitense, nel tempio di quella che dovrebbe essere la sovranità popolare e che con quella “sgangherata” ma studiata azione si sarebbe voluto attaccare e cancellare.
È il virus dell’intolleranza, dello spregio per le regole democratiche che hanno nel voto popolare la più alta espressione, è un virus che in Europa abbiamo già tragicamente vissuto nel corso del secolo scorso nel periodo tra le due guerre e che ha portato nel vecchio continente morte, disperazione e cumuli di macerie e che oggi dilaga, quasi indisturbato, in tutto il mondo occidentale, facendosi beffe di quelle che crediamo di essere le “democrazie perfette”.
L’attacco senza precedenti al parlamento della più grande potenza occidentale è un segnale che non può lasciare indifferenti perché rappresenta un salto di qualità incredibile, il mai visto che si manifesta dopo quattro anni passati al più a considerare Trump una macchietta, un pazzo o qualcosa di insolitamente folcloristico senza riuscire davvero a comprendere che il dilagare di questa nuova onda nera sta unendo in modo nefasto le due sponde dell’Atlantico, senza riuscire davvero a opporsi a una tragica involuzione e chiusura delle democrazie della parte più avanzata del mondo, o meglio di quella che lo era.
La negazione senza prove della legalità e della veridicità del voto che ha stabilito che Biden sia il prossimo presidente degli Stati Uniti, la violenza e l’arroganza nel voler ribaltare con tutti i mezzi quel chiaro verdetto sancito da milioni di voti di differenza tra un candidato e l’altro, l’ottusa, ma calcolata pervicacia con cui sono stati presentati decine di ricorsi, la continua istigazione a riprendersi un potere che gli elettori hanno dichiarato cessato è sfociato in quelli che sono i metodi e la prospettiva della destra estrema cresciuta all’ombra riparatrice di democrazie che hanno consentito agli impresentabili di presentarsi, ai manigoldi di travestirsi da statisti amici del popolo.
L’Europa, la culla della democrazia da Atene in poi, è stata in questa fase la culla di quanto accaduto in questi ultimi mesi negli States, anticipando ormai da alcuni anni i percorsi estremi costituiti da razzismo, xenofobia, odio vero e proprio verso la povertà, arricchimento senza limiti, allargamento della forbice tra chi fatica a vivere giorno per giorno e chi invece di ora in ora accumula ricchezze, perché tutto parte sempre da lì, dalla guerra del ricco al povero, dal perseverare di pratiche di diseguaglianza e di mortificazione nei confronti delle persone che per vivere debbono dipendere da volontà altrui, dal tasso di arricchimento di chi campa grazie al loro sfruttamento, alla loro umiliazione.
Un’onda questa che, non ce lo si deve nascondere, ha potuto svilupparsi anche grazie alle sbandate della sinistra mondiale, che risalgono ormai ad alcuni decenni fa e che portano il marchio di fabbrica di alcuni leader ai tempi considerati innovatori: i Blair e i Clinton seguiti, anche nel nostro Paese, per un lungo periodo dai leader progressisti in tutto il mondo. Sbandate che hanno inevitabilmente ricacciato indietro un secolo di conquiste sacrosante delle classi lavoratrici, di costruzione di modelli democratici e di partecipazione attiva della cittadinanza.
L’avvento di un capitalismo aggressivo che lascia e butta alle ortiche una natura di fonte di crescita economica collettiva, per fare spazio ad un intreccio di speculazioni finanziarie, che abdica ad un ruolo, seppure conflittuale con le classi sociali che comunque restano subalterne, di sviluppo rappresenta le vere fondamenta di quello che oggi si respira nel mondo, dell’involuzione profonda che il potere economico ha intrapreso calpestando diritti, ambiente, giustizia e solidarietà nel nome di un solo totem: il profitto, sempre e comunque.
La costante e continua crescita portata avanti con determinazione della negazione dei diritti, dell’impoverimento culturale, dell’ostacolo all’accesso all’istruzione e alla conoscenza, le barriere via via poste al diritto universale alla salute, ad un tetto sotto il quale vivere, alla dignità del lavoro hanno costruito quel popolo di “dimenticati” di cui Trump si è fatto paladino dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca, del quale da noi si fa portavoce Salvini e che non può che sfociare in fatti come quelli di Capitol Hill.
Oggi essere radicalmente riformatori deve voler dire lavorare per fermare questa nefasta ondata che già sta per sommergerci e per farlo occorre investire impegno, tenacia e pazienza, occorre ricordarsi cosa significhi essere realmente di sinistra senza retorica, partendo anche da quelle cose che sembrano piccole, ma che sono dense di significato e nel frattempo sviluppare un’azione che permetta di porre le basi per un grande cambiamento culturale, oggi occorre senza dubbio rifarsi a radici lontane per guardare avanti, per riportare gli orologi in sintonia con il tempo dei diritti universali, combattendo il dilagare dell’analfabetismo funzionale, arma della parte ricca del mondo, andando avanti, come dice il poeta, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro.