L’analisi di Vincenzo Visco sul contributo per la nuova sinistra la trovo di una limpidezza totale. Sono altrettanto convinto, come il compagno Visco, che ci deve essere la sinistra alla testa del cambiamento europeo.
Noi siamo i figli del pensiero di Altiero Spinelli.
Noi siamo l’architrave della costruzione europea: l’Europa, che con tutti i suoi difetti e vincoli burocratici, ha comunque garantito oltre settanta anni di pace in un continente segnato da guerre e distruzioni continue. Noi siamo stati e continueremo a essere il vero antidoto al sovranismo, all’autarchia, all’oscurantismo politico e culturale che sembra oggi avvolgere in garze di nebbia le menti e le coscienze di milioni di cittadini europei.
Con franchezza, voglio dire però che la responsabilità di tale perniciosa situazione è anche della sinistra, delle forze democratiche e progressiste del continente europeo.
Per troppi anni il socialismo europeo ha messo in opera politiche neoliberiste, troppo attente alle sole dinamiche finanziarie-economiche. Attente a non disturbare il manovratore, cioè il capitale, il mercato, pensando ingenuamente che tanto l’equilibrio sociale si sarebbe trovato da sé.
Pia illusione. Invece, abbiamo visto che la tanta ricchezza prodotta e accumulata è finita in poche mani, allargando sempre più la forbice sociale. In definitiva non c’è stata redistribuzione.
Qui è saltata la solidarietà di classe, che legava nel continente europeo milioni di lavoratori e di ceti meno abbienti. Ora, spinti da questa nefandezza di politica economica-finanziaria, hanno cercato rifugio nelle promesse miopi dei populisti, della destra, dei centri di pensiero individualista. Hanno convinto gran parte dell’elettorato che il nemico è l’immigrato, è il diverso, è il pensiero progressista, il cosiddetto “buonismo”.
Mentre si assisteva a una concentrazione economica-finanziaria mai registrata negli ultimi decenni, la sinistra italiana ed europea spostavano l’asse dell’azione politica verso il restringimento delle tutele e dei diritti sul lavoro, un sostanziale indebolimento della rete di protezione del welfare, tutto questo per non intaccare le grandi rendite finanziare, le ricchezze smisurate accumulate.
Sono stati e sono i milioni di lavoratori e pensionati a farsi carico della stragrande maggioranza delle entrate fiscali necessarie per il finanziamento dell’intera macchina dello Stato. Sempre meno investimenti produttivi, mancanza di politiche di programmazione industriale, scarsi investimenti nelle reti materiali e immateriali hanno poi prodotto tutto il resto della situazione di difficoltà economica ed occupazionale.
Sono convinto che nella sinistra, nelle forze progressiste, ci siano ancora tutte le risorse e le intelligenze per risalire la china. È necessario ripartire dal territorio, dai posti di lavoro, dai centri di cultura, dalle menti del sapere. Mettendosi tutti a disposizione con umiltà e capacità di ascolto, costruire una rete capillare dove la regola del confronto sia il “noi”.
Il leaderismo non è la stella popolare della cultura di sinistra, che invece è; agire e pensare in maniera collettiva. Il segretario è solo il primo di un esteso gruppo dirigente e non un uomo solo al comando. Questo metodo non funziona neanche nello sport: per vincere infatti si deve fare squadra, tutti debbono fare la propria parte, altrimenti, come purtroppo abbiamo assistito, la personalizzazione ti porta prima al massimo del consenso e poche ore dopo ti lascia nella polvere.
Anche il sindacato confederale può e deve fare la sua parte, non ricorrendo il vento preminente, non piegandosi alle sirene populiste. Con la giusta autonomia di pensiero e di programma il sindacato può e deve essere il faro che squarcia la nebbia della nottata populista.