Ho evitato fino a oggi di scrivere analisi sul voto convinto della necessità che queste diventino oggetto di dibattiti congressuali e non mero esercizio intellettuale. Tuttavia, il succedersi degli eventi, la mediaticità del dibattito e il profilarsi di inutili tensioni mi spingono a non stare in silenzio mentre si alza la tempesta. Credo, umilmente, che serva con forza interrogarsi sulle ragioni del voto e sulle ragioni della sconfitta del proprio campo, nello specifico la sinistra, che sembra essere tornata a prima del 1945 e della nascita della Repubblica.
Non sono convinto di ciò che leggo. Non tanto sui giornali: gli autorevoli commentatori nostrani hanno perso da tempo la bussola e oscillano tra la retorica e le tendenze della pubblica opinione ufficiale. Quanto delle analisi delle forze politiche in campo e in special modo di quelle della sinistra e del centrosinistra in genere. La sconfitta non viene compresa e la questione viene continuamente riportata su un campo legato a etichette che, seppur necessarie, sono nella loro aridità divenute sconosciute al popolo.
È cambiato il mondo. Le posizioni di rendita, di cui hanno per anni vissuto i partiti della Seconda Repubblica sulle spalle di quelli della Prima, si sono esaurite e parimenti si sono dimostrate inefficaci le logiche di chiusura, oligarchiche, con cui si era cercato di salvare le apparenze di questi anni. Reichlin aveva avvertito tutti: la parola decisiva la dirà il popolo. E il riscontro pesantissimo è stato quello della fine di un’era, di cui pare non si stia provando ancora ad indagare le cause profonde.
Non è una questione di posizionamenti del ceto politico. Chi, e sono tanti, segue questo filone non coglie i messaggi profondi: qualsiasi luogo – destra, sinistra – è ormai sconosciuto. Il problema sta nella crisi sociale che porta con sé il problema della crisi democratica. E che porta l’elettorato a essere indifferente ad etichette di cui non conosce il significato e ad affidarsi a nuove difese, nuove speranze, nuovi orizzonti. Venuta meno la credibilità del sistema, l’acqua ha trovato nuove strade ed ha fatto venire giù la diga.
Vincitori e sconfitti. Il crollo della diga ha prodotto un risultato straordinario: l’Italia è divisa e diseguale, spaccata per geografia, classi, quartieri. Scompare il ceto medio, il voto moderato. Il Nord e Sud sono divisi come ai tempi della guerra, così come la città e la periferia, tra élite e classi popolari. Ma cosa è successo? La crisi ha spazzato la credibilità delle forze politiche tradizionali, svuotandone ogni significato valoriale. Resi inaccessibili i luoghi di un tempo alle domande incessanti di una nuova epoca, se ne sono trovati di nuovi. La mutevolezza e la volatilità delle opinioni sono figlie della debolezza strutturale della politica dei nostri tempi. E il vento le ha sospinte altrove.
La Lega ha interpretato la paura di chi non è disposto a perdere, di chi ha bisogno di protezione e riferimenti forti, il Movimento 5 Stelle invece la speranza di chi sogna il riscatto sociale, la rottura dei privilegi, l’emancipazione del bisogno. Hanno interpretato due luoghi – destra, sinistra – che i giochi di potere, i posizionamenti, la retorica avevano lasciato deserti. Hanno riscoperto il conflitto e allo stesso tempo hanno fatto leva su vent’anni di chiacchiere su voto utile, bipolarismo, buona amministrazione, onestà, trasformismo, spregiudicatezza delle manovre politiche. La casa è caduta addosso a chi, una volta esauriti i giochi di palazzo, si è rivelato impotente dinanzi alle ingiustizie sociali, alla garanzia dei diritti, alla vigilanza del mercato. Il monito è rimasto inascoltato e si è andati dritti verso il disastro.
Che fare? È arrivato il momento di tornare a confrontarsi col reale. Il campo di ricostruzione non può non ritrovare nella miseria del quotidiano le motivazioni della proprio ragion d’essere. Serve analizzare la società e provare a ricostruire quell’equilibrio tra eguaglianza e libertà capace di rafforzare il patto costituzionale di una Repubblica fondata sul Lavoro. Due sono le grandi questioni sul piatto:
1) La questione sociale ed economica. Sono cambiati i modi della produzione ed è cambiata dunque l’organizzazione sociale e produttiva della nostra epoca. Si è trasformato il lavoro, la produzione, si è imposta la finanza internazionale, sono mutate le classi, ci sono nuove diseguaglianze e nuovi modi di rapportarsi e comunicare domande e preoccupazioni;
2) La questione democratica. Dinanzi alla trasformazione della società, la politica tradizionale, chiusa nel mito della buona amministrazione, degli eletti e delle elezioni, ha dimenticato di dare anzitutto una rappresentanza sostanziale a buona parte della società, facendo venire meno quella connessione sentimentale con il popolo che è parte necessaria di qualsiasi patto costituzionale democratico.
A queste due questioni bisogna dare risposta. Bisogna sognare una nuova speranza per il paese, per le zone del disagio, per le nuove generazioni, che ridia fiato a una rinnovata passione civile e politica. Oppure, rinsecchiti definitivamente i letti dei torrenti, l’acqua troverà nuove strade e nuovi percorsi.
Sullo scetticismo non si costruisce nulla ed è per questo che servono pensieri lunghi e emozioni potenti. Le ragioni della Giustizia Sociale sono talmente forti da poter costituire un luogo che può essere ancora compreso, studiato, messo a disposizione di tanti. Un luogo dove poter ricercare il senso e le ragioni di una Sinistra che lì e solo lì potrebbe riscoprire identità e dimora. Ma per fare questo servirà grande generosità, grande capacità di dialogo e lo sforzo di andare oltre le questioni di ceto politico, di aprire un dialogo, di costruire campi larghi e soggettività per una rinnovata partecipazione popolare e democratica. Occorre la convinzione della fatica, la passione di immergersi nel fango, la voglia di camminare nella marginalità e nel disagio, per rialzare poi più forti i vessilli non del potere, ma delle idee di cui si intende dare rappresentanza e rappresentazione.
Al contrario, si consolideranno le ragioni della sconfitta. Ridotte a etichette e a vicende di ceto politico, le storie politiche costitutive della Repubblica giungeranno così all’esaurimento della loro missione storica. E andremo definitivamente verso lidi sconosciuti e lontani da quelli attuali.