Quella di monsignor Gallagher, che ha inviato al Governo italiano una nota sulla legge Zan è decisamente una entrata a gamba tesa, pesante e che non ha alcun precedente nella storia dei rapporti tra Stato italiano e Vaticano. Non è, impossibile non cogliere questo aspetto, solo una brutta entrata nei confronti di uno stato sovrano, ma lo è anche nei confronti di Papa Francesco ed è il segno di quanto nella Chiesa cattolica si scontrino anime diverse: quella aperta al mondo attuale rappresentata da Francesco e quella tuttora ancorata a pregiudizi e chiusure che non possono avere più senso, che allontanano la Chiesa dalla società reale e dal sentire dei cittadini, quasi non avessero imparato nulla dai tempi dei referendum sul divorzio e sull’aborto.
Il richiamo del Vaticano, che fa riferimento ad alcuni articoli del Concordato, è evidentemente del tutto strumentale giacché la legge Zan non pone assolutamente limiti alla libertà di pensiero, ma invece pone, giustamente, limiti, punibili, nell’incitamento all’odio, cosa che la Chiesa non ha nel suo mandato e nel suo operato quotidiano, soprattutto quella parte della Chiesa che quotidianamente si mette al servizio di chi ha bisogno e che si presta ad un aiuto disinteressato indipendentemente dal fatto che chi soccorre sia credente o meno.
È fuori di dubbio che quello di Gallagher, oltre ad essere un’intromissione inaccettabile nel percorso parlamentare di una legge dello Stato, è un attacco alle posizioni più volte espresse da papa Bergoglio ed è un tentativo di far tornare indietro la Chiesa, di riprodurre chiusure che non possono avere spazio nell’epoca attuale.
Non è però neanche tempo di scontri tra “mangiapreti” e “bigotti”: quelli lasciamoli ai gustosi film di Peppone e Don Camillo, oggi si deve pretendere che nessuno dall’esterno cerchi di porre veti su materie che riguardano uno Stato sovrano sul quale nessuno ha diritto di interferire.
Questa pesante e inopportuna ingerenza apre un necessario dibattito sul Concordato, senza farne però una questione fondamentale: abbiamo davvero tanto altro cui pensare in questa difficile contingenza. La Chiesa, come qualsiasi altra entità, ha tutto il diritto di rendere pubblica la sua opinione, però su questo sarebbe stato forse più opportuno un commento da parte della Cei e non di un rappresentante di un altro stato. Lo Stato italiano deve rispondere con fermezza a questa provocazione senza precedenti senza però farne una questione di vita o di morte.
Chi lavora quotidianamente nei territori sa quanto sia l’impegno della Chiesa con la quale al di là delle singole posizioni si riesce a dialogare e a costruire qualcosa assieme, sa quanto sia l’impegno che insieme si mette per far fronte alle difficoltà che questa maledetta pandemia ci ha posto di fronte. Pensiamo a questo, continuiamo a lavorare su questo senza farci fuorviare da prese di posizione obsolete e fuori tempo massimo, è il futuro che dobbiamo costruire.