“Le piazze hanno preso la forma della politica”. Questo ha detto Mattia Santori a San Giovanni, sabato scorso. Ed è stata la risposta più efficace a chi accusava le sardine di non opporre contenuti, di non avere un programma risolutivo, di non fare una rivoluzione ‘al volo’, laddove tanti avevano invece fallito. Le sardine, per quanto propongano contenuti discriminanti (antifascismo, antirazzismo, inclusione, partecipazione), non scendono in piazza per ‘esser parte’, per fondare un partito, per iscrivere una lista a qualche competizione elettorale, per avviare carriere politiche o scendere in campo alla maniera di molti recenti ‘condottieri’. Le sardine non antepongono contenuti, piuttosto sono ‘forma’, perché puntano a ripristinare i meccanismi della politica, a ricreare una rete di partecipazione, a ‘saldare’ nuovamente lo spirito civico alle istituzioni. Ritessere la ‘forma’ della politica piuttosto che inondare le piazze di ‘contenuti’: ecco il punto.
Semmai, invece di contrastare la ‘politica’ intesa nella sua generalità, questo movimento la chiama all’impegno, pretende che i propri rappresentanti si facciano parte attiva, rimettano in moto le orologerie istituzionali (ancora la ‘forma’ della politica e della democrazia) e riavviino un processo pubblico vitale per tutti. Lo ha detto bene Norma Rangeri sul ‘manifesto’, interpretando ancora le parole di Santori: “La funzione principale di questo movimento di opinione è fare da tramite tra il mondo politico e l’impegno civico”. Di qui la richiesta “ai politici e al governo di fare bene il loro lavoro, di svolgerlo non sui social ma nelle istituzioni”. Non sentite una ventata di novità in queste parole? Non sentite dopo tanti anni e tanti guru, finalmente, le fila che si tendono, i nodi che tornano a stringersi, una ‘forma’ che riprende a serrare le fila e vorrebbe ripristinare un ‘tramite’, una mediazione laddove oggi predominano la disinter-mediazione, la crudezza mediale, il sì verso il no, una figura contro l’altra e una personalizzazione più antipolitica che politica?
Ecco dunque la novità: oggi centinaia di migliaia di persone (in piazza, non nei sondaggi) ci invitano a non scavare più fossati, a non ‘negare’ le istituzioni, a non pensare i partiti come una congrega di furbetti e il Parlamento come un’Aula sorda e grigia o come una scatoletta di tonno da aprire. C’è come un ribaltamento anche filosofico: dopo tanti anni stracolmi e saturi di una filosofia negativa, critica sino al parossismo, dopo tanto pessimismo glaciale, quello di chi invoca il vuoto e parla di apocalissi presenti (contribuendo così a inverare le proprie profezie), finalmente sentiamo una voce contro. Oggi l’opposizione è il positivo, la proposta, la lotta ravvicinata, i guantoni incrociati ma da presso e costruttivamente per quanto in termini non meno duri. Oggi la politica non può essere più il diaframma identitario alzato come una barriera anticontaminante, che elude alla fonte il senso della politica intesa come relazione, dibattito, lotta regolata, conflitto produttivo, rappresentanza istituzionale, dialogo aperto e, infine, decisione presa dopo una fase ampia e coinvolgente di confronto-scontro. L’identità come prassi e come rappresentanza torna a opporsi a quella intesa metafisicamente come custodia di chissà quale essenza da preservare. Cambia molto, non poco.
Le sardine, insomma, smentiscono tante chiacchiere ammantate di teoria politica e tante elucubrazioni. Quelle per cui vi sia solo il vuoto e null’altro che lo contrasti. Vi sia solo il negativo e non anche il positivo capace di imprimere un dinamismo anticonservatore. Smentiscono l’idea per la quale non vi sarebbe più un soggetto, ma solo una traccia, un sintomo, un bastone rabdomantico senza nome (o ridotto al solo nome). Che non vi sia più un ordine del reale ma solo un ordine del discorso; che risultino solo pratiche sociali e non una concretezza sociale e politica; che regnino appena i linguaggi e i significanti (per di più vuoti) e non una “cosa” realissima ‘presente e viva’, fatta di donne e uomini reale, pronta a esigere che il marchingegno democratico si attivi ed esprima, con ciò, il senso della partecipazione, della prossimità, della cura, della relazione. Esattamente il contrario di quanto propaganda la destra-destra, che pretende di conquistare il Palazzo. In un certo senso, la ‘forma’ della politica è una opposizione aperta, la più dura possibile, al ‘contenuto’ dei populismi, dei sovranismi e dei salvinismi che oggi alzano inopinatamente la voce e vorrebbero ridurre ogni aspetto politico al rapporto secco tra Capo e Popolo.
Di sicuro, questo movimento è anomalo. Ma in termini positivi. Perché ribalta convinzioni pigramente acquisite negli anni e propone un visione inedita, ma che inedita non è, visto che la democrazia come relazione viva tra istituzioni, partiti, spirito civico e movimenti appartiene alla nostra migliore tradizione, alla nostra vicenda repubblicana, e non è affatto un’invenzione estemporanea oppure un’astrazione antistorica. In un certo senso, per tornare ad antichi ossimori, potremmo dire che abbiamo di fronte centinaia di migliaia di cittadini ‘conservatori e rivoluzionari’, che ripartono dalla piazza per rivitalizzare le istituzioni e i partiti oggi soffocati non solo dalle proprie manchevolezze, ma anche da stucchevoli ideologie anticasta e rigurgiti antiistituzionali e antipolitici a non finire. L’apporto delle sardine è, dunque, essenziale. Rimaniamo umili e lasciamoli lavorare.