Il dato elettorale che scaturisce da queste elezioni non lascia scampo a equivoci. Senza infilarsi in comparazioni – che pure sarebbero utili a capire le proporzioni della sconfitta – possiamo già verificare a occhio nudo che il centrosinistra e il suo maggiore interprete, ovvero il PD, scivolano inesorabilmente verso il basso.
Basti pensare che il Partito Democratico nell’elezione che lo tenne a battesimo esordì con 12.095.306 voti, ovvero il 33,18% dei voti validi, che oggi sembrano un’enormità per un partito nato su una vocazione maggioritaria esistita solo nella testa di una classe dirigente senza mai consolidarsi nella società italiana, e che oggi si ritrova con i voti – in termini assoluti – più che dimezzati.
In politica, si sa, non è mai l’ultima chiamata, anche quando sembra che i barbari abbiano sfondato il confine e le cavallette stiano già piovendo dal cielo. L’importante è non perseverare nei propri errori, analizzarne la natura in maniera lucida, lungimirante e mettere a punto una strategia evitando di agire d’impulso come ad esempio organizzare l’ennesima – seppur simpatica – gazebata.
Oggi, come del resto molto di noi dicono da tempo, pare essere largamente diffusa l’idea che c’è bisogno di un punto e a capo. Le prime mosse e la strada tracciata del segretario dimissionario Letta sembrano generose ma subito il dibattito è piombato sulla coda, ovvero sul nome dei candidati alla segreteria.
Pare evidente invece che la discussione deve essere molto più ampia e profonda, pare chiaro che la sinistra deve ricostruirsi mettendo all’angolo ciò che è stata fino ad oggi. Tanti, troppi elettori giudicano i partiti che rappresentano la sinistra come senza anima, partiti che non rappresentano la parte per cui dicono di battersi.
Per tornare a stare nell’agone politico in maniera dignitosa serve ripartire dalle fondamenta, serve interrogarsi sul chi siamo e che identità diamo alla sinistra. Solo ricostruendo un profilo politico, un’identità, e dandogli un’anima, il Partito della sinistra potrà riportare il proprio simbolo nelle piazze senza nascondersi. Dobbiamo dunque partire dalla base su cui si fonda la sinistra, dalla frattura storica che ha fatto grande la nostra cultura politica ovvero la contrapposizione capitale-lavoro, e aggiornarla capendo come si è evoluta, come si tengono insieme le esigenze del nuovo blocco che deve rappresentare una sinistra moderna.
Bisogna capire che rispetto al ‘900 non basta rappresentare e dare risposte solo alle lavoratrici e ai lavoratori italiani (che pure sono stati maciullati dallo stesso PD a guida renziana), ma bisogna mettere al centro i bisogni e le esigenze delle nuove classi sociali che dal mondo del lavoro talvolta restano totalmente escluse.
Bisogna dare una risposta ai tanti giovani, talvolta laureati, che prima di trovare un lavoro stabile e crearsi una famiglia si trovano ingabbiati in un labirinto fatto di tirocini, contratti precari, collaborazioni continuate e continuative e finte partite iva.
Bisogna candidarsi a rappresentare e capire come dare una risposta netta, chiara e definita rispetto a una lacerazione territoriale tra nord e sud che va avanti dal 1861 e ancora oggi non trova una risposta, con il rischio di esplodere in questa legislatura per mano dell’attuazione dell’autonomia differenziata tanto cara alla lega Nord.
Bisogna comprendere come ci si pone a capo di un’inversione in campo culturale sul tema del gender cup iniziando finalmente a dare dignità alle donne troppe volte discriminate sui luoghi di lavoro e che rischiano, con il prossimo Governo, di essere relegate a madri cristiane senza il diritto neppure di scegliere se abortire o meno.
Dobbiamo porci il tema delle future generazioni che vivono alle periferie delle nostre città e che troppo spesso si trovano ingabbiate in una spirale di sfiducia verso il sistema Paese e verso il futuro che li porta inesorabilmente ad abbandonare gli studi dopo la licenza media, finendo relegati ai margini del mercato del lavoro e in alcune zone del sud alla mercé della criminalità organizzata, senza alcuna capacità analitica per potersi autodeterminare.
Sono queste le priorità della sinistra: ricalibrarsi rispetto ad una lotta che un tempo era degli operai contro i padroni e che oggi deve accendere un faro sugli ultimi e i penultimi – troppo spesso messi gli uni contro gli altri – in contrapposizione a quel pezzo che detiene la stragrande ricchezza del paese e che nelle varie fasi della crisi ha visto incrementare le proprie risorse. Insomma, la sinistra ha la necessità di attuare in maniera universale quell’eguaglianza formale e sostanziale scolpita nell’articolo 3 della Costituzione Repubblicana.
Serve questo alla sinistra per darsi un’identità e ridare una speranza al suo popolo ormai perso nei meandri dell’arco parlamentare e del popolo del non voto. Solo con un’identità che è motore della partecipazione politica e miccia per fare esplodere una speranza collettiva si può passare al secondo grande tema che ha messo all’angolo la sinistra, ovvero lo strumento del come si attua tutto ciò: il Partito.
La forma partito è un punto focale: bisogna capire in che modo ricostruire la vita democratica del paese attraverso la principale cinghia di trasmissione tra i cittadini e i palazzi della rappresentanza democratica. Per la sinistra, che è nata ed è diventata grande con il modello del partito burocratico di massa, bisogna interrogarsi sul come trasporre questo modello ai giorni nostri. Come tenere insieme l’elaborazione politica e la più ampia partecipazione possibile.
Credo che ci sia la necessità di attuare un modello di partito ibrido tra il partito digitale (che in Italia si riconosce nei 5stelle) ed un partito burocratico, prendendo spunto dai compagni di Podemos che non rinnegano l’utilizzo delle riunioni nelle sezioni, ma che hanno incrementato la partecipazione politica allargandola con l’utilizzo dello strumento informatico, non rinunciando al congresso con i delegati e alle strutture collegate al partito deputate a fare aggregazione ed elaborazione di pensiero politico, pur non essendo direttamente sedi del partito stesso.
In ultimo, ma non per ultimo, bisogna cambiare le liturgie, aprendo le porte (ma davvero) non come si è fatto negli ultimi anni, ovvero a chiunque portasse in dote pacchetti di voti e tessere, ma a chiunque porti con sé idee e voglia di attuarle.
Bisogna finirle con le finte assemblee che sembrano le sfilate dei dirigenti e dove alla base è permesso raramente di proferire parola, ma a cui è consentito solo e unicamente alzare la mano. I dirigenti, soprattutto quelli dei livelli più alti, si mettano in fondo alle sale congressi, e ascoltino le idee dei militanti senza utilizzare le platee per fare sfoggio delle loro capacità oratorie: quelle le conservino per le piazze nei comizi, che oggi sembrano diventati merce assai rara dalle nostre latitudini.
È necessario attuare vari piani di partecipazione politica, che non può essere fatta solo dagli iscritti, ma può e deve essere attuata su più livelli, prevedendo oltre agli iscritti la partecipazione con diverse gradazioni anche di simpatizzanti e semplici elettori.
Solo dopo aver affrontato questi nodi si può decidere chi sia la persona in grado di rappresentare la sinistra, chi possa essere l’interprete migliore per questo compito, e per favore si tenga fuori il discorso sulle alleanze: questo verrà da sé dopo essersi dati un’identità e essersi candidati a rappresentare il pezzo più debole della società italiana.
Io credo che questa sia la sfida che abbiamo dinnanzi e che noi uomini e donne di Articolo Uno dobbiamo stare dentro questo processo avendo tutte le capacità d’incidere in maniera determinante per costruire una sinistra forte, rappresentativa e che possa finalmente arrivare al Governo del Paese.