La politica è morta, in alto la politica. So che è retorico ma oggi attualissimo: c’è grande confusione sotto il cielo, per i rivoluzionari la situazione è eccellente.
La politica, è vero, ha perso, e ha dovuto fare un passo indietro: perché non è stata in grado di farne uno in avanti, perché ha vinto la cattiva politica, perché quella buona è stata risucchiata nelle lotte intestine, nelle battaglie ai coltelli nei corridoi, nella perdita di una visione di lungo respiro, adattandosi a vivere solo sull’oggi, aspirata da un’emergenza enorme che però proprio perché enorme avrebbe richiesto lungimiranza e sguardo oltre l’orizzonte.
Nel momento in cui la politica ha accettato, subendo, di farsi commissariare per incapacità di dialogare, di fare sintesi, che poi sarebbe il suo compito, l’ultima cosa che deve fare è di adattarsi ad un presente che la vede esclusa, ai margini, quasi inutile.
Se non è oggi il momento non di riformare, di rivedere, di adattare la politica quanto invece di ricominciare a farla, a costruirla, quando?
La “normalizzazione” è sempre viatico di cattive notizie e l’adattarsi a questo sarebbe sì una sconfitta pesante e difficilmente recuperabile. Oggi quello di cui necessita il nostro Paese è il contrario, oggi è necessaria la radicalità della politica, è la necessità di smetterla di adagiarsi sul possibile, è il momento, più che mai di andare oltre, di lavorare per raggiungere l’impossibile, quello che oggi non appare raggiungibile, ma che non può che essere obiettivo, sguardo oltre l’orizzonte e costruzione quotidiana.
I tempi migliori non si aspettano, si costruiscono.