Scrivere sulla pace non è mai semplice: c’è il pericolo di affogare nella retorica e il pericolo di inerpicarsi per sentieri troppo contorti e difficoltosi. Per evitare rischi, la cosa migliore è limitarsi a poche considerazioni e provare a convincere chi già non lo fosse a partecipare a un evento come la marcia Perugia-Assisi, dove la pace si colloca a metà strada tra un respiro dell’anima e un concreto programma politico. Chi ha già camminato per quel percorso sa bene di cosa parlo, e sa bene quanto sia importante, ai nostri giorni, tornare a legare uno slancio (anche) emotivo di utopia con un’azione politica che per sua natura non accetta di esaurirsi in un mero atto estetico.
La marcia – e non è una novità – cade in un momento in cui ai vecchi conflitti si sommano nuove tensioni. In generale, si avverte oggi che il multipolarismo sul quale tenta di reggersi il sistema di relazioni globali è alquanto fragile e che le leadership politiche protagoniste in questa fase sono sempre più connotate da un carattere aggressivo. Lottare per la pace significa lottare contro le guerre in atto (e sono tante), ma pure contro i rischi di nuove guerre.
Pace: si tratta di una parola che tende a espandersi e a inglobare dentro di sé una vasta gamma di sensi e di sfumature. Si può dire, ad esempio, che la pace non si declini pure come solidarietà tra i popoli, quindi come accoglienza, integrazione, rispetto della persona a 360 gradi? Sarebbe dire un’eresia.
L’errore più grave – ahimé frequente – è dare per scontato ciò che non bisogna dare per scontato: senza pace non c’è giustizia sociale, vale la pena ricordarlo in qualunque sede. Attenzione, però: la pace non è assenza di conflitto. Come ci ha insegnato il filosofo perugino Aldo Capitini, di cui ricorre proprio quest’anno il cinquantennale della scomparsa, la pace può anche essere uno strumento per agire il conflitto. In sintesi, la pace può trasformarsi nell’arma dei deboli. La storia, almeno in parte, ha già comprovato l’efficacia di tale strategia.
Manifestare per la pace serve a immaginare in termini collettivi un altro mondo possibile. Un mondo, forse, che per nascere ha pure bisogno di un sorriso e di un goccia di sudore donati sulle vie che furono di San Francesco. Vi invito dunque ad aderire e partecipare alla marcia di domenica; vi invito a impegnarvi perché la marcia sia un’esperienza di popolo ampia e giocosa, in grado di suscitare l’attenzione della società civile internazionale e, soprattutto, di quelle giovani generazioni che in un imminente domani dovranno far vivere la pace in ogni sua molteplice accezione.