Sarà perché mancano pochi mesi al rinnovo del Parlamento europeo, sarà per il gran tramestio di vecchi sciovinismi rimpannucciati di nuovi sovranismi, tra gli alambicchi degli apprendisti stregoni che prima evocano lo spettro poi si sorprendono quando appare, ma a me l’ultimo film di Yorgos Lanthimos, La favorita, ha fatto tornare in mente la situazione europea.
Così com’è, lo sappiamo, l’Unione Europea non va bene; occorrono più sovranità, più democrazia; meno gioco intergovernativo, meno eurocrazia; superando la logica liberista verso uno stato sociale di rango europeo. Jürgen Habermas offre da tempo riflessioni intelligenti a questo proposito. Basta sapere, tuttavia, che l’incompiuta Europa rimane un destino e un progetto.
Forse qualcuno ricorda le celebrazioni, tanto composte da risultare impercettibili, per i 500 anni dalla riforma luterana (31 ottobre 1517); ma proseguite sino all’autunno scorso. Negli articoli a commento è stato sottolineato come sia tutt’altro che provato l’aneddoto della pubblicazione delle 95 tesi sul portale della cattedrale di Wittenberg da parte del monaco agostiniano, poi traduttore della Bibbia, non senza effetti di alfabetizzazione precoce del popolo tedesco.
In ogni caso a quel gesto, da rileggere nel suo valore simbolico, oggi rivisitato non già come fattore di rottura ma motivo per rinnovate speranze ecumeniche, hanno fatto seguito contrasti radicali, sotto diversi profili, teologici e liturgici, ma anche geopolitici, con abbondante spargimento di sangue, proseguiti poi, ma solo parzialmente conclusi, un secolo più tardi, con la guerra dei trent’anni (1618-1648).
Massacri: non già tra diverse fedi religiose ma all’interno della stessa, cristiana, in una vicenda intrecciata alla contestuale esigenza di distinguere ciò che riguarda la coscienza di ogni persona e ciò che compete allo Stato come casa di tutti. Dopodiché, tra 1652 e il 1763, una fase ulteriore di ostilità lunghe un secolo. In superficie, per motivi dinastici; in profondità, per la lotta egemonica tra le entità nazionali che andavano profilandosi. Da allora la guerra in Europa è stata non l’eccezione, ma la regola. Con ampio corredo di morti e devastazioni, carestie e epidemie. E’ stato calcolato che, tra il 1667 e il 1763, la Francia sia stata in guerra per 53 anni. L’Inghilterra, tra il 1652 e il 1763, per 44 anni. Né ci si può consolare guardando a prima; tra il 1337 e il 1453, un altro secolo di guerre. Il Blitzkrieg è sempre stato un autoinganno.
Ed ecco affacciarsi, dentro questa cornice, la vicenda, umana e politica, di Anna Stuart (Londra, 1665-1714), dal 1702 regina d’Inghilterra, nel pieno della guerra di successione spagnola (1701-1714) contro la Francia. E’ La favorita, regia di Yorgos Lanthimos, ottima sceneggiatura di Deborah Davis, Tony McNamara, un film che mostra bene come quella guerra sia stata combattuta sul continente senza dirette conseguenze sulla vita civile del nuovo Regno, a parte il dibattito sul ricorso a una maggiore pressione fiscale, sorto dall’unione tra Inghilterra e Scozia dal 1º maggio 1707 (e ora di nuovo in forse, a causa della Brexit).
Attraversato precocemente dall’avvio della vita parlamentare; insieme al maturare delle prime garanzie dello Stato di diritto, a partire dall’Habeas Corpus Act (1679), con il riconoscimento, nell’incipiente separazione dei poteri, che spetta all’ordine giudiziario, legittimamente, il compito di decidere su un provvedimento di sottrazione della libertà, non già al potere politico.
La figura di Anna nel pieno delle suoi adempimenti regali, è compresa tra le figure di Lord Marlborough, posto a capo dell’esercito e della moglie, Sarah Churchill, duchessa di Marlborough, Mistress of the Robes, sua consigliera personale. I rapporti con la quale vanno deteriorandosi proprio durante il 1707, sino alla rottura nel 1709. A favore della cugina, baronessa Abigail Masham, reduce da un rovescio familiare, animata da una spregiudicata motivazione a risalir la china.
Yorgos Lanthimos ci ha già introdotto nel labirinto di ciò che esce dai confini, sino a The Lobster. La favorita è il racconto delle umane fatiche di Anna, afflitta dalla gotta, a causa della quale termina prematuramente i suoi giorni il 1° agosto 1714. Apparentemente al centro, in realtà in disparte, assente e malinconica, annoiata e sofferente, chiusa nella sua camera alcova, sede di rapidi consulti politico-diplomatico-militari. Attorniata dai suoi 17 coniglietti (tanti quanti i figli mancati) in una ricerca, tutt’altro che dissimulata, di affettività.
Al vertice del potere, il disagio, l’estraneità, l’inadeguatezza. Tema attualissimo. Nell’intrigo politico, quello interpersonale, nella rivalità tra le due cugine, lungo i corridoi, nella penombra, tra passi felpati, candelabri gotici, camini accesi, gare di tiro, conversazioni sfidanti e tutt’altro che metaforici veleni. Una scena dominata da figure femminili: Anna (Olivia Colman), Abigail (Emma Stone) e Sarah (Rachel Weisz), non senza un saffico triangolo trattato senza pruderie. Proprio nel Regno Unito, invece, il fraintendimento moralistico ha portato a vietare la visione del film ai minori di 15 anni.
Il racconto, à la manière de Yorgos Lanthimos, non si dispone in modo lineare, ma circolare, e ritorna su se stesso, introspettivo, ordinato per stanze, ovvero episodi annunciati da specifici titoli, non senza divertenti e divertite descrizioni della vita di corte, del suo carattere ridicolo, caricaturale, nei balli, nei giochi di società, nei convivi e nei rendez-vous, con sapiente ricorso al grandangolo, così da orientare lo spazio verso l’abnorme, tra gli accenti sulfurei e demoniaci del potere e le banali meschinità del mondo.
Insieme a Roma di Cuaron La favorita è candidato a un gran bottino di Oscar: ben 10. Come andrà a finire lo scopriremo il prossimo 24 febbraio in occasione della consueta cerimonia al Dolby Theatre di Los Angeles.