Prima ancora del Covid il mondo ha vissuto un cambiamento d’epoca, un passaggio storico dovuto alla nascita di nuovi schemi e a una rimodulazione dei tempi delle città, non più scandite dal giorno e dalla notte, ma da un unico grande tempo che prosegue “imperituramente”.
Il Covid ha solo mostrato questo dato, forse andando a enfatizzarne gli aspetti più profondi fra cui quello che viene definito “deficit democratico”; è opportuno chiarire che non stiamo parlando di una formale modifica dell’assetto istituzionale e socio-politico del Paese, piuttosto di quanto sia mutato il rapporto fra i cittadini sovrani e i governanti, ovvero lo stato-comunità.
Siamo in presenza di un lacerarsi dei rapporti di forza, dell’assenza di organizzazioni che sappiano rappresentare i bisogni delle persone.
Potremmo definire questo fenomeno come un assottigliamento, o meglio un appiattimento del diritto al dissenso quasi al limite della derogabilità.
Viviamo in un momento storico dove si politicizza tutto, la libertà d’espressione non è un più l’esternazione di un pensiero che può essere alternativo all’egemonia culturale della moderna borghesia delle élite, bensì è divenuta un campo minato dove si rischia di entrare a far parte di categorie, sfociando spesso nella faziosità del dibattito.
Insomma, oggi non puoi dire che è una questione è complessa e che meriterebbe ben altri approfondimenti, ma devi essere incline a esprimere un’opinione nei 120 caratteri di un tweet.
Oggi i giornali sono la rappresentazione di un pensiero unico, un perenne elogio al leader e non alla leadership, “al tecnico che è il nuovo Messia” la cui parola è fonte di verità e di salvezza.
Ed ecco che accanto all’infallibilità papale nasce un uovo dogma “l’infallibilità del premier e delle lobby” , e da qui nasce un autoritarismo che per certi – paradossali – versi ha anche un non so ché di democratico visto che sembra essere unanime. Eppure come vi può essere l’unanimismo in una democrazia? Una stortura, poiché l’unanimità è un appiattimento del dibattito e del dialogo, una sorta di pensiero egemone forzato.
Allora è necessario interrogarsi su ciò che sta accadendo nel nostro Paese dove gli studenti sono malmenati per il loro dissenso, dove i partiti sono divenuti autoreferenziali e sono incapaci di fare politica.
Oggi la politica è divenuta politicizzazione, un mettere una bandiera su di una battaglia, sui diritti delle persone; non è la creazione di una nuova egemonia, bensì è il perpetuare quella già esistente. I diritti non sono di parte, ma sono di chi li esercita, anzi sono di tutti, è per questo bisogna dissentire da questa narrazione, perché se un diritto diventa di una categoria allora vi è in una discriminante a discapito della collettività.
Per questo è importante il dissenso, poiché ci insegna a discutere e a confrontarci democraticamente e a comprendere che esiste anche il grigio nella complessità delle cose che è immensa.
Garantire il diritto al dissenso, raccontare del dissenso senza inquadrarlo nell’una o nell’altra fazione è democrazia, altrimenti vi è crisi della stessa e servono soluzioni e strumenti per guarirla e il disaccordo, l’opinione critica e apodittica diventano delle medicine.