Una recente ANSA riporta dati Eurostat relativi al 2018. In Campania e in Sicilia quattro persone su dieci (poco meno in Calabria) sono a rischio povertà, hanno un reddito disponibile dopo i trasferimenti sociali inferiore al 60% di quello medio nazionale. Si tratta del livello più alto in Ue. In Campania la percentuale di coloro che sono a rischio povertà è del 41,4% (34,3% nel 2017); in Sicilia è in calo, 40,7%. Se si guarda al rischio di povertà ed esclusione sociale che tiene conto non solo del reddito confrontato con la media nazionale ma anche della grave deprivazione materiale e delle famiglie in cui è molto bassa l’intensità di lavoro, Campania e Sicilia restano le regioni in Europa in cui questa percentuale è più alta. In Campania è a rischio di povertà o esclusione sociale ben il 53,6%, con un peggioramento rispetto al 2017 (46,3%) e il dato peggiore dal 2004. In Sicilia il tasso di povertà è al 51,6%, in calo (52,1%) dal 2017. Quindi mentre migliora il risultato italiano complessivo (dal 28,9% al 27,3%) in Campania la situazione peggiora. Non c’è neanche da ricordare che in Lombardia e a Bolzano i dati parlano di rischio di povertà al 6% o addirittura al 3%.
Solo freddi numeri, o noiose statistiche? Forse. Ma anche ad un profano balza agli occhi una realtà incontrovertibile. Tre regioni (Campania, Sicilia, Calabria) del nostro Mezzogiorno sono, da qualunque punto di vista, tra le più povere di tutta Europa. E la situazione peggiora di anno in anno. È un caso? Un fortuito accidente? Non sarà, hai visto mai, colpa delle pigrizia delle popolazioni del Sud, dello spreco di risorse? Può essere. Quello che è certo che studiosi del calibro di Nitti, Salvemini, Gramsci, Dorso, e poi Morandi, Saraceno, Rossi-Doria, De Martino, Amendola, Chiaromonte, Compagna, Galasso, fin dalla unità d’Italia e fino al secondo dopoguerra e oltre, e recentemente Giannola, Viesti, Sales, e altri, hanno sempre avuta chiara l’esistenza di una questione meridionale.
Il Nord (locomotiva d’Italia secondo le corrive parole di Cacciari e tanti altri), ad avviso di molti studiosi non si salva se il Sud affonda: una gran parte del mercato di “esportazione” delle aziende del Nord è il Sud: se si affossa il Mezzogiorno, si affossa il Nord, si affossa l’Italia. Altro che locomotiva! Vagoni arrancanti, agganciati ad economie davvero trainanti, ad esempio quella tedesca.
Pochi giorni fa la Ue ha inviato una lettera di censura all’Italia: se non verrà mantenuto un adeguato livello d’investimenti pubblici nel Mezzogiorno, l’Italia rischia un taglio dei fondi strutturali. Sono preoccupanti le cifre sugli investimenti al Sud, che sono in calo e non rispettano i livelli previsti dalla regola Ue dell’addizionalità, che garantisce che i fondi strutturali non sostituiscano la spesa pubblica, ma che rappresentino un valore aggiunto, per garantire un effettivo e significativo impatto economico. Da decenni, da sempre, verrebbe da dire, i fondi aggiuntivi europei sono stati utilizzati per il Sud come unici fondi ordinari. Questa è la gravissima colpa, o peggio, dolo, che governi di ogni colore politico hanno nei confronti del Mezzogiorno. La Germania invece in un decennio o poco più, con massicci investimenti di centinaia di miliardi, ha cercato di sanare il gap, enorme, esistente tra la parte Est e la più ricca parte Ovest del Paese, immediatamente dopo l’unificazione!
Anche Peppe Provenzano, neo-ministro per il Sud, ha ammesso queste difficoltà e ritardi; e, sia pure a denti stretti, si è detto contro l’idea di autonomia differenziata delle più ricche regioni del Nord. Già, perché questi freddi e noiosi dati Eurostat, non possono non far pensare a cosa starebbe per accadere in Italia. Una “legalizzazione” dell’esistenza di regioni ricche e regioni povere; se da un lato si cerca di unire il paese, rendendo meno distanti economicamente e socialmente i suoi territori, le egoistiche richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia, legano i diritti ed i servizi ai cittadini ad una presunta ricchezza “territoriale” che non esiste in nessuna formulazione o legge dello stato. Il gettito fiscale di un territorio diventerebbe un indicatore dei suoi fabbisogni. Una vera e propria secessione dei ricchi. Bisogna cambiare registro. Stop alle eversive richieste delle regioni del Nord; perequazione immediata, e rilancio di un significativo progetto di sviluppo per il Sud.