Quando a maggio Enrico Letta propose di fare delle Agorà lo strumento per rifondare il campo progressista dicemmo subito che ci interessava quello spazio.
Perché la generosità non è semplicemente una cosa che va ripetuta nei comizi, ma va praticata nella realtà.
Dove c’è uno spazio per fare politica e far vivere il punto di vista di una sinistra democratica e del lavoro noi dobbiamo provare a occuparlo.
Quello che manca alla sinistra italiana da tanto tempo è la battaglia delle idee, è una sana competizione sui contenuti, è la riscrittura di un patto con i ceti perdenti della globalizzazione.
Si deve ripartire da qui se vogliamo parlare di Agorà e di come starci.
Le questioni organizzative sono la conseguenza del tipo di profilo politico che decideremo di assumere.
Siamo nati per generare il seme di una sinistra plurale e larga, non semplicemente per attaccarci al carro di una variante sbiadita della destra, magari più educata e attenta ai diritti civili.
Il Partito democratico – lo dico con rispetto per chi ci ha creduto, io mai – è nato purtroppo su una lettura ottimistica del rapporto tra stato e mercato, su una visione della crescita che faceva poco i conti con l’irruenza dei cambiamenti climatici, con la potenza dei processi migratori, con la rivoluzione tecnologica nel lavoro, con la crisi della liberalizzazione del commercio globale e il ritorno di una domanda di protezione.
Era uno spostamento oggettivo al centro, nell’illusione che le classi medie avrebbero retto l’urto dell’allargamento europeo e della finanziarizzazione dell’economia reale.
C’è stato invece uno schianto delle classi medie e il prevalere di un populismo nazionalista, spesso persino fondato su basi etniche, che ha preso la bandiera della questione sociale e azzerato lo spazio di manovra di una sinistra pigra e conformista.
Basta vedere le mappe del voto per capirlo e ragionare su che fine ha fatto la sinistra di matrice socialdemocratica nei principali paesi europei dove o è scomparsa o nella migliore delle ipotesi è diventata junior partner delle formazioni conservatrici e liberal-democratiche in governi di unità nazionale.
In Italia questa trasformazione, con la leadership di Matteo Renzi, ha prodotto l’accelerazione di un vero e proprio cambio di ragione sociale, sradicando qualsiasi forma di appartenenza al mondo del lavoro pur trasformato.
Bisogna ripartire da questa analisi se vogliamo lavorare perché lo sbocco delle Agorà divenga quello di un nuovo soggetto politico utile al paese.
E agire di conseguenza.
Se è uno spazio aperto serve che Articolo Uno ci investa seriamente, con la propria organizzazione e le proprie idee per spostare rapporti di forza, costruire una piattaforma egemonica, non posizionamenti di corrente.
E’ dunque una guerra di movimento, non di posizione per tornare ai fondamentali.
Vuol dire che persino la dimensione digitale – ce lo insegna la sorpresa che ha suscitato il successo della raccolta delle firme on line sulla cannabis legale – può aiutare a mobilitare forze sane e giovani, fuori dagli schemi notabilari e correntizi.
Perché per invadere un campo e cambiarlo dobbiamo coinvolgere quella sinistra diffusa e dispersa che se ne sta a casa e che non ha più luoghi di discussione e di confronto.
Come è evidente, da soli non bastiamo.
La nuova alleanza progressista ha una forza e una possibilità di vincere se c’è una sinistra che non ha paura delle proprie bandiere.
Dovremo discutere insieme nei nostri organismi, all’indomani delle amministrative, cosa mettere sul piatto nel campo delle Agorà.
La priorità si chiama lavoro: chiudere con la stagione del precariato e dei bassi salari, riportare democrazia nei luoghi di lavoro con una legge sulla rappresentanza, alimentare un piano nazionale di assunzioni fortemente aiutati dalla mano pubblica attorno alla sfida dei green jobs.
Torna centrale un’iniziativa sulla leva fiscale che fa i conti con il principio della progressività e della generalità: non bisogna avere paura di un’imposta sui patrimoni alti come c’è in tutto il mondo per finanziare il welfare e sottrarre i beni comuni alla logica del profitto.
Decisiva è infine una battaglia per la riabilitazione della politica, come strumento di autonomia dagli interessi forti, dalla corruzione diffusa, dall’idea che sia soltanto un viatico di accreditamento individuale.
La politica – e dunque la sinistra – deve riacquistare potere di scelta, mentre anche in questa stagione appare soltanto costretta a inseguire un vincolo esterno imposto in luoghi liberi dalla sovranità popolare.
Siamo in una stagione dove la dimensione ideologica riprende piede in maniera potentissima.
Ce lo spiega innanzitutto l’America, dove le fratture provocate dal trumpismo hanno ripoliticizzato l’intera società.
O la sinistra italiana si propone di ripoliticizzare il proprio campo e restituirgli una missione collettiva oppure sarà la destra a rimettere la politica – la sua politica – nel dibattito pubblico. E a prevalere.
Useremo le Agorà per fare e dire queste cose con il coraggio che ha contraddistinto la nostra impresa collettiva in questi anni difficili.
Ci interessa influire, non confluire.