Ci capita spesso di dire che nulla di nuovo e di concreto può nascere per semplice aggregazione, tanto più dal basso. Non perché non amiamo la base, i militanti, i dirigenti di circolo, le persone che sono appassionate di politica e vogliano fare qualcosa di utile. Al contrario. Senza la passione dei tanti (tra cui ci siamo noi, basisti per definizione) un progetto nemmeno riesce a partire. Tuttavia il progetto ha bisogno di verticalità, e non dopo, ma prima, sin dalla sua costituzione iniziale ed essenziale. Non è leninismo d’antan, è semplice adesione ai fondamenti della modernità, che si costituì attorno a due elementi essenziali: il soggetto e la ragione. Entrambi, non solo l’uno o solo l’altro. Il soggetto è l’elemento attivo che imprime una direzione, la ragione invece garantisce criteri, paradigmi, tutto ciò che in qualche modo possa costituire una mappa utile e una base comune all’attività di ricerca e al lavoro svolto dal primo. Peraltro, il soggetto senza la ragione si riduce a puro vitalismo e a lotta per la sopravvivenza o per il godimento e i piaceri. La ragione senza il soggetto agisce, invece, come semplice ragione operativa, procedurale o strumentale. Tecnica insomma, tal che viene a mancare la capacità critica, la lotta tra le opinioni, la battaglia tra i fini, e tutto è ridotto al ‘fare’ strumentale di mezzi che riflettono su se stessi e ci ‘riflettono’.
Il soggetto (sia esso individuale o collettivo) è la verticalità. È la cosa che imprime una direzione, che produce un salto di qualità, che trascende, che consente alla politica, per dire, di essere politica e non un happening di comunicatori. Senza il lavoro di un soggetto (un partito, un’organizzazione) la società, che è già di per sé percorsa dalle singolarità, si denuda, è presa dalle pulsioni, si dilata orizzontalmente, si disperde in un magma di voci e di comportamenti senza più un tragitto né una meta o una finalità. Mancano i simboli (linguaggi, forme, ideologie, oggi si dice anche narrazioni) attorno a cui organizzare culturalmente e materialmente le forze sociali. La crisi della sinistra non è frutto degli errori di qualcuno, pur commessi, ma della crisi prodotta da questo scenario, dalla fine di un soggetto capace di formare, orientare e indirizzare comportamenti, azioni, pensieri, flussi. Senza questo soggetto la società e l’economia si tecnicizzano, si pensano in modo autoreferenziale, enfatizzano i mezzi e ottundono i fini, così che scompare la politica come grande lotta democratica tra forze e opinioni diverse e in conflitto. Ma scompare, con ciò, anche la politica come grande ‘sistema’ di coesione e mediazione. Entrambi le cose insomma.
Lo sappiamo che da decenni si parla di crisi della modernità, del soggetto, della ragione. Siamo i primi a dire che la tarda modernità è il grande spazio storico in cui la soggettività è venuta a mancare, o almeno si è manifestata in forme eterodosse. Difatti è così: la crisi del soggetto (che da trent’anni almeno è la crisi del soggetto collettivo per eccellenza, il partito politico) potremmo definirla tout court la crisi della capacità di dare forma alle pulsioni sociali, di verticalizzarle verso le istituzioni e la rappresentanza. Una crisi della politica che è alla base della crisi della sinistra, incapace di essere e di pensarsi fuori di questa modalità. Certo, ci sono state alcune risposte “innovative” (partiti loft, liquidi, aziendali, personali, populisti, microscopici, del Capo, Comitati elettorali, contenitori spuri, movimenti sparsi, liste volanti) ma gli esiti sono sotto gli occhi di tutti: fallimentari. Quindi il tema del soggetto torna a proporsi con radicalità, altro che. Talmente ineludibile che, fintanto sarà ignorato o ritenuto fuori moda, la mosca in bottiglia della sinistra faticherà a trovare una via d’uscita. ‘Che fare’, quindi, torna a essere la domanda delle domande, la domanda della politica. In alternativa all’affermazione tipica della tecnica, tutta centrata sul “Fare”, dove il ‘che’ è del tutto espunto – e ‘che’ indica la cosa da fare assieme al ‘chi’ deve farla. Il soggetto, ancora una volta.
E veniamo al partito, soggetto per antonomasia. Ripetiamo spesso il seguente falso paradosso: “per fare un partito, serve un partito”. È come se dicessimo: “per fare un soggetto, serve un soggetto”. Vuol dire che, se non c’è qualcosa (di collettivo) capace di dirigere e orientare il percorso, nessun percorso, per quanto ricco di pensiero e di prassi, potrà produrre effetti concreti, e tutto si ridurrà a un mare sparso di buona volontà, e a molecole che rotolano imperterrite sul piano inclinato. Perché quello è un falso paradosso? Perché il soggetto iniziale è come se fosse ‘a termine’, come se il suo compito fosse quello di negarsi in vista di un partito-scopo plurale, democratico, largo, frutto del percorso effettuato. Un soggetto che si nega in vista di un soggetto che si afferma. Ci vorrebbe, nel caso, una classe dirigente pronta a promuovere il processo dall’alto, a raccogliere dirigenti e militanti, a farsi strumento di uno scopo, per poi disciogliersi in esso, facendo progressivamente spazio alla classe dirigente che verrà. Qui è il ‘medesimo’ che nasce per divenire ‘altro’ da sé e riconoscersi infine nell’altro.
Ripetiamo: c’è una crisi della modernità, della ragione, del soggetto. Se siamo a questo punto non è per un caso. L’epoca è questa e le trasformazioni sono epocali, non contingenti. Questo quadro di crisi radicale e di grandi trasformazioni ci è ben chiaro. Ed è visibile proprio nella crisi della sinistra, che rappresenta in toto la modernità e ne è un riflesso chiaro ed evidente, e per la quale il soggetto è il partito e la ragione sono le istituzioni. Eppure proprio per questo dovrebbe essere altrettanto chiaro che si tratta di lavorare sulle condizioni di un rilancio politico di questa parte politica, sulla costituzione di un soggetto che preluda a un partito nuovo, largo, plurale, e non si chiuda a riccio geloso della propria minuscola identità organizzativa. Serve una molecola che aspiri a diventare un corpo politico, che aggreghi, che dialoghi, che produca sentimento diffuso, prodromi di comunità, che si apra, che avvii una riflessione, che sviluppi una prassi, che si faccia riconoscere, che non si trinceri dietro una rocciosa identità.
Eccolo il soggetto che serve a far nascere un soggetto. Badando però a questo fatto incontrovertibile: se tutto ciò non si fa, o non sarà possibile farlo per ragioni epocali, se non si rimetterà in piedi un soggetto-partito nuovo dotato di forza politica, rappresentativo, autorevole, e si ripiegherà ancora sul loft, sulla lista occasionale, sul micro-partito identitario, sul Capo, sulla tecnica, sui media, allora il destino sarà compiuto e dovremmo davvero farcene tutti una ragione. Serve una visibile inattualità, una discontinuità, serve andare controcorrente. Se non lo fa la sinistra, se non siamo noi gli inattuali che vogliono rompere lo schema storico-ideologico che oggi intabarra la democrazia e la sinistra, se non siamo noi a esercitare la critica, a togliere il velo, a fare la battaglia egemonica, a indicare il nuovo, a volere il cambiamento radicale, persino anti-epocale, chi altri dovrebbe farlo?