Si direbbe il più grande equivoco che non c’è mai stato.
Il settimanale liberista britannico The Economist ha pubblicato questo mese un pezzo di copertina dove mette accoratamente in guardia contro il pericolo di una sinistra illiberale, definendo il bolscevismo come un tumore e descrivendo l’ultimo quarto di millennio come 250 anni di Paradiso portato in Terra grazie al liberalismo.
L’editoriale dà l’altolà, quasi in modalità chiamata alle armi, all’assedio di presunti socialismi alle porte che metterebbero a repentaglio la quiete dell’Eden globale odierno, condannando senza appello persino l’apertura, oltreoceano, da parte del Democratic Party, alla nuova ala più progressista, radicale, rappresentata dai Sanders e Ocasio-Cortez, ignorando o fingendo di non cogliere che non s’è comunque trattato d’una gentile concessione o apertura di credito bensì, per usare un’espressione meno aliena all’Economist, di un’OPA a furor di popolo che non ha fatto completamente saltare il banco e vedere Bernie Sanders candidato Presidente solo per la levata di scudi nello spazio di una notte di tutti i candidati alle primarie democrat, che han fatto scudo umano imbastendo cordone sanitario protettivo a favore dell’ala più tradizional-moderata rappresentata da Joe Biden.
Il già direttore del settimanale, Bill Emmott, in un’intervista a Repubblica rincara la dose, arrivando a dire che la presa di coscienza e di parola degli studenti radical nelle università statunitensi (che han votato Sanders) porrebbe limiti alla libertà di parola – un paradosso, ingiustificabile anche con l’anti-narrazione della cancel culture – e sarebbe un pericolo per la democrazia. In un “mondo ideale” di Emmott questi sostiene che a confrontarsi nell’agone politico dovrebbero trovarsi solamente liberal-conservatori e liberalsocialisti come, per andare nel Regno Unito, John Major e Tony Blair, un confronto dove è cristallina la comune matrice (liberalismo) ma va a dissolversi nell’invisibile il cosa potrebbe mai distinguere la proposta politica, non a caso scritta al singolare.
Se tutto questo par proprio come un grosso, grassissimo equivoco, almeno egualmente eclatante è il rilevare come il socialismo sia tutt’altro che alle porte, tantomeno il comunismo di foggia bolscevica. Sorprende come sembrerebbe ignorarsi che in euroccidente “socialista” è a tutt’oggi considerato un insulto irripetibile nei salotti bene e televisivi al di là dell’Atlantico, mentre al di qua negli ultimi decenni i pochi successi elettorali continentali sono stati raccolti, in quel campo, da versioni sterilizzate e invero sterili del socialismo irreale della Terza Via, da Blair a Schröder, mentre in Italia, Paese dove più grande fu il successo di un partito comunista pur adulto e vaccinato, anche infine contro il virus dello stalinismo, s’arrivò a milioni di tessere e voti ma mai, per un sol giorno in decenni, al sol dell’avvenire di un Governo. Un equivoco, insomma, perché non c’è mai stato potere, quindi oggi men che mai pare esserci pericolo, ed equivoco è sostenere come la sinistra debba tornare moderata: semmai deve diventare definitivamente sinistra e dunque radicale, più urgentemente che mai in un mondo radicalizzato, per rispondere agli stravolgimenti e alle stragi – vedi clima, vedi covid e conseguente divaricazione delle disuguaglianze – e poter pensare di prendere dopo la parola il potere, e più come verbo che come sostantivo. Ancora oggi quel potere è di là da venire, e a ben vedere il pericolo di una sinistra illiberale non si pone poiché la sinistra, se è liberale, non è più (o non ancora, a seconda delle prospettive), affatto sinistra. Neppure la sinistra più estremista ancora poi, quella che potremmo definire proto-ideologica, conservatrice nel suo ostinatissimo attaccamento all’irrilevanza e ineleggibilità può di per sé costituire un pericolo democratico, visto l’Aventino perpetuante in luogo della Rivoluzione: da ultimo, alle incipienti amministrative è il consueto delirante, deleterio e deprimente disastro, e solo a Roma a sinistra di Sinistra Civica Ecologista, lista con programma radicale ma entro la ragionevolezza di un’unità coalizionale più ampia, vi sono ben sette candidati sette della sinistra sinistrissima, e nonostante il numero nessuno sarà Re di Roma, tantomeno Sindaco, ma neppure consigliere di quartiere. Figurarsi assalitore del Palazzo d’Inverno. E c’è un ulteriore, ultimo (ma non per rilevanza) equivoco nelle esternazioni di Economist ed Emmott: il fatto che il radicalismo sia un pericolo, mentre il riformismo moderato, con dibattito sterilizzato e silenziato, conflitto messo in soffitta e confronto messo alla porta, l’unica opportunità possibile. Perpetua. La stessa da 250 anni e per 750 ancora. Almeno.
Anche meno.