Il futuro in noi e la rete sotto di noi. Internet un servizio essenziale e eguale

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Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada, scriveva Rainer Maria Rilke.

In questi giorni, settimane, mesi e per quelli a venire un acido ribonucleico, più noto come mRNA, sta entrando in noi. Mi riferisco agli innovativi vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna, i primi al mondo ad utilizzare questa tecnologia.

Questo è stato reso possibile grazie al progresso umano, che è capace di cose indicibili a velocità insuperabili: quando si pensava (sperava) al vaccino a inizio pandemia si diceva sarebbe occorso come minimo un anno e mezzo prima che un primo vaccino venisse realizzato, il che vuol dire che al massimo della velocità prevista per quella che era la stima più rapida allora pensabile, il vaccino per il coronavirus sarebbe arrivato… a settembre, prossimo. Pensiamo ai morti: a quelli che ci sono stati, a quelli che stiamo evitando, e tutti quanti quelli che ci sarebbero stati di qui a settembre e nei mesi a venire finché il vaccino non fosse stato approvato e diffuso.

Invece, grazie anche al lavoro sull’editing del genoma umano fatto con CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) da due ricercatrici che non a caso a fine 2020 sono state insignite del premio Nobel per la chimica, Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier questa nuova tecnologia è qui con noi.

New York City, 28 ottobre 1914, da una famiglia di immigrati ebrei russi nasce il piccolo Jonas, che passa la sua infanzia sballottato tra catapecchie di Harlem, del Queens e soprattutto del Bronx. A lui torneremo tra un momento.

Porto, 8 maggio 2021, i capi di governo dell’Unione Europea si incontrano nei giardini del Palácio de Cristal. Decidono di non decidere, e quindi dato che in Europa come in Senato l’astensione vale voto contrario, i vaccini rimangono affare privato.

Ne avevo personalmente scritto sull’HuffPost Italia qualche settimana fa: liberalizziamo i brevetti dei vaccini.

A sorpresa poi era arrivato anche l’annuncio, in tal senso, del Presidente Joe Biden, accolto con favorevole stupore dall’OMS, con funereo spiacere da Big Pharma.

Sembra una sparata populista (poco male, anzi), e in fondo abbiam tutti talmente introiettato una sindrome di Stoccolma tale, nei confronti di capitalismo e neoliberismo, di mercato e profitto, che ci sembra lunare, lontanissimo, irraggiungibile poter fare una cosa del genere, poter privare il privato del profitto per salvare un pianeta, delle persone, mentre altrettanto assurdamente ci pare perfettamente logico, inevitabile, ineluttabile che la casa farmaceutica che sta vendendo e rivendendosi più vaccini, la Pfizer, alzi il prezzo degli stessi in maniera esponenziale più e più volte, così come le sue proiezioni di profitti senza freni, e già che ci siamo – perché no – s’avventuri in previsioni (senza dati certi, ma ci si porta avanti col guadagno) della necessità di venderci richiami su richiami dopo 12 mesi, magari dopo 6, forse addirittura ogni 4. Ad libitum

Ammassando miliardi. Ammassano i morti intanto, meganazioni in ginocchio come l’India a cui manca l’ossigeno, e peccato allora che Big Pharma non abbia brevettato anche quello. In fondo, con i miliardi di dollari e d’euro con cui Stati Uniti e Unione Europea – dunque noi, ma per carità, guai a riprenderci ciò che è nostro per salvarci la vita, mercato e Merkel non approvano – hanno finanziato proprio la ricerca su questi vaccini, se lo sarebbe potuta permettere.

Noi invece non possiamo proprio più permetterci di lasciare il terzo e quarto mondo morire soffocati dai soldi di 3 o 4 megacompagnie farmaceutiche. Mi pare talmente lampante che forse ci ha accecato e non riusciamo a guardarlo dritto in faccia, come il sole, ma se questa pandemia servirà a sconvolgere e ribaltare qualche paradigma, che questo sia prima di presto, che non c’è più ossigeno né tempo.

Università del Michigan, 12 aprile 1955, l’annuncio ufficiale al mondo: abbiamo il vaccino per la poliomielite. Un giornalista chiederà a Jonas chi avesse e potesse quindi far maggior profitto dal brevetto della sua scoperta. La risposta:

«La gente, suppongo. Non c’è brevetto. Si può brevettare il sole?»

Non si può per fortuna, Jon, come l’ossigeno, come la vita.

Passiamo dalla scienza alla politica, cui ho maturato sguardo come due cose più simili di quanto si possa anche qui pensare: in fondo, entrambe sono l’arte del possibile.

Prima di tutto permettetemi di ringraziare quanti tra noi qui oggi sono parte del dipartimento Innovazione, democrazia digitale e nuove tecnologie di Articolo Uno, al quale potete unirvi in qualsiasi momento e che lavora ormai da due anni con risultati importanti tra cui DiGiTALiA, il nostro manifesto che abbiamo coelaborato l’anno scorso, e poi sulla scorta di quel lavoro gli Stati generali dell’Innovazione, una due giorni i cui panel potete ritrovare sul nostro canale YouTube.

E venendo alla politica, ritorniamo al futuro: il mondo è cambiato perché il distanziamento ci ha digitalizzato. Si tratta di un futuro ancora ignoto che va scoperto senza lasciarci scoperti, sguarniti in un far west dove corriamo a velocità di connessione sempre più alte, un po’ con gli stessi paraocchi dei cavalli, alla cieca perché il futuro è per definizione ignoto, ancora senza regole. Un selvaggio west, un selvaggio futuro senza sceriffo dove rischiamo di finire tutti indiani in una enorme riserva grande come il web. Guardate, voglio semplificare sino alle soglie della banalizzazione: passando da Big Pharma alle Big Four (GAFA) si dice: ah, le Big Four rubano i dati, ah, non pagano le tasse, ah, i diritti dei rider fagocitati dall’algoritmo ad un ritmo più alto di quello con cui noi fagocitiamo quella cena.. ma tutte queste cose le decidiamo noi. Le possiamo e dobbiamo decidere noi.

Le leggi. Che facciamo Noi, il popolo, per citare la carta fondamentale del Paese delle Big Four e di molta Big Pharma: We, the people.

E non solo le regole possiamo e dobbiamo fare noi, ma le reti.

Le reti stesse attraverso cui passano tutte le regole che solo noi possiamo e dobbiamo stabilire.

Le Reti o la rete, la rete unica.

Draghi non sembra orientato ad avallare un progetto che noi dobbiamo pensare prudentemente come avventato, quantomeno, di un operatore, de facto monopolista, verticalmente integrato. Vedete lo dice la parola: verticalmente integrato, verticale, noi preferiamo un approccio orizzontale, paritario, egualitario, insomma una rete di sinistra, o del popolo, se preferite, dove per popolo per si intende proprio tutto, nessuno indietro, staccato, escluso, scollegato. Nessuno che resti nel passato. Perché senza la concorrenza, parola che pure non ci appassiona in sé, non si cominciava a stendere fibra… se venisse a mancare, potremmo cessare di vederne stesa dell’ulteriore.

E invece serve tutta, per tutte e tutti. Noi non vogliamo un po’ meno digital divide, o anche solo un po’ di digital divide rimanente, pochino: no. Noi non lo vogliamo per nessuno. Di territorio nazionale scoperto dalla banda larghissima non ne vogliamo più un metro, e su questo non cederemo di un millimetro.

Il Ministro Colao s’è detto “laico rispetto alle tecnologie”, includendo nei suoi piani il Fixed Wireless Access in gran quantità per (non)coprire il Paese. Eh no. Noi non vogliamo cittadini un po’ più disconnessi, un po’ più diseguali, un po’ più divisi, di serie B, di area C, di connessione D. Perché i cavi in fibra sono come i tubi dell’acqua: “evabè, lì è troppo distante arrivarci” e invece no, bisognava arrivare ovunque, quando s’è fatta la rete idrica, e ci si è arrivati. Perché dove c’è futuro è lì che dobbiamo andare, e le tecnologie devono essere future-proof, come è la fibra ottica che è scalabile, espandibile, e che non solo trasporta il futuro ma, insomma, lo è: quello che ci unisce, per dirla con la nostra due giorni.

Il pubblico è in Rete, deve aver diritto ad esserci, un diritto del popolo che non dev’essere disparo, non dev’essere diseguale, dev’essere scritto in un’altra carta fondamentale, questa volta la nostra, la Costituzione: noi lo proponemmo per primi lo ius soli digitale e il diritto alla connessione in carta costituzionale, poi l’ha fatto Conte, quando era Presidente del consiglio, da ultimi gli stessi Draghi e Colao. Ecco, a quanti ci han “seguito” oggi diciamo: diamo seguito, spostando l’accento e ponendolo sull’attuazione di principi che in realtà, a ben vedere, nella Costituzione sono già scritti, vedasi all’Articolo 3: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Lo diceva non un padre costituente ma un padre di Internet come Vint Cerf: “Internet sarà ubiquo e naturale, come elettricità ed acqua”, e questo mai come in questa pandemia abbiamo visto come servizio essenziale, e noi vogliamo che se è come è essenziale sia eguale.

Nel piano nazionale di ripresa e resilienza che abbiamo consegnato il 30 aprile il 27% delle risorse, di quei 200 e rotti miliardi, sono per il digitale, dunque non solo si può fare, non solo si deve, ma se non lo si facesse sarebbe più cretino che cieco.

Noi invece terremo gli occhi aperti e le antenne accese, 5G o meno, per ricevere e trasmettere tutto quello che ci unisce, chiudendo gli occhi a quel che ancora ci divide, aprendo le porte al futuro che per ridirla con Rilke, che d’altra parte rileggo spesso, entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada.

David Tozzo

Presidente nazionale di ACORN Italy, prima "organizzazione di comunità" in Italia parte della più importante federazione per il diritto dell'abitare al mondo, membro dell'Organizers Forum, translinguista (per l'ordinamento britannico, Professore di lingua e letteratura inglese), già collaboratore del MIUR, scrittore, autore di sette saggi, già delegato nazionale di Liberi e Uguali e candidato Segretario nazionale di Possibile.