Nella notte di venerdì 22 aprile, dopo 16 ore di contrattazione tra i rappresentanti delle tre istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio), è stato raggiunto un accordo politico storico nella regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche: il Digital Services Act (Dsa).
La legge costituisce un punto di riferimento per la difesa dei diritti digitali e il controllo democratico degli algoritmi che decidono cosa mostrarci sui motori di ricerca, piuttosto che sui social network: grazie alle nuove regole europee, i big mondiali della tecnologia dell’informazione (Google, Facebook, Instagram, Twitter) potranno essere costretti a modificare gli algoritmi pericolosi per i diritti, la democrazia e la salute pubblica.
Le aziende dovranno valutare l’impatto dei loro algoritmi e pubblicare rapporti annuali su come intendono minimizzare gli effetti negativi di essi sui loro utenti. In caso di eventi estremi, come guerre e pandemie, dovranno presentare resoconti straordinari e la Commissione potrà intervenire direttamente prescrivendo alcuni obblighi direttamente alle piattaforme. Chi non rispetterà queste regole rischierà di incappare in multe pari fino al 6 per cento del proprio fatturato. Per fare qualche esempio concreto per noi utenti, sarà reso più ferreo l’obbligo di bloccare la diffusione di contenuti illegali, come la pedopornografia e i messaggi terroristici. Le piattaforme non potranno escludere gli utenti dai social network senza avergli dato la possibilità di rispondere alle accuse.
Mentre in Europa si approvava il Dsa, Oltreoceano negli stessi giorni si chiudeva l’accordo con il quale Twitter accettava l’offerta di acquisto dell’imprenditore Elon Musk, per 44 miliardi di dollari. L’obiettivo del miliardario sudafricano è quello di trasformare uno dei social network più famosi in un baluardo della libertà di espressione, cancellando di fatto decenni di studi ed eventi che evidenziano come la totale libertà lascia spazio ad attori malintenzionati, di fatto riducendo quella stessa libertà. Dopo un piccolo scambio di battute in merito con Thierry Breton, commissario europeo al mercato interno con focus sul digitale, Musk ha aggiustato il tiro, dichiarando che intende come libertà d’espressione tutto ciò che rientra nel perimetro di quanto stabilito dalla legge. Insomma, il nuovo proprietario di Twitter non esordisce nel migliore dei modi, esplicitando una visione da dilettante nella gestione dei social media: ancora legato a una visione del “free speech” non solo superficiale, ma già sconfitta dalla storia. Basti ricordare che l’incitamento alla violenza tramite piattaforme digitali ha avuto negli anni le conseguenze peggiori probabilmente in Myanmar, dove i post incendiari circolati sui social network e le piattaforme di messaggistica avevano contribuito a scatenare la violenza nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya.
Il Dsa è una bella notizia, a dimostrazione del fatto che l’Unione europea ha deciso di affrontare le aziende che hanno stravolto le nostre società, nel bene e nel male, e sembra determinata a tenere il passo con gli sviluppi tecnologici. Risolverà tutti i problemi della disinformazione? No, in quanto le dinamiche del sistema mediatico attuale, la crisi dei media tradizionali, la ricerca del clickbait a tutti i costi e del sensazionalismo, che sfocia in un livello di dibattito sempre più brevilineo, poco informato, polarizzato e a tratti imbarazzante, sono dei tratti ormai strutturali del sistema informativo globale. Questa iniziativa europea però potrebbe essere presa come esempio dai governi nazionali? Dalle amministrazioni locali? Assolutamente sì: basti pensare se anche la PA fosse tenuta a valutare l’impatto degli algoritmi e dei modelli che si usano sempre più spesso per gestire i servizi per i cittadini. Iniziamo a lavorare ad un Patto Sociale per la società digitale, come quello proposto da Francesca Bria, presidente del Fondo Nazionale per l’Innovazione, che sfrutti al meglio le nuove tecnologie, garantendo la sovranità sui dati, standard etici sugli algoritmi ed i diritti fondamentali dei cittadini, dei lavoratori, dell’ambiente e della parità di genere. La strada giusta sui tavoli europei è appena stata imboccata, ma è ancora lunga e in salita.