Il classismo in quegli insulti alla Meloni: un allarme rosso per la sinistra

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Hanno fatto molto discutere – e giustamente – le frasi usate dal professor Gozzini nei confronti di Giorgia Meloni. Una selva di insulti volgari e irripetibili. Fossi in lui non so se uscirei di casa per qualche settimana.

La solidarietà è un atto dovuto – bene ha fatto il Presidente Mattarella a telefonare immediatamente alla Meloni – e non serve nemmeno specificare che essa si dà al netto delle distanze politiche dalla leader di Fratelli d’Italia. Ci mancherebbe pure.

Il punto è riflettere sull’origine di tanto odio, su come sia potuto passare dall’anticamera del cervello di questo illustre docente una tale sfilza di improperi, tutti – chissà perché – tesi a sminuire la Meloni, ridicolizzandone il profilo professionale, paragonando il suo tono di voce a un pescivendolo piuttosto che ad altri lavori considerati “umili”. Soprattutto perché a vomitare queste fesserie è chi molto probabilmente compila una dichiarazione dei redditi che anche in questo anno difficilissimo della pandemia non ha subito grandi variazioni. Solo dopo, in questo delirante monologo radiofonico, ha preso piede un certo fastidio, condito da espressioni inaccettabili, verso una donna che dirige un partito politico nazionale della destra, senza alcun timore reverenziale verso i maschi. Dopo, non prima.

Perché dico questo? Perché a me sembra che contro la Meloni emerga più un pregiudizio di classe, che un pregiudizio sessista.

Intendiamoci le cose magari alla fine finiscono per marciare insieme, ma in questo caso l’una viene prima dell’altra. E questo mi preoccupa ancora di più.

Perché se questo è quello che pensa un intellettuale progressista – o presunto tale – vuol dire che il problema di questo paese comincia ad essere un pezzo della nostra constituency politica ed elettorale.

La stessa che ha scambiato come barbari i grillini che prendevano i voti nelle periferie lasciate sguarnite dalla sinistra convertita al liberalismo, soltanto perché non sapevamo usare i congiuntivi come si deve. Quella che da tempo scambia la critica alla destra come una questione di bon ton e di galateo piuttosto che di contenuti.

Ma se la sinistra si limita a essere soltanto una escrescenza moralistica non serve a nulla. Resterà solamente la proiezione di una classe separata da un pezzo grande di società che si sentirà giudicata da chi le mette i voti sul modo di parlare, di vestire e di consumare.

Questo non ci aiuta a capire le cause che la spingono a destra. Voglio sperare che Gozzini sia la minoranza della minoranza. Ma, almeno per me, oggi è scattato l’allarme rosso.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.