Un congresso è merce rara di questi tempi. Per questo Articolo Uno va ringraziato. Per aver dimostrato, con il suo congresso, che la politica è innanzitutto avere uno sguardo sul mondo, sulla sua complessità. E che i partiti non sono né vecchi arnesi del passato né comitati elettorali ad uso e consumo di un capo, ma il luogo fondamentale in cui costruire e condividere un pensiero.
E non era scontato che un partito dedicasse un pezzo importante della propria discussione a noi, alle giovani generazioni. A chi oggi ha tra i venti e i trent’anni: la generazione delle grandi contraddizioni.
La prima cresciuta senza il racconto diretto della guerra, nata dopo la caduta del muro di Berlino, quella che andava a Londra con la carta d’identità. La stessa che ha subito la Brexit e che vive la paura di una guerra nel cuore dell’Europa.
La generazione cresciuta con il sogno della rivoluzione digitale e che oggi fa i conti la paura delle tecnologie, della quantità di lavoro che riducono, della scarsa qualità del lavoro che producono.
Le ragazze e i ragazzi più formati della storia che tuttavia riescono ad entrare nel mondo del lavoro solo con il contagocce. Quelli per cui un giusto salario è diventato un privilegio.
Una generazione che vive nella costante sensazione che il futuro non sia più nelle sue mani, ma messo in dubbio da cose enormi: pandemia, guerra, globalizzazione incontrollata. Cresciamo con la convinzione che se ti comporti bene, studi, ti impegni, potresti comunque non essere al sicuro. Significa vivere a vista. E così non si vive.
Questa è la fotografia del mondo visto dalla nostra angolazione. Di fronte a questa fotografia c’è bisogno come non mai di una sinistra che si batta per ridurre le diseguaglianze: quelle sociali, quelle territoriali, quelle di genere, ma anche, soprattutto, quelle generazionali.
Viviamo e siamo parte di una società fragile, distratta, a tratti troppo egoista. Una società che se, nei valori, non si eleva a sinistra, si rifugerà, con preoccupanti vuoti di memoria, a destra. Nella peggiore destra.
La pandemia da questo punto di vista ci ha insegnato tanto. Ci ha aiutato a rimettere al centro il valore della collettività. Dell’impegno comune, dei beni comuni. Ci ha dato la consapevolezza che nessuno può far fronte alle grandi sfide del nostro tempo da solo.
Vale per un Governo, che ha lottato in prima linea contro una pandemia, ma che nulla avrebbe potuto senza la collaborazione di ognuno di noi, di ogni singolo cittadino. Vale per noi, che da soli non bastiamo. Vale per i partiti del nostro campo, tutti, che da soli non bastano. Che hanno il dovere di ripensarsi e riorganizzarsi per parlare con il tanto che c’è fuori da loro.
Quanta sinistra riusciremo a mettere dentro il governo che verrà? Quale piattaforma dovremo costruire per provare a rendere l’Italia più giusta? Più equa? Per sfidare questa fase di incertezza in cui è calata la società italiana? Questa sono le domanda a cui, oggi, bisogna dare una risposta all’altezza.
E le risposte con le quale saremo chiamati a misurarci nei prossimi mesi richiederanno coraggio. Servirà uno scatto in avanti vero, tangibile sul piano politico, concreto sul piano del progetto, sulla costruzione del campo, sulla riaggregazione – una parola di cui non dobbiamo aver paura – delle energie.
Abbiamo davanti a noi il dovere della costruzione di un pensiero nuovo, la ricerca di un linguaggio in grado quel pensiero di raccontarlo, la responsabilità della rinascita di un senso di comunità che in tanti, oggi, rischiano di veder definitivamente perso.
La nostra generazione c’è. È pronta a dare una mano, non a chiedere un ruolo o uno spazio, ma è pronta a svolgere una funzione.
È pronta ad aiutare a costruire il progetto di una sinistra grande. Consapevoli che serve dare una casa al tanto che c’è ma che una casa non ha e che si riconosce attorno all’idea di un mondo più giusto ed eguale. Che poi altro non è che il cuore, grande, della parola sinistra.