Lettera aperta agli amici e compagni della sinistra democratica
Sale dal Pd profondo, dal suo “midwest” che oggi sfida apertamente la leadership di Zingaretti, una richiesta di congresso. Tanto più dopo la nascita dell’intergruppo con M5stelle e LeU. Esponenti renziani hanno salutato persino con gioia (vera o falsa chissà) quest’ultimo evento, ritenendo che esso possa produrre un balzo dei parlamentari Pd ostili all’iniziativa unitaria verso la “prateria” riformista del cowboy Rosato. Ossia un loro riposizionamento in Italia Viva.
Se fossimo iscritti al Pd, diremmo: ma magari ce cascano. Ossia magari fosse vera la richiesta di congresso, e non una boutade. Perché in quel caso la sfida andrebbe accolta, traendone ottimi auspici per una nuova fase politica e organizzativa. La posta in palio dovrebbe essere un nuovo, grande, unitario partito della sinistra, aperto a cittadini e militanti di varie provenienze culturali, ma ben saldi in prossimità dell’orizzonte della sinistra democratica. Un esito, questo, che sarebbe comunque garantito. Sia nel caso il congresso (un vero congresso, con un dibattito approfondito, confronto pubblico, tesi contrapposte, gruppi dirigenti alternativi che si fronteggiano) fosse appannaggio di chi vuole un salto di qualità, una nuova forza, una nuova fase; sia nel caso vincessero i filo-renziani, perché sarebbe questo il segno che non è più il caso di restare lì, in un partito che non sembra all’altezza delle sfide che si parano davanti alla sinistra, che non è adeguato a promuovere una trasformazione del modello di sviluppo e degli assetti sociali, ma si ostina solo a galleggiare mediaticamente alla ricerca di fragili equilibri interni.
Un congresso sarebbe l’occasione per riflettere, dibattere, fare il punto, aprire alle altre organizzazioni della sinistra, ai militanti nella loro generalità – utile anche a promuovere una nuova classe dirigente, magari composta in parte da chi ha già percorso l’esperienza del governo Conte e, anche anagraficamente, personifica una possibilità di rinnovamento e irrobustimento politico-sociale della forma-partito. Una nuova forza dotata di una massa critica adeguata, di un pensiero che sappia corrispondere ai mutamenti in corso, che sia aperta alla società ma capace di orientarne simboli e cultura diffusa.
Una forza politica che divenga la “casa” della sinistra democratica, dove si trovi a proprio agio anche la temporanea minoranza interna, che formi i suoi dirigenti senza il casting delle primarie. Un partito che sia inattaccabile da un’Opa ostile, con uno Statuto che offra adeguate garanzie, e non venga mai sottratto agli iscritti, mai affidato alla ribalta dei media, mai a un passante. Dove soprattutto il renzismo e i suoi surrogati stiano alla larga, anche perché, nel frattempo, aggregati altrove. Si tratterebbe di fare leva sulla richiesta del congresso per ribaltare quella provocatoria richiesta in una opportunità.
Siamo ormai in vista delle elezioni, alle quali dovremmo giungere con un percorso politico adeguato, non con la solita sarabanda preelettorale, con le liste raffazzonate, con le listine improvvisate, con gli astratti movimenti di classi dirigenti senza più una base, ma solo like sui social. Un nuovo partito sarebbe una ventata di aria fresca. Una molla per balzare avanti. Un modo per fare chiarezza, per acconciarci a una nuova fase, vecchia e nuova allo stesso tempo. E anche per aprirsi alle domande che, in questi anni, hanno trovato altrove la risposta, ritenendo, presuntuosamente e al tempo stesso in modo culturalmente subalterno, che l’incontro con gli altri non potesse generare una preziosa contaminazione e un arricchimento della cultura politica e delle prassi politiche.
Sarebbe anche una maniera per riconquistare fierezza e combattività. Per tornare a immaginare (e praticare) la politica come lotta, conflitto, battaglia, conquista. Per rispolverare grinta, per tornare a vedere la combattività dei più giovani, le aspirazioni di chi vuole un riscatto, di chi non affida soltanto alla propria vita privata una riscossa, ma anche a uno sforzo comune. Una forza collettiva, con una leadership ma senza uomini soli al comando, con gli iscritti, le sedi, il dibattito interno, la formazione, il senso di comunità.
Una forza moderna, capace di muoversi sui social, a suo agio con le nuove tecnologie, ma non per questo un ectoplasma che veleggi sul nulla, con voce flebile, incapace davvero di orientare, ma solo di “rappresentarsi” a livello comunicativo, di scrivere post o produrre dirette facebook.
Un partito che abbia un giornale, che parli autorevolmente all’opinione pubblica, che non si affidi ai talk show oppure ai salotti, ma si bagni nelle proprie ragioni sociali, quelle dei lavoratori, dei più fragili, degli sfruttati, dei produttori, dei cittadini, dei disoccupati, degli ultimi, di chi, come diceva Giovanna Marini, lavora “anni e anni per due soldi di pensione”.
Ecco c’è una canzone che più di tutte potrebbe rappresentare questo “popolo” che il governo Conte aveva già cominciato a unificare, ed è “I treni per Reggio Calabria”. Andatela a riascoltare. Se vi spunta la lacrimuccia, se qualcosa si smuove, allora vuol dire che siamo sulla buona strada. Che si può fare. Un congresso per ripartire come solo una grande forza popolare potrebbe. Per cambiare le cose a vantaggio finalmente dei più deboli. Ecco cosa serve a tutti noi.