Relazione all’Assemblea nazionale di Articolo Uno. Bozza non corretta.
Voglio rivolgere il primo pensiero di questa nostra assemblea nazionale a Ernesto Abaterusso, alla sua famiglia e alla nostra comunità politica della Puglia. Perdiamo un punto di riferimento importante che ha accompagnato l’esperienza di Articolo Uno fin dalla nascita. Dovremo tenere vivo il ricordo del suo impegno nel momento così difficile e sfidante in cui siamo.
La velocità del tempo e dei cambiamenti che esso porta con sé è una delle caratteristiche di questa stagione. Pochi mesi cambiano tutto e mettono in discussione granitiche certezze. Nuovi scenari si aprono e meritano di essere indagati. Penso all’Italia naturalmente, ai primi passi del nuovo governo, penso all’opposizione e al percorso costituente che abbiamo avviato. Ma penso soprattutto al mondo, alle nuove relazioni internazionali, agli equilibri o forse meglio ai disequilibri che si definiscono anche alla luce del conflitto in Ucraina, conflitto drammatico che segna prima di tutto la crisi del multilateralismo classico costruito dopo la seconda guerra mondiale. Noi siamo per la Pace. Abbiamo sostenuto sin dall’inizio le ragioni dell’Ucraina invasa dalla scelta scellerata della Russia di Putin. Crediamo che oggi, a 10 mesi dall’inizio del conflitto, serva un ruolo molto più forte dell’Europa e dell’Italia per arrivare a un cessate il fuoco, a una conferenza di Pace e poi in prospettiva ad una nuova Helsinki. Questo ha chiesto la bellissima manifestazione del 5 Novembre a cui abbiamo partecipato. Il sostegno all’Ucraina e la richiesta di Pace non sono in conflitto tra loro come a volte pare nel dibattito pubblico del nostro Paese. Ma sono due parti dello stesso discorso di fondo sulla necessità di costruire un nuovo equilibrio globale capace di scongiurare i rischi di escalation militare e nucleare. Non dovremmo dimenticare mai che quando si pensa alle potenze nucleari o anche solo alle armi nucleari non possono esserci vinti o vincitori ma solo l’ipotesi di una grande catastrofe per l’umanità.
In questi giorni, assieme ad altri compagni, siamo impegnati nel comitato costituente. Tornerò più tardi sul lavoro in corso che, nel confronto tra le tante personalità che ne fanno parte, sta procedendo credo in maniera costruttiva. Ciò da cui voglio partire è invece l’idea di profondità dei cambiamenti intercorsi dal 2008 epoca della scrittura della originaria carta dei valori. È impressionante. Eravamo ancora tutti convinti che dopo la caduta del muro di Berlino la democrazia e il libero mercato avrebbero sprigionato la loro forza espansiva sul resto del mondo. Era dominante l’idea che la globalizzazione avrebbe portato con sé un miglioramento delle condizioni di vita di tutti. Il binomio democrazia liberale ed economia di mercato avrebbe presto dominato il mondo. Questa convinzione ha guidato l’Occidente per un ventennio. E la sinistra è stata l’avamposto di questa visione. Oggi è chiaro a tutti che le cose non sono andate come si pensava. I cittadini che vivono in Paesi compiutamente democratici rappresentano solo il 20 per cento della popolazione mondiale, una minoranza. L’Europa non è più il centro del mondo. E il libero mercato, quando lasciato completamente a sé stesso, ha alimentato forme spinte di capitalismo finanziario. E questa “economia di carta” ha contribuito ad accrescere enormemente le diseguaglianze. E proprio dove le diseguaglianze esplodono aumentano i rischi per la democrazia in un circolo vizioso e pericoloso. Come si può leggere l’impressionante dato di astensionismo delle elezioni italiane del 25 settembre in cui oltre un cittadino su tre non ha votato con una concentrazione di rinuncia al voto proprio tra ceti sociali più fragili?
E ancora in questi 15 anni è esplosa la questione ambientale. Perché il pianeta si surriscalda in modo insostenibile, perché consumiamo più materie prime di quanto la terra sia in grado di rigenerarne. Insieme alla crescita delle diseguaglianze la questione ambientale è il punto più evidente di crisi dell’attuale modello di sviluppo.
Come si vede i problemi dinanzi a noi sono molto grandi. E tocco solo per un istante la grande questione del rapporto tra democrazia, dati e digitale. I dati sono ormai un patrimonio essenziale di ogni settore economico, consentono modelli predittivi sui comportamenti delle persone e orientano investimenti sempre più corposi. Diventare proprietari dei dati significa detenere la ricchezza più grande, la premessa ad ogni vittoria di mercato. È davvero libero un mercato in cui la concentrazione di questa essenziale risorsa è nelle mani di pochi e avviene attraverso meccanismi non trasparenti? Basterebbero queste poche considerazioni a dimostrare come 15 anni siamo davvero un tempo lunghissimo. Basti pensare che allora non esistevano ancora i social network.
Il punto allora per noi è: quale sinistra in questo tempo? Quale visione e quale progetto perché gli uomini possano essere davvero liberi ed eguali, soggetto e non oggetto dentro questa stagione? Di sinistra oggi c’è bisogno più che mai. Se sinistra significa lotta contro le diseguaglianze e riconversione ecologica dell’economia, se sinistra significa difesa di beni e servizi pubblici fondamentali non delegabili alla mera logica del profitto. Avere il coraggio di rimettere in discussione un modello di sviluppo che aumenta le diseguaglianze e pregiudica il futuro del pianeta non significa guardare al passato, ma provare davvero a leggere il presente e occuparsi del futuro. Credo che una costituente serva per questo. Per provare a rispondere a queste domande di fondo. È una sfida, difficile quanto indispensabile e appassionante. Definire risposte nuove, in un mondo profondamente cambiato, per affermare valori di giustizia sociale tenendo insieme libertà ed eguaglianza.
In Italia questo ha ancora più senso dopo la sconfitta del 25 settembre. Si confermano gli elementi di analisi che si sono consolidati negli ultimi anni. La sinistra appare ancora chiusa dentro un recinto di elettorato benestante e bene istruito (nella città di Napoli dove ho fatto la campagna elettorale, Vomero 26 per cento, Scampia 8 per cento) e appare ancora incapace di parlare a chi esprime con maggiore disagio domanda di protezione e tutela sociale.
Eppure la sconfitta avviene in un quadro in cui la destra non sfonda. Poco più di 12 milioni di voti sono pressoché gli stessi che hanno preso nel 2018. Paghiamo amaramente la divisione del campo alternativo che pure aveva governato bene insieme negli ultimi anni. Non voglio tornare sulle responsabilità, che non stanno da una parte sola. Ne ho parlato diffusamente nelle tante assemblee regionali a cui ho partecipato nell’ultimo mese e mezzo. Voglio solo far emergere il punto. Con questa legge elettorale che trasforma una minoranza nel Paese in una maggioranza larga in Parlamento e contro cui rivendico a testa alta che noi ci siamo battuti più di ogni altro in parlamento, senza l’unità delle forze alternative la destra avrà gioco facile anche nei prossimi anni. Per questo penso che dinanzi a noi ci siano due obiettivi politici da perseguire in parallelo: una nuova forza trainante del campo progressista che sappia superare i limiti e le contraddizioni degli ultimi anni. E questo è il senso del percorso costituente. E poi naturalmente la ricostruzione di un campo democratico largo e aperto capace di costruire un’alternativa vera e credibile a questa destra. Tale lezione mi auguro non venga già rimossa nel passaggio importante delle prossime elezioni regionali su cui rinnoviamo il nostro massimo impegno.
Intanto la destra è al governo. E noi dobbiamo costruire un’opposizione all’altezza. Percorso costituente e opposizione sono due pezzi dello stesso disegno a cui dobbiamo lavorare con determinazione. Dalla scelta dei presidenti delle due camere al cambio dei nomi dei ministeri, dalla squadra di governo alle prime scelte di merito appare evidente che la destra voglia dire chi è, dimostrare la sua identità senza farsi troppi problemi. Un governo di destra che fa cose di destra. Finora pochissimo arrosto, ma tanti messaggi di fumo a pezzi del loro elettorato. Dall’occhiolino ai no vax a quello agli evasori con tetto del contante e lotta ai pos. E poi l’impulso securitario, con la scelta simbolica sui rave e la riapertura dello scontro alle ong. Ho già detto che dobbiamo stare attenti a non farci schiacciare dove la destra vuole portarci. L’ultima volta che i telegiornali sono stati dominati dalle vicende dei barconi siamo finiti con la Lega al 34 per cento alle elezioni europee. Non c’è alcun dubbio che noi dobbiamo esserci dove ogni diritto umano viene negato. Ma dico con la stessa chiarezza che con l’inflazione al 12 per cento e con il deterioramento delle condizioni materiali di vita di milioni di persone non possiamo consentire che si parli d’altro. Non possiamo permettere che il cuore del confronto tra maggioranza e opposizione sia su altro e non sulla questione sociale. Per questo la bella manifestazione di oggi è stata importante ed è essa stessa un pezzo del nostro percorso costituente. Noi siamo quelli che si fanno carico delle condizioni reali di vita di milioni di persone. Questa è la nostra identità e il fulcro dell’impegno della sinistra. Il lavoro, il reddito, le pensioni, mangiate dall’inflazione ed in particolare dal costo dell’energia, la difesa di sanità e scuola pubblica, l’investimento nello sviluppo sostenibile. Dovremo batterci in piazza e in Parlamento per costruire l’alternativa ad una destra le cui ricette non servono all’Italia e rischiano di dividere ancora di più il nostro Paese. Della legge di bilancio dirà sicuramente con più accuratezza Cecilia Guerra. Ma il messaggio di fondo è chiaro. Risorse e scelte vere non ce ne sono e allora si fa, qui e là, l’occhiolino a pezzi della società italiana con un messaggio chiaro: arrangiatevi voi più o meno come potete: meno protezione e tutele a partire dal superamento del reddito di cittadinanza e dal taglio alle pensioni. Tutela del lavoro? No vanno bene i voucher, simbolo del lavoro come merce. Fedeltà e progressività fiscale? Fate un po’ voi tanto il condono c’è e altri ne arriveranno. Intanto chi è fortunato si prende la flat tax e si porta a casa un po’ di soldi. Come se le tasse fossero un furto. Tanto poi se la sanità e la scuola pubblica cadono a pezzi c’è sempre la privata. Per chi se la può permettere chiaramente.
Intanto un punto mi preoccupa più degli altri. L’autonomia differenziata. Il disegno di Calderoli è pericoloso e può spaccare il Paese rendendo definitivamente irrecuperabili le enormi differenze in termini di qualità della cittadinanza che già attraversano il nostro Paese. Noi ci batteremo con ogni energia contro questo progetto e rilanceremo l’idea di Nord e Sud che si tengono insieme e crescono insieme. Nel dibattito interno alla maggioranza di governo si è fatto largo un altro tema ancora più insidioso. L’idea pericolosa di uno scambio politico tra autonomia differenziata e presidenzialismo sarebbe il colpo finale alla nostra architettura istituzionale. Dai più poteri alle regioni aumentando a dismisura le diseguaglianze territoriali e per compensare l’idea di governatori più forti e autonomi metti in campo il vecchio progetto del presidenzialismo. Un uomo solo al comando a Roma per compensare i 20 capetti sul territorio. È un disegno semplicemente inaccettabile. Sarebbe un patto politico scellerato e incestuoso contro cui dovremmo batterci con ogni energia.
In Parlamento dovremo fare tutto il possibile. Ma ho già detto che questa legge elettorale trasforma una minoranza nel Paese in una robusta maggioranza in Parlamento. Non mi aspetto, sinceramente, che potremo in un tempo breve segnare chissà quali punti in aula. Aggiungo che ho la sensazione che c’è già chi scalda i motori per prestare soccorso alla maggioranza qualora dovessero esserci imprevisti o difficoltà. Per questo penso che oggi più che mai sia indispensabile il rapporto con ciò che si muove fuori dal palazzo. È cruciale il rapporto con le forze sociali. Con il sindacato, con le associazioni, con il terzo settore. Nelle prossime settimane ci sarà una crescente mobilitazione sociale che denuncerà l’incapacità del governo di dare risposte ai problemi reali del Paese. E là che noi dobbiamo stare. È da quella mobilitazione che passerà un pezzo della nostra ricostruzione.
Dinanzi ad una destra così è ancora più indispensabile costruire l’alternativa. Ripiegarsi con umiltà e con coraggio per rifondare il nostro campo. Non è facile. Ma questo è il lavoro che ci aspetta. “Fare Costituente”. Abbiamo voluto intitolare così questa due giorni di assemblea nazionale. Io credo molto sinceramente che Costituente sia proprio la parola giusta. Noi la pronunciamo da tempo, troppe volte predicandola nel deserto. Costituente è quello che serve per costruire una proposta nuova. È l’idea che quello che c’è oggi non basta. E che quello che serve ancora non c’è. Voglio essere subito chiaro. La parola è giusta. Ma la parola di per sé non è sufficiente. Serve essere pienamente conseguenti. E alla parola deve corrispondere un processo sostanziale all’altezza delle aspettative. Noi abbiamo scelto di stare dentro il processo esattamente con questo obiettivo. Ho apprezzato lo sforzo di Enrico Letta e del Partito democratico di aprirsi e di superare un impianto di autosufficienza che li aveva caratterizzati in passato. È un segnale di consapevolezza della necessità di cambiare. C’è voluta purtroppo una sconfitta pesante. Ma ora guardiamo avanti. Noi vogliamo stare dentro questo processo per renderlo davvero costituente. Qui c’è la nostra funzione storica e anche il filo di continuità con la missione che abbiamo indicato nel 2017 quando siamo nati. Non è mai stato nostro obiettivo costruire un piccolo partito o alimentare cartelli elettorali che lottano di volta in volta per superare la soglia di sbarramento e che poi si dissolvono come neve al sole. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di far rialzare la testa alla sinistra di governo nel quadro di una nuova alleanza Progressista. Essere di sinistra per noi significa battersi per migliorare le condizioni reali di vita delle persone. Essere di sinistra per noi non ha mai significato limitarsi a fare nobile testimonianza.
Allora il tema oggi è come lavoriamo perché questo processo sia un’occasione vera per ricostruire la sinistra nel nostro Paese. Conosco i limiti e anche le contraddizioni del processo in corso. Vedo bene le resistenze che anche dentro il Pd ci sono e i dubbi che legittimamente attraversano anche la nostra discussione. Credetemi, nessuno di noi ha granitiche certezze. Ma il luogo giusto dove stare, di questo si sono convinto, è dentro la battaglia politica. Si è aperta una porta, finalmente, noi lo chiediamo da tempo. Ora che facciamo? Ci ritiriamo nella nostra piccola comfort zone o proviamo a combattere per spalancarla quella porta? Io credo che questa opportunità non possa essere fatta cadere. C’è una responsabilità storica che ci riguarda. La costituente non cadrà dall’alto ma dovremmo conquistarla passo passo in queste settimane. Per questo dobbiamo “fare costituente”. Noi dobbiamo stare con coraggio dentro questo battaglia politica. Il comitato costituente dovrà scrivere la nuova carta d’identità, il nuovo progetto fondamentale del principale soggetto della sinistra italiana. Noi daremo battaglia, come abbiamo già iniziato a fare, perché la discussione sia vera e affronti i nodi di fondo della ricostruzione della sinistra che ho toccato nella prima parte della mia relazione. Basterà la Costituente? Anche qui conviene dire chiaro e forte subito parole di verità. La costituente è ciò che serve per ridefinire un profilo identitario, premessa per adeguare le politiche e riconquistare fette larghe di elettorato che non si sono sentite più rappresentate da noi. Ma non esistono i miracoli. Voglio condividere una consapevolezza. Anche la migliore fase costituente, ed è tutto da dimostrare che questa lo sia, non risolverà magicamente tutti i problemi. Il punto è invertire una tendenza. Ripartire. Riaccendere una scintilla come va di moda dire ora. Non sarà domani mattina, alla fine di qualsiasi fase costituente che ricominceremmo magicamente a prendere voti nelle fabbriche o tra i ceti sociali più fragili. Ci sarà bisogno di un lungo processo per sanare le fratture che si sono consolidate negli anni. Io penso che la Costituente intesa come processo politico sostanziale di rifondazione e rilancio della sinistra italiana avrà bisogno ancora di spazio e tempo al di là di ogni scadenza di natura formale. Non potrà certo chiudersi solo con queste settimane pur importanti. Dobbiamo essere tutti molto attenti e consapevoli. Se questo processo fallisse ci troveremmo con tante macerie da spalare e probabilmente si spegnerebbe anche l’ultima fiammella. Per questo dalla nostra assemblea deve uscire un messaggio forte, chiaro ed esigente dell’idea di partito che abbiamo in testa. Sia in termini di profilo politico e culturale che di forma organizzativa. Sottolineo i 4 titoli per noi essenziali dentro la discussione del comitato costituente e dei suoi 4 sottogruppi:
1 Un nuovo multilateralismo che punti alla pace, alla cooperazione e al dialogo tra aree diverse del mondo scongiurando ogni rischio di scontri tra civiltà e di escalation militari e nucleari.
2 La difesa della Costituzione come asse fondamentale della nostra comunità nazionale. Il riconoscimento della funzione essenziale dei partiti fuori da logiche plebiscitarie e leaderistiche.
3 La centralità della dignità del lavoro come fulcro dell’emancipazione degli individui e l’investimento sullo sviluppo sostenibile come strategia essenziale per la crescita.
4 La difesa di beni e servizi pubblici fondamentali a partire dall’universalità di Sanità e Scuola pubblica e la lotta per l’estensione dei diritti sociali e civili.
Per me l’assunzione di questi punti e il nuovo profilo del partito ha molto più valore della conta tra candidati che per onore di verità rischia di togliere respiro alla costituente in corso. Voglio ridirlo con forza: questa volta non ce la si cava con una gazebata. Ho rispetto per la partecipazione popolare ma credo che per troppo tempo il nodo dell’identità del partito sia stato delegato alla scelta del capo. Così quando ti va bene ti trovi Bersani. Ma come abbiamo visto poi può andare anche molto molto male, e sono guai. Allora anche sulla forma partito e sulla funzione stessa delle primarie ci sarà bisogno di discutere. E non poco.
Su tutti i temi che ho toccato ci interessa capire cosa pensano davvero i candidati alla gravosa carica di segretario. Ho rispetto per le biografie che stanno emergendo. Ma ho sempre detto dall’inizio che non esiste un uomo o una donna della provvidenza. Nei prossimi giorni ci aspettiamo parole chiare da chi si candida sul profilo del partito, (è bella la proposta del sindaco di Bologna Matteo Lepore sul richiamo al lavoro anche nel nome) sulle sue forme organizzative, ma direi prima di tutto sul lavoro ancora costituente che bisognerà fare dopo il passaggio elettorale di febbraio. Perché lo ribadisco, anche nella migliore delle ipotesi resterà ancora tanto da fare per costruire davvero il soggetto nuovo che serve alla sinistra italiana e al Paese.
Non vi è alcun dubbio che siamo ad uno snodo cruciale della vita di Articolo Uno. Il nostro partito, la nostra comunità politica. 5 anni fa abbiamo deciso di dare vita a un soggetto ecosocialista che tenesse accesa l’idea di una sinistra di governo dinanzi alle degenerazioni a cui assistevamo. Oggi siamo dinanzi a una sfida nuova e complessa che dovremo affrontare assieme come comunità democratica.
Parlo con orgoglio di quello che siamo proprio in questi giorni difficili in cui la bufera di una indagine internazionale partita da Bruxelles ha visto coinvolto Antonio Panzeri insieme ad altre persone. Le ricostruzioni emerse sono davvero agghiaccianti e sono totalmente incompatibili con la nostra storia e il senso più profondo del nostro impegno politico. Lo dico con tutta la forza che ho: Articolo Uno in questa vicenda è parte lesa. Abbiamo piena fiducia nelle autorità giudiziarie che ci auguriamo vadano avanti nel loro lavoro con rigore e determinazione. Siamo noi i primi a chiedere che ogni responsabilità emerga che chi ha sbagliato paghi.
Siamo tutti sconvolti, in modo particolare i compagni lombardi, dai fatti che emergono. Articolo Uno in questi anni ha operato nella massima parsimonia vivendo del due per mille, delle quote di iscrizione e dei versamenti dei nostri parlamentari. Su ogni territorio abbiamo fatto una fatica pazzesca per tenere aperto un circolo, per finanziare un manifestino o un’iniziativa. Per la noi la politica è passione disinteressata e non posso tollerare che la nostra esperienza e la militanza generosa di migliaia di compagne e compagni venga accostata a pratiche di malaffare lontane anni luce dalla nostra concezione della politica e dal modo di stare nelle istituzioni. La commissione di garanzia ha immediatamente estromesso Panzeri dall’anagrafe dei nostri iscritti come era giusto che fosse. Noi siamo e saremo sempre dalla parte della legalità. E faremo ogni sforzo in tutte le sedi per regole e procedure di trasparenza contro ogni forma di corruttela. Questo passaggio così drammatico deve farci riflettere profondamente. Il tema che si pone, al di là della singola vicenda, è quello dell’indebolimento della politica, della sua perdita di autonomia rispetto agli interessi privati e alla logica del profitto. Dobbiamo interrogarci su cosa abbia prodotto la relativizzazione delle identità culturali e dei punti di riferimento sociali da rappresentare e, conseguentemente, della destrutturazione delle organizzazioni che fino al secolo scorso avevano integrato nel gioco democratico milioni di donne e di uomini fino ad allora esclusi dall’esercizio del potere istituzionale. Sono grandi temi che vanno al di là di una singola seppur gravissima vicenda giudiziaria.
Voglio ribadire con forza che per noi la lezione sulla questione morale di Enrico Berlinguer è e sarà sempre un faro. Un pezzo della nostra identità a cui non rinunceremo mai.
Cinque anni fa fu Guglielmo Epifani a fare l’ultimo bellissimo e difficilissimo intervento in un hotel di Roma prima che nella sostanza tanti di noi venissero cacciati dal partito che avevamo contribuito a fondare per unirsi poi a tanti che avevano animato le esperienze politiche a sinistra del Pd. In quell’occasione chiedevamo un congresso vero che potesse affrontare la discussione di fondo di chi siamo e di cosa vogliamo rappresentare. Si poneva il nodo del “da che parte stare” negli enormi conflitti sociali in corso rifuggendo all’idea del “partito pigliatutto” che poi rischia di non prendere nulla come hanno amaramente dimostrato il susseguirsi degli appuntamenti elettorali, tornata dopo tornata. Credo che in fondo cinque anni dopo siamo ancora là. E che la funzione vera della nostra comunità politica sia stata proprio questa. C’è un filo di continuità tra quell’assemblea e la nostra discussione di queste settimane.
Io chiedo alla nostra comunità di avere coraggio, di lavorare territorio per territorio per animare questa costituente, di animare i comitati promotori, di non arrendersi di fronte alle chiusure e alle difficoltà che ci sono, di spingere per allargare a soggetti e personalità esterne.
Noi continueremo ancora a confrontarci democraticamente come abbiamo sempre fatto. In direzione nazionale, sui territori e ancora con una nuova assemblea nazionale di Articolo Uno dopo l’assemblea costituente nazionale. La fiammella che abbiamo tenuta accesa in questi cinque anni non dobbiamo tenerla chiusa in una teca. Dobbiamo provare assieme a renderla un fuoco molto più forte capace di cambiare la sinistra italiana e di costruire l’alternativa che serve al Paese.
Questo è il nostro percorso. Questo è il nostro obiettivo. Sono convinto che insieme ce la faremo.