Dal 1994 a oggi, uno dei più rilevanti risultati egemonici della destra berlusconiana è stato la presa di possesso del concetto di “comunicazione”. Cioè far pensare naturalmente a chiunque sia a sinistra che la comunicazione non è una cosa che riguarda i suoi valori, e che è invece uno strumento naturaliter di destra, come dichiarò Bobbio a proposito della tv.
Di sicuro furono novità sconvolgenti: l’universo televisivo che si fa partito, il conseguente trionfo elettorale di Forza Italia. Tuttavia il risultato andò oltre l’evento politico. Fu allora che uno strumento della modernità, quello dei media di massa, si trasformò agli occhi della sinistra in un linguaggio specifico del liberismo e dell’anti socialità. Da lì in poi, comunicare significava Berlusconi. Mentre la sinistra – e s’inaugurò così lo stigma ancora oggi imperante – “non sa comunicare”. Fu un esproprio. E riuscì alla perfezione.
Quante volte oggi sentiamo dire “è comunicazione” per bollare l’inconsistenza di un annuncio politico? Dovrebbe bastarci dire “è una bugia”, e mantenere così in mani democratiche il valore del comunicare che, non dimentichiamolo, viene dal latino, vuol dire “mettere in comune”. In quell’antica accezione, il termine comunicare si addiceva a oggetti consistenti, al pane, a cose concrete che passavano di mano in mano.
Oggi la sinistra vive invece un sostanziale scacco mediatico. Da un lato è ormai certa che comunicare sia in sé falsificare, dall’altro le è moralmente impedito prendere possesso del tema e spesso subisce l’altrui aggressività. Tuttavia, in paesi che questo esproprio l’hanno impedito – non è un bene comune, la comunicazione? – gli schieramenti di progresso hanno utilizzato i media parlando un proprio linguaggio, diffondendo i propri valori, senza camuffarsi, senza restringere la propria idea di comunicazione alle fotogenie o alla scelta dei look.
Si tratta di recuperare temi basilari, bandiere valoriali. E tradurle in un’epica nuova. In tempi di polemica nostrana sui diritti di cittadinanza, per esempio, la campagna “Together” firmata a suo tempo da Bernie Sanders è un modello: ecco come anche un concetto già noto – l’uguaglianza – può diventare urgente, coinvolgente e diremmo anche – guardando alle timidezze di casa nostra – persino sfrontato. Semplicemente, usando il brano di un comizio.
La stessa semplicità che emoziona nel gesto finale di Sanders, con il quale un’ideale diventa un abbraccio rivolto a un’intera platea.
Qui l’antirazzismo non è soltanto la parola d’ordine di uno speech intimamente americano, ma si traduce in parole e immagini che rendono indelebile il concetto. Quando un pensiero è così solido, declinarlo sugli altri media è facile e immediato: ed eccolo diventare social con una serie di tweet tradotti in ogni lingua.
Ricapitoliamo? Un basic democratico forte (siamo tutti uguali), la traduzione in idea di comunicazione (“AmericaTogheter”), la padronanza e l’uso specifico dei mezzi di comunicazione (lo spot, i tweet…). E a chi sta per dire che “però ha vinto Trump”, consigliamo di seguire la rivolta dello sport professionistico statunitense in corso. Sicuri che abbia vinto? Ma si potrebbe anche tornare con la memoria alle due trionfali campagne presidenziali di Obama, ugualmente a loro agio con i media moderni.
Sono tanti i temi ai quali la sinistra oggi è chiamata a dare risposte. Il potere della finanza globale privo di controllo democratico, l’impatto del digitale transnazionale sui sistemi fiscali e sull’occupazione… andrebbe aggiunta in Italia l’esigenza di una nuova presa di possesso, del riscatto di un antico esproprio: cos’è di sinistra in comunicazione? Come usare i media per promuovere la democrazia?