È un Russiagate all’amatriciana, ma non sono solo pettegolezzi

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Attenzione. Il Russiagate alla “amatriciana” non è affatto un caso di gossip. Non mi interessa sindacare sull’affidabilità del sito americano, in questo caso Buzzfeed, che ha pubblicato il dialogo tra leghisti e funzionari russi all’hotel Metropol, già largamente anticipato dall’Espresso qualche mese fa. E nemmeno sul perché sia uscito ora e non in campagna elettorale. Ciò ci sui vale la pena concentrarsi è il valore storico della testimonianza.

Quella registrazione – che ci riporta direttamente in una giungla di spioni e di ricattatori e forse di millantatori degna del miglior Le Carré – spiega in maniera chiara i legami tra l’estrema destra europea e il regime di Putin. Che il disegno di far saltare l’Unione europea e di riaffermare il primato nazionalista passa attraverso il beneplacito, la vicinanza, il sostegno politico e forse economico di Mosca.

È ormai chiaro a tutti che la Fpo austriaca, l’Afd tedesca, il Fn francese ed oggi la Lega italiana sono partiti satelliti di Putin. Non accadeva da almeno cinquant’anni che ci fosse un legame così stretto tra un partito italiano e una potenza straniera.

Ora, non mi unirò mai al coro di chi sostiene che la Lega ha vinto le elezioni italiane per via delle fake news ispirate da Mosca e dal cervellone elettronico congegnato dai suoi hacker. Sono fesserie che ci porterebbero fuori strada. La Lega vince perché interpreta una fase della storia italiana ed europea, perché dà una risposta sbagliata ed eversiva a una domanda di protezione giusta scaturita dalla drammatica crisi economica che ha cambiato i connotati antropologici delle nostre società.

Ma che ci sia una contiguità forte, un comune sentire politico e ideologico tra questi mondi ormai è un dato più che oggettivo. È un fatto politico.

Gianluca Savoini, il protagonista di questa storia, l’uomo delle relazioni tra via Bellerio e oltrecortina, non è un passante qualsiasi.
Basta leggere il libro di Claudio Gatti, “I demoni di Salvini, i post nazisti e la Lega”.

Un documento di grande interesse, che svela l’infiltrazione organizzata di settori dell’eversione nera nel partito di Bossi, Maroni e Salvini. Savoini ha un passato dichiarato e mai rinnegato con l’estrema destra. Con quella casa editrice-centrale di agitazione politica “Orion” che non ha mai lesinato di nostalgie nazifascistoidi.
Ed è diventato via via uno dei promotori della dottrina Dugin, una sorta di santone spacciato per intellettuale che teorizza il ritorno all’impero euroasiatico e che ha imperniato la sua opera su una sfilza di luoghi comuni razzisti, omofobi, nazionalisti. È considerato a pieno titolo il teorico di Putin. Il suo Rasputin.

Prima ancora che di un viaggio di affari – un miliardo e mezzo di dollari per una partita di petrolio all’Eni ( a proposito in nome e per conto di chi parlavano di Eni?) corredata da una possibile tangente del 4% – su cui indagherà la magistratura – c’è dunque il risvolto delle alleanze politiche che dovrebbe interrogare l’opinione pubblica italiana.

E se un partito – che flirta esplicitamente con una leadership che teorizza la fine del liberalismo costituzionale, che sospende i diritti civili nel suo paese, che controlla l’informazione, l’economia, la magistratura e tutti gli apparati dello stato – possa definirsi compiutamente democratico.

Se il modello della Lega si chiama Putin e se le sue alleanze internazionali sono quelle raccontate da Savoini, abbiamo il dovere di aprire una grande discussione sulle conseguenze di questa impostazione. Se – come è noto da tempo – quel modello è l’obiettivo di fondo a cui aspira il Ministro dell’Interno.

La domanda a cui Salvini ha il dovere di rispondere è: dove vuoi portarci? Sul terreno geopolitico, istituzionale, culturale. Prima era soltanto un sussurro, oggi è una realtà. Quei nastri ci dicono che l’alleanza è prima ancora che economica e affaristica, politica. E, dunque, l’interesse nazionale tanto sventolato dai nazionalisti rischia di diventare nient’altro che una frottola.

Ci volevano i sovranisti per riportare il nostro paese nell’orizzonte di una sovranità limitata ed eterodiretta. Con una spruzzata di Vodka. Ma quella, come si sa, è soltanto una questione di gusti.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.