Lino Banfi, attore italiano più largamente noto – fra gli altri – per il ruolo di nonno Libero nella popolare serie televisiva “Un medico in famiglia” è stato recentemente nominato dal ministro Di Maio membro della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO.
La scelta ha creato non poche polemiche: alcune più ironicamente velate (come quelle del ministro Salvini), altre più esplicite, come quelle apparse sulle colonne de Il Fatto Quotidiano, in cui Antonio Foglio (“già consulente dell’UNESCO e formatore dei suoi manager”) definisce la scelta come “uno schiaffo a chi si è fatto il mazzo con la cultura” e ne identifica le ripercussioni come probabilmente negative per il “difendere sul serio gli interessi dell’Italia all’UNESCO”.
Sull’UNESCO ho scritto tre tesi di laurea: la prima quinquennale in giurisprudenza; la seconda al master biennale, internazionale e in inglese, in diritto comparato, economia e finanza organizzato dall’International University College (allora presieduto con generosità e vigore dal senatore Stefano Rodotà); la terza al Campus delle Nazioni Unite che ha sede a Torino. Oggi sto terminando una tesi di dottorato, sempre sull’UNESCO, quale unico italiano ammesso al programma internazionale sui diritti umani organizzato congiuntamente dalla Libera Università di Berlino e dall’Università Ebraica di Gerusalemme.
Credo dunque di poter parlare a ragion veduta quando dico che non solo non mi ritrovo assolutamente nelle parole di Foglio, ma anzi ritengo la scelta di Lino Banfi un’opportunità importante per rivedere un sistema che ha difeso assai poco seriamente gli interessi dell’Italia negli ultimi decenni.
Andiamo con ordine. Nonno Libero non è stato nominato all’UNESCO, a Parigi, dove siedono i rappresentanti degli Stati; bensì a Roma, in piazza Firenze, in un appartamento assai disadorno all’ultimo piano di un antico palazzo nel centro della capitale, sede anche della Società Dante Alighieri.
Cos’è dunque questa “Commissione Nazionale Italiana” che con la presenza del vecchio Banfi non potrebbe più tutelare adeguatamente gli interessi nazionali?
Si tratta di un insieme di dipendenti del Ministero degli Esteri (“5 valorosi funzionari e 30.000 euro di budget annuo”, stando alle dichiarazioni del novembre 2016) del Presidente della Commissione, cavalier Franco Bernabè.
Immaginiamo come – con cotanti lavoranti e un simile budget – può operare l’organismo italiano deputato a implementare (attraverso migliori sinergie fra i ministeri e fra poteri centrali e locali dello Stato) tutte le migliori pratiche che l’UNESCO ha individuato (raccogliendo e collegando migliaia di diverse esperienze e studi realizzati in tutto il mondo) nei suoi molteplici campi d’intervento: educazione, scienza, cultura, comunicazione, informazione.
La nomina di Banfi cessa di far sorridere se ricordiamo come l’intero sistema dell’UNESCO fa acqua da tutte le parti: dal funzionamento del Segretariato a Parigi, fino al sistema delle Commissioni Nazionali, per continuare con la Società Civile UNESCO, che in Italia consta di oltre 100 associazioni capillarmente presenti sul territorio italiano, che dipendono dalla Commissione e prendono il nome di Club UNESCO (sul punto due interrogazioni parlamentari e un’interpellanza al Presidente della Repubblica, oltre che un lungo articolo sul Business Insider.
Se paragonata alle diverse agenzie specializzate delle Nazioni Unite (l’Organizzazione internazionale demandata a promuovere la pace, la cooperazione e lo sviluppo sostenibile ed eticamente orientato del pianeta), l’UNESCO ha una struttura assai peculiare: non si limita ad essere una grande assemblea di diplomatici, che approvano altisonanti carte di principi cui dall’origine non intendono attribuire alcun potere vincolante sulla piena discrezionalità statuale.
L’UNESCO è, al contrario, un’organizzazione internazionale marcatamente popolare, come nonno Libero.
Quando fu costruito l’UNESCO (nel 1946), l’Organizzazione ereditò la visione della Lega per la Cooperazione Intellettuale, un consesso nato ai tempi della Società delle Nazioni (l’antenato dell’ONU, rivelatosi incapace di prevenire la seconda guerra mondiale) per il quale si spesero grandemente personalità come Albert Einstein o Marie Curie.
In origine, gli Stati erano chiamati a nominare personalità di grande profilo intellettuale, cui la Costituzione dell’UNESCO riservava un’ampia autonomia: una volta nominati essi vi operavano a titolo personale, non impegnando (e non potendo venir strumentalizzati da) il proprio Stato di provenienza.
Col tempo, l’UNESCO è invece diventato un’Organizzazione alla deriva. Non servono grandi studi: il progetto di punta dell’Organizzazione, il più conosciuto almeno, è rappresentato dai Siti UNESCO.
L’Italia è il Paese col maggior numero di Siti, eppure Pompei è crollata (più volte), idem per i terrazzamenti delle Cinque Terre (in Liguria) o le mura di alcune ville medicee in Toscana (tutti siti UNESCO). Se il tuo servizio di punta da anni non riesce a prevenire i crolli, non serve un luminare per capire che ci sono dei problemi col funzionamento stesso dell’Organizzazione.
Ma veniamo a noi: dopotutto Banfi non è stato nominato a Parigi, o a dirigere la Reggia di Caserta.
Nonno Libero va infatti in quello specifico ufficio destinato a promuovere i valori dell’UNESCO (la prevenzione dei conflitti attraverso la costruzione della “pace nelle menti”) su tutto il territorio italiano.
Come ha lavorato questo ufficio fino ad ora, e può davvero la presenza di Banfi comprometterne il funzionamento?
Un esempio su tutti: i Report Annuali delle Commissioni Nazionali.
Nel 2011 l’UNESCO, a Parigi, iniziò un programma di “revisione complessiva” del modo in cui il Segretariato coopera con le diverse Commissioni Nazionali. Queste, totalmente indipendenti dall’Organizzazione, sono strutture il cui funzionamento, finanziamento e raggio di azione effettiva dipendono totalmente dai governi.
Vi sono dunque casi come il Canada (in cui la Commissione ha un proprio statuto giuridico autonomo rispetto al governo in carica, dozzine di unità di staff ben pagate, un budget annuale milionario, una rete inter e infra ministeriale di promozione eccetera) e altri paesi in cui la Commissione Nazionale si riduce a una scrivania e una segretaria part-time, con membri di nomina e revoca diretta da parte del Ministro alla Cultura.
Posto che ciascuna Commissione Nazionale si comportava in maniera totalmente autoreferenziale, al punto che l’UNESCO non aveva informazioni su cosa venisse fatto a livello nazionale sotto le insegne “UNESCO”, nel 2011 la “revisione complessiva” ha portato l’Organizzazione a chiedere alle Commissioni Nazionali (e da qualche giorno, dunque a anche a Banfi) di redigere un report annuale sulle iniziative svolte.
Per garantire un elevato numero di risposte, l’UNESCO ha previsto che questi Report siano lunghi “una pagina” e ne cura la pubblicazione annuale (così che magari le Commissioni Nazionali che non hanno mandato la loro paginetta striminzita se ne vergogni un pochino e provvedano l’anno dopo.
La Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO (quella che nelle parole di Foglio sarebbe così attenta agli interessi dell’Italia) ha per anni mancato di mandare il report sul nostro paese ; cosicché l’Italia non è presente nella pubblicazione 2012, né in quella del 2013, né in quella del 2014, né in quella del 2015. E badate bene: non solo il nostro Paese non ha mandato la sua paginetta di compito per anni, ma in quelli fatti dagli altri Stati si trovano decine di buone pratiche immediatamente copiabili anche da noi (dal 2015 in avanti, ad esempio, mentre in Italia la gestione dei Club UNESCO è restata fallimentare, in Costa d’Avorio hanno sviluppato in merito esperienze di grande efficacia poi riprese a Parigi e promosse a livello mondiale come buone pratiche).
Se questo è il modo in cui abbiamo fino ad ora capito cos’è l’UNESCO e promosso in Italia il valore di ciò che questa Organizzazione ha saputo raccogliere, nonno Libero sarà certamente in grado di fare meglio.
E questo per due ragioni: la prima è che sa di non sapere (primo passo verso la conoscenza), la seconda è capisce assai bene le esigenze di quell’ “italiano medio” che magari ignora l’UNESCO, ma che l’Organizzazione dovrebbe sempre e comunque avere nel cuore come punto di riferimento privilegiato rispetto ai propri obiettivi istituzionali.
La cultura è per le persone: se Banfi cercherà di rendere la Commissione più “popolare” egli non solo seguirà le migliori pratiche internazionali in materia (cui la nostra Commissione, chiaramente, non si è mai adeguata), ma anzi interpreterà quello spirito più antico e autentico dell’UNESCO, quello della cultura come ponte fra persone e comunità, unite dal riconoscimento della comune dignità umana (indipendente da titoli accademici, ma unicamente dalla voglia di fare bene, per gli altri, in modo generoso e disinteressato).
W nonno Libero, dunque. Gli auguro di poter far tanto e bene per il nostro Paese e per la dimensione universale di pace e condivisione che la cultura ispira e richiede.