Il nuovo non è qualcosa di sospeso in un vuoto senza radici. E’ autentico quando diventa recupero creativo di un fondamento originario. La crisi della prima Repubblica ha comportato la rigenerazione di alcuni filoni politico-culturali. Uno di questi è il dossettismo. Del quale si parlerà oggi nell’ambito del ciclo di seminari Le fonti politiche ideali della democrazia repubblicana, ideato da Carlo Galli, promosso dal gruppo parlamentare di Articolo Uno – Mdp alla Camera, grazie al contributo di Pier Luigi Bersani, don Giovanni Nicolini, Gaetano Piepoli.
Dossetti dal febbraio 1945 in montagna, nelle formazioni partigiane, insieme a Ermanno Gorrieri. Poi nel Cnl della sua Cavriago e, nel dicembre 1944, presidente del Cln di Reggio Emilia. Viene eletto nella Costituente e concorre all’elaborazione della Carta a partire dall’articolo 1 sulla definizione della Repubblica come “fondata sul lavoro”.
Interessante, a questo proposito, il lavoro delle Edizioni Zikkaròn di Marzabotto. Zikkaròn in ebraico significa memoria. Opera, dal 2016, della Cooperativa Koinonia, nata nel 1999, per iniziativa di alcuni membri della Piccola Famiglia dell’Annunziata, fondata da Giuseppe Dossetti alla fine del 1955. Nelle prossime settimane, per i tipi di Zikkaròn, è annunciata l’uscita di una raccolta di scritti di Dossetti dal titolo La democrazia sostanziale, curatore Andrea Michieli, prefazione di Carlo Galli, postfazione di Valerio Onida.
Dossetti a capo degli altri professorini, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira e Giuseppe Lazzati, la comunità del Porcellino, siccome vivevano in un pensionato che aveva all’ingresso un verro di legno intagliato. Culturalmente cresciuti nell’Università Cattolica di Milano di padre Agostino Gemelli. Nel settembre 1946, il movimento Civitas humana, di cui Dossetti diventa presidente, incarico che si conclude presto, nel luglio successivo, dopo aver dato vita alla rivista “Cronache sociali”.
Dossetti promotore di iniziative istituzionali di primo piano, per esempio deus ex machina della candidatura di Luigi Einaudi a presidente della Repubblica.
Negli ultimi giorni si è molto discusso di Banca d’Italia: dalla quale sono venuti ben due presidenti della Repubblica: dopo Luigi Einaudi, Carlo Azeglio Ciampi, già ministro nel primo governo Prodi; così, per ricordare ciò che conta, ben oltre la cronaca dell’hic et nunc.
Dossetti e il contrasto con Alcide De Gasperi, il quale, senza infingimenti, non mancò di giudicare certe posizioni dossettiane come “allucinazioni e divinazioni” (ne ha parlato Paolo Pombeni in Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, Bologna, il Mulino, 2013, p. 120). Divisi da molti non trascurabili aspetti: dalla politica estera a quella sociale, dal ruolo dello Stato nell’economica alla funzione del partito nei confronti del governo.
A seguito di tale incomponibile dissidio, Dossetti, nell’estate del 1951, riunisce, nel castello di Rossena, presso Reggio Emilia, quanti avevano condiviso la sua attività politica, annunciando il suo congedo e dimettendosi, l’8 ottobre 1951, dal consiglio nazionale e dalla direzione Dc; l’anno dopo, nel luglio 1952, dal Parlamento.
Decisioni dalle quali scaturisce una seminagione nel cattolicesimo di base e un ulteriore legame col contesto culturale emiliano, tra Bologna, Modena e Reggio Emilia, anche attraverso gli studi, o meglio vissute esperienze di ricerca come l’Istituto per le Scienze Religiose (avviato nell’autunno del 1952, tuttora attivo in via San Vitale a Bologna).
Sino all’impegno in difesa della Costituzione con un pungolo ispiratore di fermenti che si sono dispiegati, nell’ultimo quarto di secolo, a seguito della rottura dell’unità politica dei cattolici, sino ai nostri giorni; quando parliamo del pluralismo nell’Ulivo dobbiamo sapere che c’è anche un inconfondibile accento dossettiano.
Se poi si volge lo sguardo ad una riconsiderazione degli esiti dell’esperienza della Democrazia Cristiana, ecco, gli uomini di potere, nel giro di pochi anni, sono finiti nell’oblio; figure di pensiero come Giuseppe Dossetti o Aldo Moro, invece, si sono rivelate influenti, dopo la loro scomparsa, al di là della contabilità del peso specifico che avevano avuto nelle vicende di partito, a dimostrazione del fatto, ancora una volta, che non basta avere dei numeri se mancano le idee.
Tra le particolarità di Dossetti l’aver coltivato due vocazioni in una: riformatore della Costituzione e della Chiesa. Un caso unico nel suo genere. Il 6 gennaio 1959 viene ordinato sacerdote. Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII indice il Concilio. Fondamentale l’incontro con Lercaro, il quale lo avrebbe voluto coadiutore con diritto di successione; ma la cosa si arenò subito; allora Lercaro gli propose di diventare vicario generale, una specie di vice vescovo; ma Dossetti rifiutò; sicché lo stesso Lercaro produsse la soluzione del pro vicario.
Lercaro coinvolse Dossetti nel Concilio come “perito esterno” proprio per la sua laica esperienza di costituente e per la sua formazione di studioso di diritto canonico nell’Università di Bologna; dal 1942 il primo incarico in diritto ecclesiastico nell’Università di Modena; la cattedra dal 1947.
Lercaro lo scelse, in una funzione cruciale, sul piano della dottrina, per favorire un cambiamento nella modalità dei lavori conciliari, avviati da Giovanni XXIII, conclusi con Paolo VI, al fine di redigere un nuovo regolamento in una direzione affidata a quattro “moderatori” (con Giacomo Lercaro, Gregorio P. Agagianian, Léon-Joseph Suenens, Julius A. Döpfner); Dossetti di fatto “segretario”.
Una storia non priva di aspetti interessanti. Dossetti, infatti, “figlio devoto ed efficiente collaboratore” di Lercaro, obbediente sino al punto di accettare di candidarsi a Bologna contro Giuseppe Dozza, avrebbe potuto succedergli.
Ne ha scritto Giovanni Galloni in 30 anni con Moro (Roma, Editori Riuniti, 2008, p. 140), evidenziando come Lercaro avesse chiesto che il Vaticano riconoscesse a Dossetti “il diritto a essere nominato suo successore”. Con questo possibile effetto: “Dato che Bologna era sede cardinalizia ciò significava che Dossetti sarebbe potuto divenire cardinale di Bologna e conseguentemente aspirante quanto prima alla elezione a papa”. Non solo: “Lercaro era convinto che Dossetti avesse delle possibilità di essere nominato papa per la grande popolarità raggiunta durante il Concilio”; “possibilità confermate dalla elezione, subito dopo la morte di Paolo VI, del papa Luciani, con il nome di Giovanni Paolo I, che aveva sostenuto la tesi di Dossetti, alla fine del Concilio, sulla povertà della Chiesa”.
Ne ha scritto anche il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, autore della lettera a Enrico Berlinguer, a sua volta vescovo ausiliare con Lercaro, sino al punto di ritenere che Lercaro fosse arrivato a parlare dell’ipotesi di Dossetti suo “successore sulla cattedra di San Petronio” (In dialogo con i lontani. Memorie e riflessioni di un vescovo un po’ laico, II ed., Aliberti editore, 2009, pp. 64-5).
Un’idea, ovviamente, che non incontrò i favori della curia romana che, come ha spiegato ancora Galloni, “respinse la proposta, come troppo ardita”. Le cose andarono, poi, come sappiamo. Nell’omelia del 1° gennaio del 1968 Lercaro denuncia i bombardamenti americani in Vietnam. Poche settimane più tardi la sua rimozione e la successiva dispora.
Dossetti stratega non nella conquista di incarichi, ma nella loro sapiente rinuncia, dall’Università al seggio parlamentare sino al ruolo di vicesegretario della Dc, in questo radicalmente in controtendenza non solo con l’oggi, volle dimettersi dal ruolo affidatogli da Lercaro, dividendosi, poi, tra la meditazione e la preghiera, prima di morire, a Oliveto di Monteveglio, il 15 dicembre 1996, per essere sepolto a Monte Sole.
E’ chiaro che l’ipotesi di Guseppe Dossetti sul soglio pontificio è del tutto immaginaria; su questo nessun dubbio, nessun fraintendimento; un caso, per dir così, di storia controfattuale, in ordine a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato; in grado, tuttavia, di lasciare dietro di sé un segno che, a distanza di anni, continua a rinnovare le ragioni di una riflessione.