Al referendum ho votato con poco entusiasmo. È forse la prima volta che mi accade. Alla fine ho votato No perché non mi andava di sottoscrivere una scelta, di per sé rispettabile, senza che fossero stati rispettati tutti gli accordi, perché mi infastidiva l’illusione data di una facile risoluzione ad un problema complesso, perché non mi è mai piaciuto che la riforma fosse entrata negli accordi per il Governo.
Poca convinzione però: il tema istituzionale si era progressivamente sviluppato intorno a ragioni antigovernative, quasi che il referendum fosse un giudizio sul governo. Evidentemente il ricordo di quel “se vince il No lascio la politica” di quattro anni fa un po’ era rimasto. Allora, pur fortemente impegnato per il No, non ne facevo una questione così determinante; ancor meno oggi. E ho apprezzato la conferma della libertà di voto sui temi istituzionali di Articolo Uno.
È andata com’è andata: il Sì al 70%, il No al 30. I 5Stelle, con la contemporanea débacle delle regionali, non hanno troppo festeggiato. E nemmeno il Pd, il cui timido schierarsi in zona Cesarini non è stato da tutti gradito.Ora i conti si fanno con la scelta, confermata dal popolo sovrano, della riduzione dei parlamentari. Come escluderemo i 345 di troppo? Come eleggeremo i 600 parlamentari?
A farla facile ci pensa Grillo e spara nuovamente la sua provocazione: il sorteggio; addio alla democrazia rappresentativa. Personalmente, anche se il potere si è un po’ troppo accentrato nell’esecutivo, continuo a credere nella democrazia rappresentativa, nel Parlamento. E spero non abbia a subire danni dal risultato referendario. Vanno definite le nuove regole: è possibile eleggere 200 senatori su base regionale? quale sarà il peso dei delegati delle Regioni nell’elezione del Presidente della Repubblica? come funzioneranno le commissioni?
I temi però sono anche e soprattutto altri. Spinosi. Chiaro che un numero inferiore di eletti penalizza la rappresentanza e comporta un più difficile rapporto con territorio ed elettori. Personalmente non mi spaventa troppo l’assenza di un parlamentare locale, anzi, in un mondo ideale pochi eletti che si occupano del Paese con serietà e competenza andrebbero benissimo. Purtroppo questo Paese è ancora pieno zeppo di ponti, ospedali, autostrade, stazioni ferroviarie conosciute con il nome del parlamentare locale. E non mi va che l’autostrada arrivi non dove ce ne sia il bisogno ma nel collegio dell’onorevole Tal Dei Tali.
La questione che agita i sonni di molti riguarda la scelta tra proporzionale e maggioritario. L’equilibrio tra le forze espresse dall’elettorato contro il mito della governabilità. Sto decisamente per il proporzionale, che maggiormente investe il Parlamento della responsabilità di trovare un equilibrio. Poco mi convince invece un sistema che decreti chi sarà incaricato di governare anche se non rappresenta che una parte, non necessariamente maggioritaria, del Paese. Mi preoccupano vecchie e nuove “leggi truffa” e non mi convince il Sindaco d’Italia. Non credo esista il sistema perfetto, ma credo sia necessario restituire credibilità ad una politica che pare essersi allontanata dai cittadini. Un sistema elettorale proporzionale potrebbe essere utile. Troppo diffusa la convinzione che tutto sia deciso altrove, che poco o nulla conti la propria scheda nell’urna.
Il voto di preferenza è certamente la più diretta espressione della scelta dell’elettore. Purtroppo ricordiamo bene le degenerazioni: il voto controllato attraverso la combinazione delle preferenze multiple, i voti comperati, i costi esorbitanti di una campagna elettorale (che l’ampliamento delle circoscrizioni non potrà che aumentare)… a tutto vantaggio di chi è più ricco, non necessariamente più competente. Ancor peggio le liste bloccate, troppo spesso un premio fedeltà elargito da onnipotenti segreterie di partito, ancora una volta a discapito della competenza.
I prossimi mesi saranno cruciali e si incroceranno con le decisioni riguardo le risorse del Recovery Fund. C’è bisogno di un Parlamento capace di confrontarsi e trovare una sintesi, e di Parlamentari consapevoli del proprio ruolo e non preoccupati di salvarsi la poltrona. Ai partiti, che purtroppo oggi non godono di buona fama, il compito di trovare una giusta soluzione tra listini bloccati, lunghi o corti, preferenze, collegi uninominali… Un impegno gravoso e che poco scalda gli animi della gente comune. Eppure un tema di fondamentale importanza per la nostra democrazia.