La fine del semestre bianco si avvicina e già in tanti si lanciano in tesi assurde che rischiano di stravolgere lo stato costituzionale in cui ci troviamo in nome di un uomo forte al comando.
In ordine di apparizione è toccato a Giancarlo Giorgetti, attuale ministro dello Sviluppo economico e vice segretario della Lega, da tanti apprezzato perché considerato più moderato rispetto a Salvini, eppure le sue considerazioni sul Colle non sembravano essere poi tanto moderate.
Invocare un uomo che traini il “convoglio” anche dal Colle, accentrando de facto il potere esecutivo del Presidente del Consiglio dei ministri e con il ruolo di garanzia proprio del Capo dello Stato è una sostanziale modifica della forma di governo del nostro Paese.
Leggendo la storia politica di Giorgetti possiamo ben comprendere il perché di una simile stortura tipica dei missini e piduisti vicini a Licio Gelli. Il semipresidenzialismo è una forma di governo diversa dalla nostra (che è parlamentare) poiché vede nella figura del Capo dello Stato anche quella di Capo del governo, eletto dai cittadini e slegato da un rapporto fiduciario col parlamento, come avviene invece in Italia.
Lo ricordava il Presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky in un’intervista al Corriere della Sera del 5 giugno 2013, ovvero quando il governo Letta si accingeva a proporre una revisione costituzionale in senso semipresidenziale, scatenando i timori di tanti, fra cui quelli del noto giurista che al Corriere ricordava di come “il presidenzialismo è un tema tradizionale della destra autoritaria, cavallo di battaglia già del Msi, poi cavalcato dal partito di Berlusconi. Ed è uno dei punti centrali del piano di rinascita nazionale di Gelli. Queste cose non si usa dirle più. Sembrano politicamente scorrette. Ma la continuità di un’idea della politica che non è nata oggi vorrà pur dire qualcosa. Quelli che a noi paiono pericoli mortali, per loro sembrano opportunità. Invece alla visione e alla pratica della democrazia, secondo la sinistra e secondo la sociologia politica cattolica, quell’idea è stata sempre estranea. Non ricordo chi diceva: la destra propone, la sinistra segue; ma solo la destra sa quel che si fa”.
Non è un caso allora che Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti siano profondi sostenitori di una simile revisione costituzionale.
Eppure è giusto ricordare un paio di cose, ovvero i famosi pesi e contrappesi che rendono impraticabile una simile riforma nel nostro Paese: parliamo di caratteri sostanziali di uno Stato che si amalgamano con il sistema politico e con le istituzioni come ad esempio il livello di corruzione, che se troppo alto fa del semipresidenzialismo un volano per un’accentazione pericolosa, vedere ad esempio la Russia.
Anche l’assenza di partiti capaci di formare classi dirigenti consapevoli sono un repellente verso derive autoritarie, ma sappiamo che in Italia stiamo vivendo da un trentennio una personalizzazione della politica che spesso sfocia nella mitizzazione dell’uomo, come nel caso di Draghi.
In più bisogna aggiungere che accentrare i poteri in capo ad una sola persona non sblocca i processi decisionali, ad esempio in Francia la coabitazione (ovvero quando un Presidente della Repubblica deve nominare un governo di colore politico diverso dal proprio) apre a un ingolfo della situazione politica. Il nostro sistema parlamentare è nato per dare centralità al dialogo fra le forze politiche, quando queste esistevano.
Col passare degli anni gli aspetti endogeni al nostro sistema politico e giuridico si sono modificati, il corso degli eventi ha aperto a profonde riflessioni sulla Carta Costituzionale che sono rimaste più o meno tali fino allo scorso anno, cioè quando ha vinto il sì al taglio dei parlamentari. In quell’occasione tanti dirigenti della (pseudo) sinistra per giustificare la loro scellerata adesione opportunistica con un taglio ideologico, osarono scomodare chi la Costituzione l’aveva scritta e quindi era ben consapevole dei suoi pregi e aveva di certo imparato a conoscerne i difetti: Nilde Iotti.
La presidente Iotti fu redattrice di un testo di revisione costituzionale che non alterava la forma di governo dell’Italia, bensì prevedeva una riduzione del numero dei parlamentari accompagnata però da riequilibri costituzionali, ovvero da strumenti di stabilità tipici delle democrazie parlamentari europee come la sfiducia costruttiva, un meccanismo già in vigore in Spagna e Germania.
Insomma, la sinistra in costituente si batté fortemente per un governo assembleare, dove prevalesse l’incontro fra le parti, un sistema parlamentare che equilibrasse il tutto, senza sfociare in un parlamentarismo come stabiliva l’ordine del giorno Perassi, per questo si diede ai partiti una funzione costituzionale ovvero formare le classi dirigenti, e la loro inevitabile degenerazione a comitati elettorali ha reso l’instabilità politica una scusa appetibile alle destre per modificare l’unica bussola che abbiamo: la Costituzione!