Il 2022 sarà un anno cruciale per la sinistra del bel paese per cercare di mettere le basi di un nuovo progetto progressista dei democratici, in vista delle elezioni politiche, per le anime della nostra gente, già duramente messe alla prova negli ultimi decenni di promesse del famoso “campo largo”. La democrazia sta vivendo anni di crisi: tra i grandi accusati, la società digitale e internet, colpevoli di averla indebolita lentamente, erodendo il ruolo degli intermediari politici, ovvero quello dei partiti. Il partito, la parola che nessuno vuole pronunciare, il grande organismo collettivo indebolito fino a diventare lo spettro di quello che era, incapace di rappresentare gli orientamenti dell’elettorato e di agire efficacemente. È evidente che se la politica e i partiti sono all’angolo, è indispensabile offrire nuovi modi ai cittadini per partecipare alla vita politica e alle decisioni che li riguardano.
Negli ultimi anni, la nascita e il consolidamento di alcune nuove organizzazioni politiche che utilizzano massicciamente le nuove tecnologie e le pratiche digitali ha finalmente riaperto il dibattito sulla natura e sul futuro dei partiti. L’ondata di partiti digitali che ha invaso l’Europa (Podemos in Spagna, M5S in Italia, Partito Pirata nel Nord Europa), è brillantemente esposta da Paolo Gerbaudo nel suo libro “I partiti digitali”. Se è vero che i partiti sono organismi che si adattano alla società in cui vivono, se si vuole rinvigorire la forma attuale della democrazia rappresentativa quali sono i modelli organizzativi che potrebbero rilanciare la loro attività? Come illustrato dal professor Stefano Draghi a DigItalia 2020, evento del nostro Dipartimento di Innovazione di Articolo Uno, oltre al partito tradizionale che usa le app cercando di risolvere i problemi senza mettere mano alla propria organizzazione, esiste il partito piattaforma, che introduce nella vita interna di partito piattaforme di tipo deliberativo (secondo regole democratiche) che permettono un contatto e una consultazione continui con la base. Il vero senso del partito digitale, prevede inoltre che le deliberazioni avvengano secondo regole pubbliche, tanto quanto il suo percorso di finanziamento (crowdfunding), e che si utilizzi l’intelligenza collettiva e plurale per costruire il governo del paese (crowdsourcing).
Un partito è una comunità di persone che ha rappresentanti che governano in migliaia di comuni e in decine altri enti, i quali sono spesso semplici “monadi”, che lavorano ciascuna per sé senza più nessuno che le connetta tra loro. Un partito una volta connetteva, rafforzava e rendeva più forti e i suoi rappresentanti nelle istituzioni. La rete non serve a questo? Un partito a vocazione maggioritaria ha il compito di mettere insieme tutte le forze che ha intorno, costruendo la base di conoscenza plurale sulla quale costruire una piattaforma politica dei progressisti italiani, mettendo insieme tutti coloro che producono idee politiche e cultura politica. Se i partiti non riprendono il dialogo con i cittadini, e la rete è lo strumento fondamentale per fare questo, il loro destino è segnato.
È possibile e necessario costruire un partito digitale del centro sinistra e dei progressisti, perché il successo di un partito passa anche attraverso l’idea che un partito digitale è un partito molto pesante. È fatto di persone che usano le tecnologie, e non solamente di persone. Con quante persone parlavano una volta i partiti di massa attraverso il meccanismo di centralismo democratico, con la loro rete fatta di sezioni, militanti, iscritti e ed elettori? 100 mila, forse: oggi un partito pesante è un partito che può dialogare con 2-5 milioni di persone. L’esperimento di democrazia partecipativa delle Agorà Democratiche è sicuramente perfettibile, ma è un primo passo in questa direzione. Il progetto del futuro del centro sinistra italiano deve passare dalla partecipazione dei cittadini e gli strumenti digitali sono una grande opportunità.