La sinistra non a sufficienza si sente né è, sufficiente, ma esiste e resiste. C’è. Non è ancora sufficiente ma non era neppure scontato.
Dopo la débâcle elettorale d’ormai quasi un anno fa di Liberi e Uguali, e il di questa lento, forse non inevitabile ma senz’altro inglorioso disgregarsi e disciogliersi, fast-forward ai più recenti tempi ed ecco che tra due fuochi che paiono un po’ fatui di una proposta macronian-élitaria liberaldemocratica di Carlo Calenda e quella di una sinistra pur legittimamente della conservazione ideologica e della “rottura dei trattati” fondativi dell’Unione e dunque dell’Europa stessa, ebbene nella per quanto stretta, ripida, buia e a fari spenti strada c’è chi sta provando a costruirla, anzi ricostruirla, da zero. Ciottolo per ciottolo, con coerenza e coraggio.
È d’altra parte non possibile restare sul ciglio di una strada distrutta in mezzo a un campo, quello dei progressismi in Italia, completamente devastato, quasi desertificato, e attendere che il tempo faccia il suo corso, la provvidenza faccia la brava, il Partito democratico finisca il congresso e il Paese finisca in default.
C’è da avere profondo rispetto per una comunità dalla quale peraltro molti come me provengono, quella dei democratici, nel suo momento di quantificazione del danno, elaborazione del lutto, analisi della sconfitta e – si spera per loro, come per tutto il campo di cui sopra, su cui siam sopra – ricostruzione di una strada, una via che possibilmente sia diversa dall’andar nuovamente a sbattere.
Se realmente, profondamente il nuovo Segretario di quella comunità avesse il coraggio e la forza politica necessari a invertire radicalmente la rotta per imboccare con altri compagni di viaggio una strada nuova anche nelle forme della politica oltreché naturalmente nella sostanza di esse, ebbene allora forse potremmo tornare ad ‘esserci compagni’, mescolando colture e culture in un campo finalmente di nuovo fertile, con ricette e parti attrici diverse ma non divergenti che potrebbero arricchire per arricchirsi, nel miglior e più solidale dei sensi.
Nell’attesa del futuro possibile, tuttavia, non possiamo che pensare a insistere nel presente, insistendo come ebbe a scrivere Alexander Langer nella sua ultima lettera in quel che crediamo giusto.
Questo in un tempo in cui la categoria del giusto sembra sempre più esser strattonata, mistificata e turlupinata da quella che vi si sovrappone: la categoria del gridato. Chi più grida, meglio se con malanimo manifesto, più raccoglie consenso, più strattona e strappa giusta (ingiusta) ragione (irragionevole).
La Rete ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà sempre più una democratizzazione transdirezionale (oltre il mero multi e ben oltre l’antica unidirezionalità dell’informazione televisiva) del libero pensiero del ‘semplice’ cittadino, dell’opinione pubblica potenzialmente tutta, via via che il digital divide si riduce a livelli residuali. Tuttavia, come ogni assolutamente rivoluzionaria ‘invenzione’ della storia dell’umanità, quest’ultima necessita di tempo prima di prendere a maneggiarla con padronanza, con consapevolezza: cosa accadde ai primi uomini che scoprirono il fuoco (non fatuo)? Si bruciarono. Come loro, cosa accade a molti che leggono le fake news del governo gialloverde? Ci credono. E il rischio è anche qui quello di scottarsi, e peggio, che a scottarsi sia un intero Paese, mentre della sinistra vi son ceneri.
Ceneri su cui la narrazione coprolalica del fuggitivo (dalla giustizia, come un Cesare Battisti qualunque) Matteo Salvini – e al fianco del fuggitivo i fiancheggiatori a cinque stelle cadenti, ormai quasi tutte cadute: erano acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia, sono diventate privatizzazione, trivelle, NO a trasporti e sviluppo, fiacca – balla ad una musica che però ricorda pericolosamente quella dell’orchestra del Titanic, mentre tutto sprofonda, tra barconi di disperati i cui diritti umani sono negati, in ogni senso e per decreto, e previsioni di crescita che ineludibili smentiscono l’irrealtà delle fake news diffuse come scie chimiche da un Governo in fuga, anche dalla realtà stessa, purtroppo senza vaccino, in nessun senso. Se non una cura da cavallo, più presto che tardi, magari con il trio (premier figurante-fuggitivo-Giggino) sostituito dalla troika.
Su questo (s)fondo, lo slogan “prima gli italiani” rischia di trasformarsi a tempo record, in neppure un anno di Governo, in “prima gli italiani fuori dall’Europa” facendo loro anticipare persino il disastro dell’uscita britannica, ordita e ostinatamente orchestrata dalla premiata ditta in amministrazione incontrollata Cameron-May.
La soluzione e innanzitutto la reazione a tutto questo però non può però essere la mera riproposizione di una narrazione ideologico-identitaria del tutto insufficiente non soltanto a interpretare, ma anche solo a interloquire col tempo presente d’un mondo forse politicamente parzialmente andato a male, ma comunque andato altrove. La risoluzione non può avvenire tramite un abbandono del terreno di gioco per un rifiuto delle nuove regole di ingaggio e linguaggio, ed ecco perché tanto ferali e fallibili sono gli agitare scelte civiche centriste contro i barbari alle porte, che in realtà son già dentro casa mentre i buoi son tutti scappati, quanto i rinunciare alle popolarità di populismi che, se di sinistra e di efficace contrasto alle destre populiste e sovraniste e in fondo autolesioniste, sono non da temere ma tenere a mente: sono i neopopulismi di sinistra che vanno dalla risoluta innovazione di Podemos alla reinvenzione radicale del Labour, formulati alle maniere che oltreoceano parafrasando il Luther King più amato da Hussein Obama tracciano un lungo arco piegato verso la giustizia che attraversa il mezzo secolo tra i primi ’40 e gli ultimi ’80, ere di nascita rispettivamente di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, i quali entrambi in questi stessi giorni e con parole davvero poco differenti hanno chiesto che chi ha tanto paghi il giusto, dunque ben di più di chi non ha proprio niente.
Le tesi di un congresso del partito della sinistra di cui vogliamo la ricostruzione son già quasi tutte qui: dettate dal mondo circostante e iscritte nel tempo possibile e presente.
Per assicurare il giusto ai più, possibilmente a tutte e a tutti, assicurando alla giustizia chi ruba futuro indebitando fino a oltre il collo, come annegati per decreto anch’essi, i giovani che per rispettare quelle che vanno chiamate non promesse bensì panzane e paranze elettorali, stanno catturando il tempo, condannandolo al fondo. Costruendo un conflitto generazionale che lascerà solo feriti, o peggio, sul campo deserto, sul fondo scuro.
Su questo sfondo, lo sforzo: lo sforzo richiesto per il trattamento del mare e trarre in salvo ogni naufrago, per la ricostruzione di un campo, per il reinventare una sinistra, non può che tenere assieme coraggio e concretezza, ideologia e innovazione, democrazia e populismo se “populista” è in effetti ‘popolare’ e, come detto, di sinistra. Con tutti quelli che ci sono stati e sono sempre stati liberi ed eguali, che a sinistra siamo specialisti, scienziati di statura internazionale (socialista e oltre) e trovare le differenze ma dilettanti deficientissimi a intrecciare le intelligenze. Spero tantissimi vengano a trovarsi, a ritrovarsi e ritrovarsi compagni, per poi coelaborare assieme il messaggio da proporre agli italiani di portare in Europa il prossimo 26 maggio, che non può essere quello ai nostri fratelli europei di ritirare un ambasciatore bensì di farci noi tutti ambasciatori di un Paese migliore, molto migliore, di quello che esso stesso oggi osa pensare e provare a realizzare, realizzandosi tale. Solidale. Ecco, è questo che ci manca in Italia e quello che vogliamo: un’Europa di solidarietà, a partire dal grande tema della redistribuzione dei migranti non perché siano un peso o una iattura, ma perché sono un’opportunità; già oggi non è sufficiente la forza lavoro in quello che è non a caso definito vecchio, continente, e allora ecco che a molti i pochi hanno instillato paura con una panzana, ovverosia che arrivino in troppi, eppure ad arrivare con le loro speranza sono le nostre opportunità, e non son ancora sufficienti, come la sinistra, come l’Europa. Che va radicalmente, radicalmente cambiata, innovata, democratizzata ma non osteggiata, abbandonata, demonizzata.
La riconnessione sentimentale degli italiani, storicamente i più europeisti degli ancora 28, e tra europei ed europei e il loro esser felici e fieri d’esserlo, passa attraverso una riconnessione democratica tra istituzioni e sovranità di con un Parlamento europeo con accresciuti poteri di coelaborare, confrontarsi, decidere come andare avanti assieme, ma avanti, non indietro, non dietro confini nazionali desueti e deleteri. Deficienti.
Intelligenti invece, in questa sfida, financo illuminati come Alexis Tsipras & Zoran Zaev, che pur di stringersi e superare confini storici e semantici hanno cambiato corso alla storia e nome a un Paese (prendano nota chi, come i compagni di Potere al Popolo, vorrebbe stracciare trattati e rialzare muri, confini, e chi, come gli amici del Partito Democratico, tanto si arrovella su un nome che, se lo può cambiare un Paese, certo può farlo un partito).
Insomma, visione, coelaborarla e vederla insieme. Come dicevano i Maya e come ha rielaborato il luminare della Murgia, professor Armando Gnisci, una nuova cosmovisione comunitaria. Mentre, come diceva l’illuminato della Marmilla, compagno Antonio Gramsci:
«Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri»
Non chiudiamoci, per paura dei mostri, ma apriamo, usciamo e contrastiamoli con un congresso aperto e poi a viso altrettanto sul campo battendoli persino al loro stesso gioco; persone del nostro campo che non possiamo e non dobbiamo considerare nemici, neanche avversari, tutt’al più se così sarà competitor, come De Magistris vorrebbero chiudere e chiudersi in confini, come Calenda vorrebbero chiudere ai compagni, ebbene noi saremo in mezzo, e saremo quelli dell’apertura. Della sinistra solidale, non settaria. Del femminismo e del lavoro, dell’ecologia e del socialismo, ed ecco della solidarietà, dell’apertura e dell’eguaglianza.